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Capitale umano motore dell'impresa |
Mentre ieri, con la pac e la garanzia dei prezzi, era fondamentale il
lavoro manuale, oggi, in un quadro politico ed economico in continuo
cambiamento, è la capacità dell’imprenditore agricolo a fare la differenza
Nel Dopoguerra, negli anni 50, la riforma agraria italiana mirò alla
creazione della piccola proprietà coltivatrice. E così un’intera generazione
di mezzadri, coloni, braccianti, diventarono, nel giro di pochi anni,
piccoli coltivatori diretti. Ovvero proprietari, lavoratori e imprenditori.
Ma come è stato possibile trasformare una classe di coltivatori, poco più
che analfabeti, in imprenditori capaci di dare un contributo fondamentale
allo sviluppo del settore agricolo e dell’economia italiana?
Accanto alle riforme agrarie fu realizzata in Europa una politica agricola
comune fondata essenzialmente sulla gestione dei mercati.
Grazie alla pac, l’imprenditore aveva davanti a sé un mercato stabile, con
prezzi garantiti e fissati politicamente, che in tutti i settori riuscivano
a coprire i costi di produzione e ad assicurare un minimo di reddito. La
garanzia dei redditi era un valore condiviso sia dai produttori che dalla
società.
In tal modo il nostro ex mezzadro, ex bracciante, ecc., che nel frattempo
era diventato proprietario, coltivatore e imprenditore, ha potuto
valorizzare la propria attitudine, quella di essere un lavoratore molto
incline al sacrificio, senza che la sua scarsa capacità imprenditoriale
influisse negativamente sulla sua impresa.
Nel frattempo, si è dotato di capitali, ha incrementato la produttività, ha
industrializzato la produzione agricola con una sempre maggiore dotazione di
macchine agricole.
Era come andare di notte con un auto a fari spenti. I fari rappresentano la
capacità imprenditoriale e il lavoro rappresenta la capacità di guidare la
macchina. Il nostro ex coltivatore, ex mezzadro, ex bracciante poteva
guidare a fari spenti perché la strada su cui marciava era estremamente
larga e senza curve.
Oggi la realtà è cambiata, la strada è stretta e con molte curve che
richiedono, non solo di dover accendere i fari, ma anche di guidare con
molta prudenza e con lungimiranza, ovvero richiede un imprenditore che
sappia individuare la strada giusta per la propria impresa, che abbia gli
occhi bene aperti (i fari accesi), che abbia, insomma, delle ottime capacità
imprenditoriali. Anche la società è cambiata, chiede nuovi obiettivi
all’agricoltura: qualità, sicurezza alimentare, ambiente, sviluppo rurale.
Oggi occorre in primo luogo la capacità imprenditoriale, ovvero la presenza
di un imprenditore che individua una strategia imprenditoriale di successo,
che pianifica il mercato e la produzione, che coordina e organizza i fattori
della produzione e si assume il rischio d’impresa.
Mentre ieri era fondamentale il lavoro manuale e il capitale, oggi è
fondamentale il fattore umano, il fattore imprenditoriale.
Ma era meglio nel passato, qualcuno dirà!
Sicuramente sì, ma oggi è sbagliato pensare che si possano riprodurre i
modelli del passato.
Un atteggiamento è generalmente errato: lo descrivo con un esempio.
Un vecchio agricoltore elogiava le capacità del figlio, giovane agricoltore,
un grande lavoratore, disponibile a fare sacrifici, a irrigare di notte, a
lavorare molte ore al giorno. Ma lamentava la difficoltà a fare reddito.
Tanto lavoro e poco reddito! Osservazione: quel giovane era un ottimo
operaio agricolo, ma non un imprenditore. Quanti casi come questi ci sono in
Italia? L’impresa agricola, seppur piccola, è un’impresa; oggi non è più
sufficiente essere dei buoni lavoratori.
Oggi i 2/3 dello sviluppo di un’attività economica, anche nel settore
agricolo, dipendono dalle abilità del fattore umano. Vedo imprenditori che
hanno successo sia nei settori tradizionali che nei settori innovativi: alla
base c’è sempre il fattore umano.
Allora tre indicazioni.
Per gli imprenditori, investire sul proprio capitale umano (esistono realtà
positive a cui guardare perché è fondamentale, per crescere, osservare chi
può insegnare qualcosa di nuovo). Più formazione e meno trattori.
Per le organizzazioni professionali, educare alla imprenditorialità e
sostenere gli imprenditori agricoli in questo continuo lavoro di
adattamento. Più educazione e meno conservatorismo corporativo.
Per l’amministrazione pubblica: nei Psr, invece che pensare solo agli
investimenti in capitale fisico, si utilizzino bene le cinque misure
relative al capitale umano. Più voucher formativi e meno erogazioni a
pioggia. Ciò che può salvare l’agricoltura italiana da un possibile declino
è un’inversione di tendenza rispetto al passato che ponga al centro
l’investimento in capitale umano.
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