I LAVORI DI MARZO-APRILE |
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Il bosco |
Bosco naturale
Lavori
I mesi di marzo ed aprile coincidono di solito con il termine del periodo di
taglio dei boschi cedui in molte parti delle nostre regioni, ad eccezione
delle località poste oltre i 1.000 metri di altezza, ove generalmente si
possono eseguire le operazioni di abbattimento fino al 15 maggio. Inizia
quindi la fase di esbosco e riordino delle «tagliate» (zone in cui è stato
effettuato il taglio delle piante) di cui ci occuperemo in questo bimestre.
Il giudizio che comunemente viene attribuito alla qualità ed al valore di un
bosco si basa spesso e volentieri sul concetto di pulizia ed ordine;
frequentissimo è infatti il richiamo ed il ricordo dei «boschi del passato»
in cui, a detta degli anziani proprietari, si poteva anche... camminare a
piedi nudi.
Se da un lato la selvicoltura attuale ritiene che tale concetto sia
eccessivamente semplificativo dell’idea di bosco come «ecosistema
complesso», è indubbio che anche l’occhio vuole la sua parte e che quindi i
lavori di sistemazione delle ramaglie e di esbosco del legname sono
altrettanto importanti delle altre operazioni colturali.
Terminato il taglio, si hanno infatti circa trenta giorni di tempo per
l’allestimento e lo sgombero del legname; queste due operazioni si devono
effettuare senza causare danni alla vegetazione esistente e soprattutto alla
rinnovazione, in modo che le giovani piantine che si stanno affermando
possano svilupparsi rapidamente andando a sostituire nel tempo quelle appena
tagliate.
La ramaglia ed ogni residuo di utilizzazione di diametro inferiore a 10-15
cm devono essere asportati dal bosco o, previo depezzamento a 100-150 cm di
lunghezza, ammucchiati in luoghi in cui non ostacolino la crescita della
rinnovazione.
Se si decide di accatastare la ramaglia, bisogna avere l’accortezza di
distribuirla al meglio, sfruttando – se presenti – gli avvallamenti e le
buche del terreno per favorire la decomposizione del cumulo, che va posto
comunque ad una distanza di almeno 5 metri da sponde di corsi d’acqua,
sentieri e mulattiere, e di almeno 15 metri dal bordo di strade, piste di
accesso e viali tagliafuoco.
L’altra soluzione è legata all’eventuale possibilità di bruciare la ramaglia
ed i residui di lavorazione: attenzione però ai rischi di innesco di incendi
boschivi e ai divieti imposti a livello regionale o locale nei periodi di
grave pericolosità, che nelle regioni del nord Italia coincidono con
l’inverno e l’inizio primavera.
Consigliamo di limitare al massimo tale pratica, non solo per i rischi di
incendio (mai da sottovalutare!), ma anche per il fumo e gli elementi che la
legna verde emana bruciando a basso calore (ad esempio il creosoto, un
catrame oleoso e nero facilmente riconoscibile sulle canne fumarie o nei
camini).
Una volta eliminata o sistemata la ramaglia più fine, si procede al
concentramento ed all’esbosco dei tronchi, utilizzando la viabilità o le
strutture esistenti. Conoscere bene l’esatta dislocazione e condizione
delle strade forestali, la dotazione di mezzi meccanici, le attrezzature
specifiche, oltre che la conformazione e morfologia del terreno, permette di
organizzare al meglio il recupero del legname.
Ad esempio, all’interno delle tagliate è possibile, entro limiti definiti
dalle singole «Prescrizioni di massima e polizia forestale» (PMPF)
regionali, realizzare piste di esbosco temporanee (con obbligo di
ripristino) attraverso le quali far transitare i trattori muniti di
verricello per il recupero dei tronchi interi o tagliati «lunghi». Il
concentramento a strascico è tuttavia consentito, senza causare danni a
suolo e soprassuolo, solo dal letto di caduta sino alla più vicina via di
esbosco.
In assenza di viabilità forestale i sistemi da impiegare differiscono in
base a fattori quali la pendenza del versante, il tipo di legna da esboscare
(alto fusto o ceduo), nonché agli usi e alle abitudini locali.
Nei boschi cedui, dove i tronchi hanno forme e diametri irregolari, spesso
si preferisce tagliare i tronchi in lunghezze minori (2-3 metri al massimo),
legarli in piccoli fasci e farli pervenire a valle mediante i cosiddetti «palorci»
o fili a sbalzo, funi metalliche messe in opera al posto delle più complesse
e costose «gru a cavo» di cui però sfruttano i medesimi principi.
Entrambe le strutture necessitano in ogni caso di apposite autorizzazioni,
molto spesso rilasciate a cura delle singole amministrazioni comunali.
Nel caso di boschi d’alto fusto, ancorché di conifera, oltre ai sistemi già
descritti, sono molto efficaci sui versanti ripidi le canalette o «risine»
di materiale plastico o metallico, che consentono di inviare verso valle,
come in un lungo scivolo, la legna tagliata nelle varie parti del bosco.
Quando saranno terminate le operazioni di recupero di tutta la legna e della
ramaglia, sarà possibile procedere infine con i lavori necessari per
sistemare i solchi lasciati dai trattori o dai tronchi trascinati dal
verricello, per livellare o richiudere le piste temporanee realizzate, per
smontare le gru a cavo o i fili a sbalzo e per mettere a dimora delle
giovani piantine laddove si siano create radure o tagliate troppo ampie
senza rinnovazione naturale.
