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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
   
49
 15-21 Dic.

  2006
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Editoriale

Gli agricoltori e il diritto d'uso dell'ambiente
Geremia Gios

Il mondo agricolo, che interagisce strettamente con l’ambiente, non può solo limitarsi a recepire i nuovi approcci legislativi sull’utilizzo delle risorse naturali che tendono a condizionarne l’attività, ma deve assumere un ruolo più propositivo

Le analisi relative alle modifiche recenti nelle politiche che interessano il settore agricolo tendono a sottovalutare l’importanza di un mutamento di fondo su cui le stesse implicitamente si basano. Siamo, infatti, abituati a considerare le politiche che incidono direttamente sul settore trascurando i provvedimenti che modificano il quadro complessivo entro cui lo stesso è chiamato a operare.
In tale quadro particolarmente rilevanti, per le conseguenze che prevedibilmente avranno nei prossimi anni, sono i mutamenti in atto nel diritto d’uso delle risorse naturali. In proposito è noto che l’agricoltura, a differenza della maggior parte delle altre attività economiche, si caratterizza proprio per il peso che le risorse naturali hanno nel processo produttivo, risorse che rappresentano la base stessa dell’attività agricola.
Fino a pochi anni fa l’utilizzo della maggior parte di tali risorse naturali era possibile senza vincoli particolari. La proprietà o il diritto all’utilizzo della terra garantiva praticamente un automatico diritto all’uso o all’interferenza con altre risorse naturali in qualche misura collegate con quella stessa terra. Interferenze con l’aria, il sottosuolo, le conseguenze sul paesaggio, le modifiche nella biodiversità non venivano semplicemente considerate. Oggi non è più così.
Le modalità di coltivazione che è possibile attuare iniziano a essere fortemente condizionate dalle conseguenze che le stesse hanno su diversi fattori naturali. In effetti, vi è ancora chi ritiene che il tradizionale binomio agricoltura-ambiente possa costituire semplicemente una ragione per mantenere gli interventi a favore del settore agricolo. Siamo stati abituati a interventi di politica economica che premiano le modalità di coltivazione virtuose nei confronti dell’ambiente. Molto meno diffusi sono invece i divieti o la penalizzazione economica di pratiche che hanno come conseguenza un possibile deterioramento dell’ambiente.
Tale modo d’agire discende dal ritenere implicitamente l’ambiente «proprietà» dell’agricoltore.
Al contrario, diventa via via più forte l’opinione che l’ambiente sia una «proprietà» di tutti. Partendo da tale principio i comportamenti virtuosi sono semplicemente dovuti, mentre quelli che portano conseguenze negative vanno proibiti o fortemente penalizzati. Si tratta di una situazione opposta a quella attuale e che porterebbe, evidentemente, a notevoli condizionamenti nello svolgimento dell’attività agricola relativi non solo a pratiche moderne, ma anche tradizionali. Del resto inizia a essere sempre più diffusa un’immagine non reale di cosa sia effettivamente l’attività agricola.
Al tempo stesso, anche le modalità con cui l’incidenza delle stesse pratiche tradizionali sull’ambiente vengono valutate risentono sempre più di un’ottica urbana. Si possono portare in proposito due esempi minimi, ma significativi. Il primo relativo alla crescente diffusione di provvedimenti volti a limitare l’uso di pratiche tradizionali quali la bruciatura di residui di potatura o di coltivazione al fine di evitare la produzione di polveri sottili o di anidride carbonica. Il secondo relativo alla circostanza che sempre più frequentemente si vedono documenti in cui tra le principali fonti di gas serra compare l’allevamento del bestiame. Ora, se è vero che la bruciatura di residui vegetali porta a produrre polveri e anidride carbonica, è altrettanto vero che un acritico divieto non appare, anche sotto il profilo ambientale, molto giustificato. Tutto ciò tenendo conto del fatto che le polveri vengono prodotte in spazi aperti e rimangono in aria per un tempo limitato e che la produzione di anidride carbonica, a partire da residui vegetali nella maggior parte degli ambienti italiani, avviene comunque nel giro di pochi anni. Per quanto concerne poi la produzione di gas serra da parte degli allevamenti è pur vero che questa è notevole, ma sarebbe necessario tener conto, cosa che non viene quasi mai fatta, dell’intera filiera e quindi bisognerebbe detrarre dal totale di gas a effetto serra prodotti la quota assorbita dalle coltivazioni che servono ad alimentare il bestiame.
In definitiva si è, quindi, dell’avviso che sia necessario, in materia di diritti d’uso dell’ambiente, che il mondo agricolo non si limiti a un recepimento passivo dei nuovi approcci che si stanno consolidando, ma sviluppi delle proposte che, anticipando problematiche sempre più attuali, offrano soluzioni adeguate alle sue peculiari esigenze.
Anche per questo particolare aspetto, quindi, è necessario rielaborare una visione del ruolo complessivo del settore agricolo come condizione preliminare perché lo stesso possa avere un futuro.
 

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