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Gli agricoltori e il diritto d'uso dell'ambiente |
Il mondo agricolo, che interagisce strettamente con l’ambiente, non
può solo limitarsi a recepire i nuovi approcci legislativi sull’utilizzo
delle risorse naturali che tendono a condizionarne l’attività, ma deve
assumere un ruolo più propositivo
Le analisi relative alle modifiche recenti nelle politiche
che interessano il settore agricolo tendono a sottovalutare l’importanza di
un mutamento di fondo su cui le stesse implicitamente si basano. Siamo,
infatti, abituati a considerare le politiche che incidono direttamente sul
settore trascurando i provvedimenti che modificano il quadro complessivo
entro cui lo stesso è chiamato a operare.
In tale quadro particolarmente rilevanti, per le conseguenze che
prevedibilmente avranno nei prossimi anni, sono i mutamenti in atto nel
diritto d’uso delle risorse naturali. In proposito è noto che l’agricoltura,
a differenza della maggior parte delle altre attività economiche, si
caratterizza proprio per il peso che le risorse naturali hanno nel processo
produttivo, risorse che rappresentano la base stessa dell’attività agricola.
Fino a pochi anni fa l’utilizzo della maggior parte di tali risorse naturali
era possibile senza vincoli particolari. La proprietà o il diritto
all’utilizzo della terra garantiva praticamente un automatico diritto
all’uso o all’interferenza con altre risorse naturali in qualche misura
collegate con quella stessa terra. Interferenze con l’aria, il sottosuolo,
le conseguenze sul paesaggio, le modifiche nella biodiversità non venivano
semplicemente considerate. Oggi non è più così.
Le modalità di coltivazione che è possibile attuare iniziano a essere
fortemente condizionate dalle conseguenze che le stesse hanno su diversi
fattori naturali. In effetti, vi è ancora chi ritiene che il tradizionale
binomio agricoltura-ambiente possa costituire semplicemente una ragione per
mantenere gli interventi a favore del settore agricolo. Siamo stati abituati
a interventi di politica economica che premiano le modalità di coltivazione
virtuose nei confronti dell’ambiente. Molto meno diffusi sono invece i
divieti o la penalizzazione economica di pratiche che hanno come conseguenza
un possibile deterioramento dell’ambiente.
Tale modo d’agire discende dal ritenere implicitamente l’ambiente
«proprietà» dell’agricoltore.
Al contrario, diventa via via più forte l’opinione che l’ambiente sia una
«proprietà» di tutti. Partendo da tale principio i comportamenti virtuosi
sono semplicemente dovuti, mentre quelli che portano conseguenze negative
vanno proibiti o fortemente penalizzati. Si tratta di una situazione opposta
a quella attuale e che porterebbe, evidentemente, a notevoli condizionamenti
nello svolgimento dell’attività agricola relativi non solo a pratiche
moderne, ma anche tradizionali. Del resto inizia a essere sempre più diffusa
un’immagine non reale di cosa sia effettivamente l’attività agricola.
Al tempo stesso, anche le modalità con cui l’incidenza delle stesse pratiche
tradizionali sull’ambiente vengono valutate risentono sempre più di
un’ottica urbana. Si possono portare in proposito due esempi minimi, ma
significativi. Il primo relativo alla crescente diffusione di provvedimenti
volti a limitare l’uso di pratiche tradizionali quali la bruciatura di
residui di potatura o di coltivazione al fine di evitare la produzione di
polveri sottili o di anidride carbonica. Il secondo relativo alla
circostanza che sempre più frequentemente si vedono documenti in cui tra le
principali fonti di gas serra compare l’allevamento del bestiame. Ora, se è
vero che la bruciatura di residui vegetali porta a produrre polveri e
anidride carbonica, è altrettanto vero che un acritico divieto non appare,
anche sotto il profilo ambientale, molto giustificato. Tutto ciò tenendo
conto del fatto che le polveri vengono prodotte in spazi aperti e rimangono
in aria per un tempo limitato e che la produzione di anidride carbonica, a
partire da residui vegetali nella maggior parte degli ambienti italiani,
avviene comunque nel giro di pochi anni. Per quanto concerne poi la
produzione di gas serra da parte degli allevamenti è pur vero che questa è
notevole, ma sarebbe necessario tener conto, cosa che non viene quasi mai
fatta, dell’intera filiera e quindi bisognerebbe detrarre dal totale di gas
a effetto serra prodotti la quota assorbita dalle coltivazioni che servono
ad alimentare il bestiame.
In definitiva si è, quindi, dell’avviso che sia necessario, in materia di
diritti d’uso dell’ambiente, che il mondo agricolo non si limiti a un
recepimento passivo dei nuovi approcci che si stanno consolidando, ma
sviluppi delle proposte che, anticipando problematiche sempre più attuali,
offrano soluzioni adeguate alle sue peculiari esigenze.
Anche per questo particolare aspetto, quindi, è necessario rielaborare una
visione del ruolo complessivo del settore agricolo come condizione
preliminare perché lo stesso possa avere un futuro.
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