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Il grano duro italiano comincia a riprendere
fiato |
Le superfici tornano a crescere
L’aumento degli investimenti è stimato tra i 60.000 e i 120.000 ha. Il
fenomeno è aiutato da un livello delle quotazioni che non si registrava da
anni
Nel giro di tre annate, le semine italiane di frumento
duro sono diminuite di oltre 500.000 ha, persi per effetto della riforma
della pac del 2003, ma segnali di inversione di tendenza si stanno
concretizzando nelle ultime settimane.
La potenza del disaccoppiamento ha prodotto i suoi prevedibili effetti,
nella misura in cui sopprime la spinta dell’agricoltore alla ricerca del
premio differenziale, giacché, con il regime del pagamento unico aziendale,
gli aiuti della pac sono costanti e non dipendono più dalle scelte
produttive.
Inoltre, c’è stato un visibile maggiore orientamento al mercato da parte
delle imprese agricole che ha portato molti a sostituire il grano duro con
coltivazioni maggiormente performanti, tenuto conto delle condizioni
agronomiche, aziendali e mercantili nelle quali si opera.
Il ridimensionamento produttivo ha allarmato sia gli operatori economici
della filiera, sia le istituzioni, preoccupati entrambi dei possibili
contraccolpi negativi sul sistema produttivo nazionale della semola e della
pasta: prodotti simbolo dell’agroalimentare italiano. Sono perciò state
avviate iniziative per individuare misure utili a rivitalizzare un settore
che rischia un eccessivo ridimensionamento e qualche primo segnale di
risveglio e di disponibilità è stato notato, sia a livello nazionale, che
localmente.
Ad aiutare il processo di inversione di tendenza sono intervenuti due
eventi. Il primo è l’equilibrio nel mercato cerealicolo internazionale che
ha subito un forte contraccolpo a seguito di una allarmante situazione di
eccesso della domanda sull’offerta, le cui conseguenze si sono avvertite
anche sul segmento del frumento duro.
L’effetto più eclatante di questo fenomeno lo si può rinvenire osservando il
livello delle quotazioni. Lo scorso anno di questo periodo erano stabili
attorno a 15 euro/t, oggi si attestano su 19 euro/t.
È chiaro che con tali prezzi molti agricoltori rivedono le condizioni di
convenienza economica che negli ultimi anni erano svanite.
Certo, si deve considerare che il mercato dei cereali tipicamente è soggetto
a fenomeni di accentuata volatilità dei prezzi (un altro boom si era
verificato alla metà degli anni Novanta). Quindi non si sa fino a che punto
si sia in presenza di una situazione strutturale o passeggera.
Filiera, qualcosa si muove
Il secondo evento che induce a ritenere possibile l’inizio di una nuova
fortunata stagione per il grano duro in Italia è la crescente e
generalizzata consapevolezza della necessità di una razionalizzazione e di
una più moderna organizzazione della filiera a livello nazionale.
Operatori economici e istituzioni hanno compreso questa esigenza e hanno
iniziato a formulare delle risposte operative che vanno nella giusta
direzione.
Il progetto Sigrad (vedi anche L’Informatore Agrario n. 43/2006, pag.
14) mette insieme i principali operatori dell’agricoltura, del commercio e
dell’industria e li unisce in una esperienza che, nel caso avesse successo,
dovrebbe favorire una nuova mentalità e diffondere l’impiego di strumenti
quali la programmazione, l’approccio contrattuale, la produzione secondo
disciplinari e il pagamento differenziato in base ai requisiti mercantili
richiesti dagli utilizzatori.
In Sicilia stanno prendendo piede iniziative di coordinamento della filiera
che vedono impegnati tutti gli attori della filiera. Uno degli esempi che
sta riscuotendo un forte interesse da parte degli operatori è il consorzio
Crisma, che propone disciplinari di coltivazione e pagamenti supplementari
rispetto al prezzo base nel caso siano rispettate alcune caratteristiche
merceologiche (tenore di proteine), logistiche (stoccaggi differenziati) e
tecniche.
Non mancano iniziative spontanee di agricoltori che si mettono insieme, si
coordinano per aggregare l’offerta e si presentano nei confronti degli
acquirenti con un pacchetto prodotti-servizi calibrato rispetto alle
esigenze della domanda.
Sullo sfondo, vi sono alcune certezze che non sono mai mancate e che non
hanno mai fatto venire meno la fiducia degli operatori nei confronti della
filiera del grano duro in Italia.
A differenza di molti altri prodotti alimentari (ad esempio, l’ortofrutta),
i consumi domestici di pasta sono tendenzialmente in aumento, anche se in
modo lieve. Nel contempo, le esportazioni italiane continuano a crescere,
sia in quantità che in valore. Produrre grano duro e pasta in Italia è per
gli operatori economici un’attività strettamente legata al mantenimento di
un sistema produttivo vitale che consolida l’antico primato a livello
internazionale.
Semine in crescita
L’insieme degli elementi citati ha prodotto un primo segnale di risveglio di
attenzione da parte degli agricoltori che si sta concretizzando nell’aumento
delle semine autunnali di frumento duro. Le stime che circolano indicano un
aumento compreso tra 60.000 e 120.000 ha che coinvolge tutte le
circoscrizioni geografiche (il Nord, il Centro e il Meridione). La maggior
parte degli operatori che conoscono l’andamento del mercato prevedono un
balzo compreso tra il 5 e il 10%. I più ottimisti vanno oltre e prefigurano
nel medio termine il superamento della soglia di 1,65 milioni di ettari.
È prematuro però sbilanciarsi in considerazioni eccessivamente ottimistiche.
Potrebbe anche essere una fiammata passeggera e presto si potrebbe tornare
al trend discendente del 2005 e del 2006.
Ecco perché si avverte il bisogno di azioni mirate che creino le condizioni
per una autentica modernizzazione e un vero risveglio di interesse.
Sotto tale profilo, il primo è più urgente progetto sul quale lavorare è la
valorizzazione della qualità, con incentivi allettanti per le imprese
agricole.
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