UNIONE EUROPEA
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E adesso la Russia punta sui cereali |
In pochi anni, solo recuperando le terre abbandonate, il Paese
potrebbe proporsi come protagonista anche sul mercato mondiale dei prodotti
alimentari, aumentando così ulteriormente il suo peso politico.
Dopo il petrolio, il grano. Sembra che la Russia in questo inizio di secolo
sia l’unica entità economica capace di soddisfare le crescenti esigenze del
resto del mondo in due capitoli fondamentali, energia e cibo.
Dopo la dissoluzione dell’Impero sovietico le superfici coltivate sono scese
da 120 a 80 milioni di ettari, senza apprezzabili aumenti nelle rese a
seguito di una privatizzazione gestita piuttosto male, che ha portato anche
nelle campagne alla costituzione di forti interessi particolari, che non
hanno alcun incentivo per uno sfruttamento intensivo dei terreni, né per
grandi investimenti in infrastrutture e macchinari: le rese medie per i
cereali sono dell’ordine di 2 t/ha, che potrebbero senza grandi sforzi
arrivare a 5.
Le recenti impennate dei prezzi agricoli mondiali, cereali in testa, danno
ora ai dirigenti di Mosca un’occasione unica per imporsi come gli arbitri
mondiali dei precari equilibri, compromessi dalla crescente domanda del
miliardo di persone arrivate a un livello di consumi che si allontana sempre
più dalla pura sopravvivenza.
Solo recuperando le terre abbandonate nello scorso decennio, con l’aiuto di
input e tecnologie anche non necessariamente tra le più avanzate, è stato
stimato che la produzione cerealicola potrebbe arrivare a ben 300 milioni di
tonnellate annue, rispetto alle meno di 100 attuali. Il processo potrebbe
prendere da 4 a 6 anni, in condizioni meteorologiche vicine alle medie
storiche, con adeguati incentivi in materia di stabilità dei prezzi e con un
quadro normativo degli scambi internazionali che permetta un flusso senza
scosse delle eccedenze.
Ma occorre soprattutto un grande sforzo organizzativo, che potrebbe
inevitabilmente sfiorare nuove forme di autoritarismo, magari sull’esempio
di quanto ha fatto il settore petrolifero, che dieci anni fa era allo
sfascio, con scontri selvaggi tra neocapitalisti che non avevano ancora
imparato il mestiere, corruzione diffusa e interessi finanziari troppo
intrecciati con quelli politici.
Il petrolio ha anche mostrato come una forte crescita dell’offerta non sia
bastata a contenere un incremento dei prezzi mondiali, che sembra al momento
inarrestabile. Per i cereali è opinione prevalente che una correzione al
ribasso, seppure a livelli che non saranno mai più quelli di un decennio
addietro, dovrebbe prodursi a medio o addirittura a breve termine.
C’è anche da considerare che, in termini reali, i prezzi dei cereali erano,
solo sei mesi fa, la metà di quelli del 1975. In un intervento al Parlamento
europeo la commissaria all’agricoltura Mariann Fischer Boel ha ricordato il
ruolo della speculazione in queste dinamiche: mentre nel 1998 gli
investimenti negli indici delle materie prime arrivavano appena a 10
miliardi di dollari, già nel 2007 si era arrivati a 142 miliardi e nel
febbraio di quest’anno sono stati lanciati 140 prodotti finanziari – fondi
d’investimento in tutte le possibili formule – dedicati alle materie prime,
il doppio di quelli proposti al mercato per l’insieme dello scorso anno.
La Russia, in definitiva, con le Repubbliche che la circondano, tornerà a
essere un protagonista del sistema agroalimentare mondiale, come lo è per
quello energetico, con tutte le implicazioni che ciò avrà sulle politiche di
rivalutazione – e il termine è molto moderato – delle posizioni di Mosca nel
sistema geopolitico mondiale.
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