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Aggregazione e marketing chiavi del successo |
Concentrare l’offerta e investire in politiche di marketing
sollecitando direttamente la domanda del consumatore sono elementi
importanti a cui il settore agricolo deve puntare per controbilanciare il
potere della grande distribuzione
Ho avuto modo di parlare in questi giorni con il direttore
di un grande consorzio cooperativo sui rapporti esistenti con la grande
distribuzione organizzata (gdo). Costui, tra l’altro, mi ha fatto
un’osservazione molto semplice, direi quasi banale, ma alla quale spesso non
si pensa. L’osservazione è la seguente: l’unico vero detentore del valore di
un bene è il consumatore finale, tutti gli operatori che si trovano a monte
– la distribuzione, la trasformazione, la produzione, ecc. – sono impegnati
a trattenere nelle loro mani la quota maggiore del valore che il consumatore
riconoscerà al prodotto sullo scaffale.
È, come ho anticipato, una osservazione semplicissima, ma da questa
situazione derivano una serie di conseguenze molto importanti per le
relazioni di filiera. Sempre quel direttore mi diceva, infatti, che è pura
fantasia credere che tra operatori che si trovano su trincee contrapposte
per dividersi lo stesso valore si possa pensare di poter concludere dei
rapporti di collaborazione e mi portava ad esempio i tanti pezzi di carta,
pomposamente chiamati accordi di filiera, tra le organizzazioni
professionali agricole, le stesse unioni di produttori e i rappresentanti
della gdo.
Proprio su queste pagine (L’Informatore Agrario n. 18/2006) ho
presentato qualche tempo fa come un caso di successo il contratto quadro
stipulato tra Unaproa e Auchan, a norma del decreto legislativo n. 102/2005,
per la fornitura alla grande catena francese di 3.500 t di mele. A parte il
fatto che mi piacerebbe sapere come sta andando questa prima esperienza, è
anche vero che questo è un contratto, cioè un atto che regola interessi
contrapposti, non uno di quegli accordi dove alla fine tutti dichiarano che
si faranno grandi cose, soprattutto quando a sottoscriverlo, dalla parte
agricola, sono le organizzazioni professionali, che non detengono nemmeno un
chilogrammo di prodotto e non hanno nessuno strumento per imporre ai propri
associati i comportamenti virtuosi previsti nell’accordo.
Tuttavia in quel contratto, che ripeto è un esempio interessante di quello
che si potrebbe fare, le mele erano trattate come una commodity.
Non è detto che fosse una scelta sbagliata, soprattutto se era l’unica
possibile, ma se il detentore del valore è il consumatore, solo l’impresa
che apporterà al bene tutti quei requisiti (tipicità, sicurezza,
esclusività, reputazione, credibilità, servizio incorporato nel prodotto,
ecc.), ai quali il consumatore riconosce valore, potrà conquistarne la quota
maggiore.
È l’esperienza che, purtroppo, viviamo tutti i giorni quando lamentiamo che
il prodotto esce dal campo a un prezzo vile e arriva sullo scafale a prezzi
dieci volte superiori.
Per superare questo limite non basta il riconoscimento di dop, igp, doc o di
qualsiasi altro blasone. Un esempio che sta davanti gli occhi di tutti è il
caso del Parmigiano- Reggiano (ma lo stesso varrebbe per il Grana Padano e
per altri prodotti tipici) che viene trattato alla produzione come una
commodity.
Diverso, invece, il caso di Melinda, la mela dop della Val di Non. Il valore
di Melinda non è dato dal riconoscimento dop ma, dopo le caratteristiche
merceologiche delle sue mele, dalla concentrazione dell’offerta, dalla
marca, dalla strategia di prezzo, dal forte investimento in comunicazione e
promozione rivolto direttamente al consumatore, non per pubblicizzare una
commodity, ma un marchio d’impresa garante di tutti quei valori materiali e
immateriali ai quali il consumatore riconosce valore. Non per niente un
altro terreno di conflitto con la gdo sono i marchi del produttore, ai quali
la grande distribuzione preferisce sostituire i propri marchi commerciali,
perché solo così può aumentare la fedeltà all’insegna e conquistare maggiore
valore.
In conclusione, la ricetta è sempre la stessa, concentrare l’offerta, ma non
basta più puntare sulla strategia di prezzo a fronte delle economie di costo
possibili nella fase produttiva: bisogna disporre della dimensione per
investire in politiche di marketing (prodotto, prezzo, distribuzione e
comunicazione) che possano permettere di andare oltre la gdo, sollecitando
direttamente la domanda del consumatore.
Non tutte le imprese possono raggiungere la dimensione necessaria per
disporre delle risorse e delle capacità manageriali per diventare un altro
caso «Melinda», ecco perché l’interprofessione continua a essere, per il
momento, la strada da percorrere, ma sono ancora in attesa di una risposta
se e come tale strada possa essere percorsa o se può essere sostituita con
qualche altro strumento contrattuale.
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