Arboreto da legno
Lavori
L’epoca per la messa a dimora delle piante è compresa tra ottobre e marzo.
Non vi è una regola precisa sulla scelta del periodo, anche se è bene tenere
presente che in autunno vi sono dei vantaggi dovuti al miglior adattamento
delle radici al suolo ancora «caldo» e alla minor traspirazione fogliare.
Le piantagioni nella tarda primavera sono comunque da evitarsi. Le piante
infatti, già entrate in vegetazione, subiscono uno «shock» da trapianto e
dovranno essere sottoposte a frequenti ed abbondanti irrigazioni. Tuttavia,
in funzione dell’andamento stagionale, si può approfittare del mese di marzo
con sufficiente tranquillità per impianti, sostituzione di fallanze o
arricchimenti.
Tralasciando la descrizione dettagliata di un nuovo impianto, a cui
dedicheremo più spazio ne «i Lavori» di settembre-ottobre, nella prima metà
di questo bimestre si può procedere a sostituire le fallanze derivanti da
impianti effettuati in autunno o negli anni precedenti, eliminando le piante
morte o non sviluppate, con l’accortezza di utilizzare le stesse specie ed
esemplari, di dimensioni uguali o leggermente superiori a quelli già in
vegetazione, per non alterare la struttura e la composizione del
popolamento.
Sempre in questo periodo si possono anche eseguire arricchimenti laddove
siano state messe a dimora latifoglie pregiate (ciliegio, noce, frassino,
quercia, ecc.) in purezza. Il caso è frequente negli impianti di vecchia
data dove l’uso delle specie «di accompagnamento» o «accessorie» non era
abituale o, addirittura, era considerato competitivo nei confronti delle
specie principali.
L’arricchimento è efficace però se fatto entro 3-5 anni al massimo
dall’impianto iniziale; dopo tale lasso temporale non si riuscirebbe più a
correggere eventuali difetti di crescita e migliorare quindi le
caratteristiche produttive (minor ramosità, fusti regolari e diritti, ecc.).
Le specie impiegabili sono diverse: pioppo (bianco e nero), olmo, ontano
(varie spp.), acero campestre e robinia sono solo alcune di queste.
In entrambi i casi è meglio procurarsi le piantine presso vivai che
rilascino la certificazione di provenienza ed il relativo passaporto (per
alcune specie è obbligatorio), soprattutto se queste sono da inserire in
impianti realizzati mediante finanziamenti del «Piano di sviluppo rurale».
Molte Regioni hanno vivai di proprietà, in cui vengono prodotte latifoglie
pregiate con differenti varietà e cloni adatti a specifiche condizioni
ambientali, preferibili rispetto a materiale vegetale di origine sconosciuta
o proveniente da aree geografiche magari molto lontane da quelle in cui si
sta operando.
Prima di effettuare l’acquisto delle piantine, verificate più di un
fornitore e, nel dubbio, rivolgetevi agli uffici competenti degli enti
locali (Comunità montane, Aziende regionali per le foreste, Corpo forestale
dello Stato, Province autonome).
Siepe campestre
Lavori
Nella campagna spesso si trovano luoghi con molte giovani piante.
Soprattutto nei boschi appena tagliati e sotto alberi solitari nascono in
abbondanza sambuco, acero, evonimo, biancospino, sanguinella, prugnolo,
alloro, querce e molte altre specie che possono essere sradicate e
trapiantate nelle siepi che hanno subito un taglio di utilizzazione (vedi «i
Lavori» di gennaio-febbraio, a pag. 69).
Per le siepi con orientamento est-ovest si devono scegliere specie
prevalentemente arbustive e a portamento basso, con l’accortezza inoltre, se
possibile, di localizzarle a sud di canali, strade o capezzagne, in modo da
ridurre ulteriormente l’ombreggiamento delle coltivazioni.
Diversamente, nelle siepi con andamento nord-sud, si devono inserire alberi
a medio e grande sviluppo, che forniranno prodotti legnosi senza ombreggiare
i prati o le colture adiacenti.
La piantagione deve rispettare le normali procedure di impianto:
a) scavate delle buche di dimensioni generose (50 x 50 x 50 cm) disponendo
una piccola palata di letame maturo sul fondo ricoperta da un successivo
leggero strato di terra;
b) scegliete e collocate a dimora piantine di almeno due anni, a radice nuda
o con pane di terra, facendo attenzione che il colletto (base del fusto,
visibile per il leggero rigonfiamento e per il cambio di colore della
corteccia) sia posto al livello che aveva in vivaio o nel vaso (si può
affondarlo al massimo per 2 cm);
c) riempite con terra fine dello scavo, comprimendola per farla aderire alle
radici;
d) utilizzate dei dischi pacciamanti od altro materiale (cortecce, ramaglie
cippate, paglia, ecc.) per contenere lo sviluppo di erbe e ricacci;
e) completate l’impianto posizionando dei pali tutori (che serviranno anche
ad individuare le piantine nelle successive manutenzioni) insieme ad
eventuali «shelter» o reti per la difesa dai danni che può provocare la
fauna selvatica (vedi Vita in campagna 1/2005, pag 49);
f) in ultimo accorciate i rami (tanto più se l’impianto viene effettuato in
prossimità della ripresa vegetativa) per evitare una eccessiva traspirazione
dovuta ad un eccesso di fogliame rispetto ad un apparto radicale non ancora
funzionante.
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