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Vino, un prodotto da comunicare di più e meglio |
Una semplificazione ragionata dei nomi e delle specificazioni,
«mirando» le risorse disponibili per la promozione sugli elementi di volta
in volta ritenuti più significativi, potrebbe sostenere in modo più incisivo
le ambizioni commerciali di molti nostri prodotti
Il settore vinicolo non manca certo di immaginazione e di varietà quanto
a nomi di vini, denominazioni, indicazioni, marchi, ecc.: si va dai più
diversi e impensabili nomi di fantasia a famose denominazioni storiche, da
marchi di cantine di grande notorietà a quelli di realtà pressoché
sconosciute.
In questo contesto non è superfluo interrogarsi per capire se tale
grandissima varietà sia utile o non possa rappresentare, in molti casi, un
fattore di scarsa trasparenza e di incertezza agli occhi dei consumatori.
Il «nome-marchio» con il quale un determinato vino viene identificato,
infatti, è particolarmente importante soprattutto in un’ottica di
comunicazione efficace e chiara nei confronti del consumatore finale. è vero
che esso non è l’unico strumento per comunicare: in questo comparto, come in
altri, la percezione finale del cliente dipende molto anche dalla confezione
nel suo insieme (tipo di bottiglia, tappo, etichetta, eventuale contenitore,
eventuali documenti allegati, ecc.), come pure dal canale commerciale
utilizzato e dal prezzo praticato (tra l’altro).
Il consumatore finale è particolarmente interessato a ottenere, grazie al
nome o al marchio del prodotto, un insieme di informazioni chiare e coerenti
sulle caratteristiche di ciò che acquista. Per questa ragione le doc e le
docg devono poter rappresentare con chiarezza un prodotto con
caratteristiche di base sufficientemente coerenti e condivise. Quando
nell’ambito della stessa denominazione si trovano prodotti visibilmente e
significativamente differenti per alcune caratteristiche importanti agli
occhi del consumatore, si corre il rischio di svuotare sostanzialmente di
contenuto informativo la denominazione e quindi di perderne in buona parte
anche il valore economico. Con ciò non voglio certo sostenere che non vi
possa essere uno spazio importantissimo per le differenziazioni anche
nell’ambito delle stesse denominazioni: il punto è nel contenuto informativo
che la stessa deve mantenere.
è pure vero che la dinamica tra ruolo delle denominazioni e ruolo del
marchio aziendale dipende molto dalle possibilità di differenziazione
offerte dal vino specifico, dal suo livello qualitativo medio percepito dai
consumatori, come pure dalla struttura del sistema produttivo. La presenza
di un elevato numero di produttori relativamente piccoli nell’ambito di un
determinato contesto locale, ad esempio, tende a rendere decisamente meno
significativo, in genere, il marchio aziendale rispetto alla denominazione.
D’altro canto, la presenza di vini percepiti come di grande pregio da parte
dei consumatori, e quindi di alto prezzo, si presta maggiormente e più
opportunamente a strategie di differenziazione più spinte. Si tratta di
trovare, in altri termini, il giusto equilibrio tra le due diverse modalità
di identificazione, soprattutto nell’ambito delle strategie di
comunicazione.
Vi sono casi evidenti nei quali è la denominazione, e semmai il territorio a
essa strettamente collegato, a dover ricoprire il ruolo centrale della
comunicazione, specie se la struttura produttiva è frammentata. D’altro
canto proprio la forte frammentazione produttiva è ancora uno dei principali
punti di debolezza del comparto vinicolo italiano.
In questi casi, spesso, il marchio proprio non è in grado di aggiungere e
assicurare un premio di prezzo rispetto alla concorrenza, né permette un più
facile accesso agli sbocchi commerciali (si pensi alla gdo) e ai mercati. La
sua importanza è limitata, di solito, esclusivamente al mercato locale. In
questi casi è evidente che la doc può rappresentare, se vi sono le
necessarie coerenze tra caratteristiche qualitative e prezzo, lo strumento
ancora più importante per difendere la propria posizione sul mercato. In
questo caso la doc può anche rappresentare una specie di garanzia almeno su
alcuni dei parametri che concorrono a definire, agli occhi dei consumatori,
un determinato e apprezzato livello qualitativo.
Anche l’eccessiva proliferazione di doc, quindi, può essere negativa se il
contesto produttivo di riferimento non ha le dimensioni o le potenzialità
qualitative per poter puntare al raggiungimento di una presenza commerciale
significativa dal punto di vista economico. Ottenere una denominazione,
infatti, così come applicare un «bel nome» a un vino mediocre, non può certo
bastare per costruire un successo commerciale. Al contrario, il più delle
volte si potrebbe comunicare di più e meglio al consumatore finale se si
procedesse a una semplificazione coerente e motivata nella «giungla» dei
nomi e delle specificazioni, e soprattutto se le risorse per la
comunicazione fossero adeguatamente centrate sugli elementi di
identificazione di volta in volta più importanti.
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