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L'Informatore Agrario

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Approfondimento

 
50
 22-28 Dic.

  2006
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Attualità POLITICA

L'Europa dimentica il mercato dell'olio

Le normative europee non sono adeguate

Mentre i prezzi dell’olio d’oliva fanno registrare un calo, dovuto anche alle buone produzioni, i consumatori dimostrano di apprezzare sempre più l’olio di qualità. Peccato che l’Ue non dia ai produttori gli strumenti adatti per sfruttare al meglio questa opportunità

Dopo un anno vissuto alla grande, la crescita dei prezzi del comparto dell’olio di oliva sembra rallentare la propria corsa, con una brusca diminuzione di quasi il 20% rispetto ai valori toccati nella scorsa estate.
A cosa si deve questa inversione di tendenza? Si tratta di un dato strutturale o congiunturale?
Qualche commentatore sostiene che il ritorno della Spagna a un’annata di carica dopo due campagne negative e le buone raccolte in altri Paesi del Mediterraneo (in particolare Siria e Turchia), nonché la sostanziale tenuta della produzione nazionale (vedi tabella) hanno aumentato l’offerta mondiale (+8,5%) facendo così scivolare al ribasso i prezzi per tutte le categorie di qualità dell’olio. Le quotazioni dell’extravergine sono scese, sulla piazza di Bari, a meno di 3,20 euro/kg, mentre il lampante sulle principali piazze di Calabria e Puglia è contrattato a circa 2 euro/kg.
Secondo i dati recentemente forniti dal Coi (Consiglio oleicolo internazionale) e presentati a Madrid a fine novembre vi è tuttavia un sostanziale equilibrio intorno a un valore di 2,8 milioni di tonnellate tra l’offerta e una domanda in forte crescita soprattutto nei nuovi Paesi consumatori.
Considerato questo trend è ragionevole attendersi una stabilizzazione del mercato e una ripresa nei prossimi mesi.
Premiata la qualità
È interessante osservare le mosse dei diversi soggetti della filiera attualmente molto cauti nella politica degli acquisti. Così come va registrata una maggiore disponibilità della grande distribuzione per azioni di non svilimento del prodotto, limitando le pressioni promozionali per sostituirle con spazi e iniziative dedicate ai segmenti di eccellenza: dop, igp, biologico, 100% italiano, monovarietale, denocciolato, ecc.
La grande distribuzione si è infatti accorta, secondo i dati Ismea-AcNielsen Homescan, che nello scorso anno, a fronte di un aumento dei prezzi, il volume delle vendite è sì diminuito (–2,5%), ma è altrettanto vero che è aumentato il giro di affari (+10,8%) e che il consumatore è particolarmente attento a una segmentazione della qualità. Ad esempio nello scorso anno è cresciuto in maniera impressionante il segmento del biologico, che ha presentato un aumento del 28,3% in volume e del 47,4% in valore.
Il diverso atteggiamento della grande distribuzione risente anche dei principi contenuti in una recente sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea che rende corresponsabile il distributore sulla veridicità dei contenuti delle etichette dei prodotti messi in vendita. Un’indicazione errata può infatti comportare una sanzione amministrativa di varie migliaia di euro.
L’attenzione del consumatore verso la qualità appare evidente nell’autentico crollo (–44% in volume e –26% in valore) degli acquisti di olio di sansa, il prodotto di più bassa qualità di tutta la categoria.
Più attenzione ai controlli
Un dato interessante, recentemente diffuso dalla Cia, è stato che nonostante gli aumenti del prezzo del prodotto nello scorso anno, le esportazioni italiane sono volate, specie verso Stati Uniti, Giappone e Cina. Meno volumi ma più fatturato. Il fatidico muro del miliardo di euro è stato abbattuto con un aumento in termini di valore del 20%. Segno di un consumatore, anche a livello internazionale, capace di comprendere le qualità e i valori nutrizionali, organolettici e salutistici del prodotto. Un consumatore attento, che cerca qualità e vuole conoscere l’identità e la storia del prodotto. E che deve essere tutelato.
Per questo va accolto favorevolmente il piano straordinario dei controlli preannunciato dall’Ispettorato centrale repressione delle frodi, su diretto incarico del ministro Paolo De Castro. Il programma prevede di investigare a fondo nel settore dell’olio accogliendo le richieste della parte agricola. Sono state opportunamente identificate alcune aree di rischio e alcuni territori da presidiare.
In particolare i controlli riguarderanno alcune aree strategiche del sistema olivicolo italiano come Puglia, Sicilia, Calabria, Toscana e Umbria.
Un intervento capillare sarà effettuato in collaborazione con l’Agenzia delle dogane nei porti di ingresso dei prodotti oleari. Infine i controlli avverranno anche nei centri di produzione e commercializzazione degli oli e in particolare in quella miriade di strutture (oltre 900 stabilimenti) oggi impegnati nella produzione di un presunto olio made in Italy che ha però solo il «piccolo» problema di essere composto prevalentemente da deodorato spagnolo e di essere venduto a prezzi estremamente bassi presso i canali della grande distribuzione.
