Pellet di legno dalle filiere agricole un’opportunità, ma
c’è ancora tanto da fare
- Turni quinquennali, più adatti al pellet
- Un’occasione per l’agricoltura
Per il secondo inverno consecutivo, dopo quello 2005-2006, anche
quest’anno il mercato nazionale del pellet evidenzia una certa scarsità di
prodotto. I «preziosi cilindretti», costituiti da legno macinato e pressato
e utilizzati in Italia soprattutto per alimentare le stufe, sono diventati
una merce veramente rara.
Negli ultimi anni la vendita di stufe ha registrato incrementi a due cifre,
mentre la produzione nazionale di pellet è cresciuta più lentamente, creando
un deficit di offerta colmato per lo più tramite importazioni dall’Austria e
da altri Paesi del Nord Europa.
E quando la merce scarseggia, si sa, qualcuno pur di soddisfare il mercato
mette in commercio anche materiale di qualità scadente.
Nel caso del pellet, poi, la mancanza di una normativa cogente sulle
caratteristiche del biocombustibile spinge gli operatori a commercializzare
prodotto ottenuto da legno lavorato, anziché vergine, o con contenuti
elevati di cenere.
Le dimensioni del mercato
In Italia la questione è ancor più delicata visto che il pellet viene
utilizzato per la gran parte nelle stufe collocate all’interno di locali
abitati. E anche quest’anno i produttori di stufe prevedono una campagna
commerciale estremamente favorevole, con oltre 100.000 pezzi venduti.
Il pellet, praticamente sconociuto in Italia fino agli inizi degli anni 90,
oggi rappresenta un mercato di oltre 400.000 t delle quali circa 250.000
prodotte in Italia. Va precisato che questi dati sono delle stime effettuate
da operatori del settore, in quanto non esiste un sistema di rilevazione
ufficiale.
Di certo si sa che la mancanza di pellet sta portando i prezzi di questo
prodotto a livelli insospettabili solo un paio di anni fa. In alcuni punti
vendita confezioni di 15 kg vengono pagate fino a 5 euro, vale a dire 0,33
euro/kg. All’ingrosso tuttavia si osserva una forte riduzione del prezzo.
Acquistando almeno un pallet, ovvero 10 q di prodotto, si può arrivare a
spuntare un prezzo di 230-240 euro (0,23-0,24 euro/kg). Con queste premesse
alcune organizzazioni di agricoltori e società di servizi hanno cominciato a
intravedere la possibilità di coltivare specie legnose a rapido
accresciemento e trasformarle in pellet.
Dal punto di vista economico probabilmente la filiera può stare in piedi. I
prezzi sono interessanti, ma chiunque pensi di tarare l’investimento
necessario a costruire la filiera agricoltura-pellet sui prezzi attuali
commetterebbe un errore. Il limite di convenienza all’uso del pellet
rispetto al metano si colloca infatti su un valore del prodotto al dettaglio
intorno a 4 euro: ben il 20% più basso di quello attualmente proposto dal
mercato. Nel medio-lungo periodo è prevedibile una diminuzione dei prezzi
dovuta all’aumento dell’offerta o alla contrazione della domanda quale
conseguenza di un costo eccessivo del pellet.
Le questioni da risolvere
Da un punto di vista tecnico le questioni da risolvere sono invece ancora
tante. Prima fra tutte la qualità del pellet che si vuole andare a produrre.
Quello di buona qualità, destinato ad alimentare le stufe, deve avere un
contenuto in ceneri inferiore all’1% e deve essere ottenuto da legno
vergine.
E siccome le ceneri sono presenti per lo più nella corteccia, ne deriva
l’obbligo di utilizzare per la produzione del pellet materia prima con un
basso tenore in corteccia.
Le colture da pellet
Con questa premessa, pensare all’impiego di legno ottenuto dalle piantagioni
con turni di raccolta di uno o due anni potrebbe portare all’ottenimento di
pellet di qualità non ottimale. La percentuale di corteccia risulterebbe
infatti elevata, incompatibile con le caratteristiche del pellet di alta
qualità.
Più adatta allo scopo potrebbe essere materia prima ottenuta da arboreti con
turni di almeno 5 anni. I fusti raggiungono diametri maggiori ed è quindi
possibile procedere all’eliminazione della corteccia. Ma il legname ottenuto
da queste piantagioni è appetito anche da altre industrie, come quella della
carta. Va quindi attentamente valutata la convenienza economica e la
capacità competitiva della filiera del pellet.
Altro aspetto da tener presente è la necessità di avere a disposizione
impianti per la frantumazione e l’essiccazione del legno. La materia prima
di origine agricola va sminuzzata e ridotta in fine segatura. Inoltre non di
rado la biomassa agricola presenta tenori di umidità superiori al 50% che
impongono un processo di essiccazione, perché il legno deve entrare nella
trafila (la macchina che produce di fatto il pellet) con un contenuto di
acqua non superiore all’11%. Si tratta di operazioni molto energivore e
quindi costose.
Il pellet industriale
Il medesimo fabbisogno di energia è necessario anche per produrre il pellet
industriale. Una tipologia di qualità inferiore e indicata per gli usi in
caldaia: in questo caso il contenuto in ceneri può essere decisamente più
alto, anche intorno al 2,5-3%. Le caldaie presentano infatti sistemi di
estrazione delle ceneri automatizzati, mentre le stufe richiedono
l’intervento manuale dell’opratore: da limitare il più possibile per ragioni
di praticità.
Il pellet industriale potrebbe essere un’alternativa per il prodotto
ottenuto da short rotation a ciclo biennale o triennale che presenta un alto
contenuto di corteccia. Va però ricordato che il prezzo in questo caso è
decisamente inferiore a quello del pellet di qualità.
Il futuro
Un prodotto ad alto valore aggiunto come il pellet potrebbe diventare una
opportunita per l’agricoltura, tuttavia si rendono necessari investimenti
importanti e studi più approfonditi sulla sostenibilità economica della
filiera.
Oggi il pellet viene prodotto quasi esclusivamente a partire dalla segatura:
un materiale di scarto già sminuzzato e secco. Alcune Regioni stanno
avviando progetti di ricerca e sperimentali per verificare la possibilità di
sostenere filiere agricole e forestali per la produzione del pellet. In ogni
caso le dimensioni dell’investimento richiederanno con ogni probabilità agli
agricoltori di agregarsi in cooperative o associazioni. E magari queste
associazioni potrebbero risalire lungo la filiera e diventare produttori di
calore attaverso il loro pellet, anziché semplici produttori di materia
prima, come accade in molti Paesi del Nord Europa.
Si ringrazia Aiel (Associazione italiana per l’energia
del legno) per il materiale e i dati forniti.
|