POLITICA
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Ci sarà ancora un ministro per l'agricoltura? |
Un dicastero spesso in discussione ma ancora necessario.
La composizione record del Governo in carica, 102 tra ministri,
viceministri, sottosegretari, ha imposto come punto d’onore nella campagna
elettorale di Pd e Pdl la promessa di una loro drastica riduzione. Ha
cominciato Walter Veltroni, annunciando un futuro Governo con non più di 15
ministri. Ha controbattuto Silvio Berlusconi con un progetto del Pdl che
prevede un Governo con solo 12 ministri. Lo scopo palese è una maggiore
snellezza dell’apparato burocratico, cui dovrebbe far riscontro una
sensibile riduzione della spesa a fronte di una migliore operatività.
Ovvio che gli italiani apprezzino questo orientamento: sarebbe una svolta
epocale.
Alcuni giornali, orientati sia a Destra sia a Sinistra, hanno già azzardato
possibili papabili per questo o quel dicastero; ma con amara sorpresa il
ministro dell’agricoltura non compare più nel totoministri.
Intendiamoci, siamo a oltre due mesi dalla formazione del nuovo Governo e
tutto potrà capitare. Ma non per questo la cosa va sottovalutata.
Onestamente oggi l’agricoltura intesa come politica agricola non è più
quella del vecchio Maf con le sue sedici Direzioni generali. Tutto, dai
massimi sistemi di strategia economica alla calibratura delle zucchine verdi
scure, è compito dell’Ue, che emana direttive una dopo l’altra. In Italia il
compito di applicarle è demandato, salvo poche ma lodevoli eccezioni, alle
Regioni. Che ci starebbe a fare un ministro dell’agricoltura relegato in un
grande, ma ormai sguarnito, palazzone di via XX Settembre?
Ci starebbe! E molto a proposito.
A patto però che il suo primo ministro gli concedesse deleghe idonee alla
risoluzione dei problemi che stanno continuamente ingigantendo e che ormai
condizionano gli agricoltori, ma anche milioni di consumatori. La
globalizzazione, cioè il coinvolgimento dei Paesi emergenti nel mercato
libero mondiale, un fenomeno di per sé positivo e ineludibile, è stata
condotta troppo in fretta e nel peggiore dei modi. A tutti coloro che
avevano una fame atavica ed erano ormai in grado di acquisire beni di
consumo, alimentari o voluttuari che fossero, è stata data la possibilità di
acquistare ovunque e senza una certa gradualità ciò che abbisognava loro;
compensando frequentemente la transazione economica con un export di
prodotti confezionati spesso al di fuori di ogni regola di sicurezza e di
carattere sindacale.
Ciò ha creato una fortissima turbativa di mercato, rarefacendo le
disponibilità di materie prime e di prodotti agricoli di base, con una
conseguente pesante lievitazione dei loro prezzi. Se, a fronte di tutto ciò,
consideriamo che nell’ultimo triennio i prodotti petroliferi greggi hanno
quadruplicato il loro prezzo, si può capire come anche l’agricoltura
italiana esiga una guida unitaria, nella figura di un ministro. E non un
politico di mezza tacca, eletto sul finire della notte dei lunghi coltelli,
dopo che sono stati assegnati ai pezzi da 90 i ministeri più prestigiosi:
serve una personalità di grande prestigio. Il ministro dell’agricoltura
prossimo venturo potrebbe, al limite, essere anche un sottosegretario di un
più ampio ministero delle attività economiche e produittive, ma
necessariamente forte di deleghe precise e autonome.
Dovrà venire identificato come una figura politica con spiccata attitudine
nell’individuare con rapidità le linee guida da perseguire in Italia e nel
formulare interventi che permettano un’importazione a prezzi equi dei
prodotti agricoli e alimentari che all’Italia sono necessari, salvaguardando
nel contempo le produzioni agricole italiane.
In altre parole il futuro (o la futura) responsabile del Maf dovrà essere un
economista, un vero economista, più avvezzo a padroneggiare gli alti e bassi
dei mercati mondiali, piuttosto che consumare il suo tempo alla risoluzione
dei contrasti che oppongono le troppe organizzazioni agricole italiane,
spesso in conflitto tra loro. Il vecchio adagio che ricorda come nei periodi
di benessere l’agricoltura venga poco considerata, ma che diventa l’ago
economico nei momenti di turbolenza, è sempre valido e sarebbe molto dannoso
che il prossimo Esecutivo politico non volesse tenerne conto.
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