Non è un caso che diverse raffinerie abbiano deciso di chiudere la propria attività.
Le carenze dell’Europa
È indubbio che il settore dell’olio di oliva stia vivendo una stagione di grande intensità con un’arena sempre più competitiva nella quale i diversi Sistemi Paese si devono confrontare.
Ma proprio perché assistiamo a una sfida globale è opportuno soffermarsi sulle regole di governance del settore.
L’impressione è che l’Unione Europea, che pur riveste un ruolo fondamentale di leadership mondiale del settore, abbia negli ultimi anni abdicato al proprio ruolo di gestione del mercato.
Lo dimostrano almeno le tre scelte seguenti.
Qualità.
Appare evidente a tutti come il regolamento 1019/2002 sia inadeguato. Non è possibile mancare di rispetto al consumatore non offrendogli la trasparenza che ricerca. L’indicazione in etichetta dell’origine delle olive deve essere resa obbligatoria. Così come per il mercato europeo deve essere vietata la fabbricazione e la commercializzazione delle miscele. Gravissimo appare il ritardo sul riconoscimento delle metodiche analitiche per lo smascheramento delle frodi soprattutto nei confronti degli oli deodorati e di quelli dove è presente l’olio di nocciola.
Promozione.
L’Unione Europea ha di fatto congelato le attività del Coi, ma appare fondamentale riprendere un’iniziativa rivolta soprattutto verso i mercati terzi dove sia presentato il binomio qualità-contributi salutistici dell’olio extravergine di oliva.
Organizzazione di mercato. La nuova ocm varata in particolare con i regolamenti 865/04 e 2080/05 appare del tutto inadeguata a sorreggere lo sforzo di crescita, aggregazione e competitività dell’olivicoltura europea in generale e di quella italiana in particolare.
Manca, infatti, nella nuova normativa tutta la parte concernente il mercato. Se ne sono accorti, nello scorso mese di novembre, i partecipanti all’ultima riunione del Comitato consultivo materie grasse che si è arenato sulle misure di tutela in caso di abbassamento dei prezzi e che ha lungamente discusso circa l’affidabilità delle informazioni statistiche del settore e sul ruolo dei soggetti della filiera.
La Commissione si è drasticamente chiamata fuori dimenticando però che nel caso dell’olio la riforma appena varata manca di un pezzo importante: quello relativo all’organizzazione di mercato, presente invece in altre ocm. Così come sul miglioramento delle condizioni di competitività dell’olivicoltura europea si sono stabiliti paletti inverosimili, ad esempio i divieti, presenti nel regolamento 2080/05 relativo ai piani triennali degli operatori, di finanziare programmi di attività che prevedono di far crescere la produzione o di razionalizzare le strutture di trasformazione.
Come può un Paese come l’Italia accettare un simile divieto avendo una struttura produttiva estremamente antiquata e una miriade di frantoi che devono poter crescere e razionalizzarsi?
Come i cani che abbaiano alla luna, i dibattiti e i programmi sull’utilizzazione degli impianti intensivi e superintensivi sembrano non riguardare la Commissione Ue. Sarebbe interessante chiedere agli olivicoltori italiani che hanno impiantato, secondo i dati forniti dalle organizzazioni dei vivaisti, oltre 10 milioni di piante negli ultimi tre anni se hanno provveduto a spiantare analoghe piantagioni o se hanno acquisito elementi informativi da parte degli uffici urbanistici del territorio sullo sviluppo di lottizzazioni in aree agricole che hanno comportato l’abbattimento di oliveti.
L’elemento sconcertante, soprattutto, è nella definizione dei soggetti della filiera.
Le organizzazioni degli operatori disegnate dalla Comunità sono libellule nella tempesta. Soggetti troppo deboli, che addirittura non devono avere strutture e risorse professionali proprie per affrontare il mercato.
Persino in Spagna l’organizzazione interprofessionale – secondo le affermazioni rilasciate in due interviste sull’autorevole Mercacei Magazin dal presidente dell’associazione spagnola degli esportatori (Asoliva), Juan Gomez Moya, e dal presidente del comitato consultivo del Coi, Francisco Molina – appare in coma profondo. Né migliore situazione può essere descritta per l’Italia o per la Grecia.
Non esistono dunque norme, nell’attuale ocm, che possano agevolare i fondamentali rapporti di filiera. Vi è la necessità di ragionare al più presto su un ridisegno degli organismi economici, sulle regole di filiera e sull’abbattimento di ogni muro che si frappone alla crescita, allo sviluppo e al successo del settore.
 

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Ranieri Filo della Torre



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