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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
   
46
 24-30 Nov.

  2006
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Editoriale

Aggregazione e marketing chiavi del successo
Corrado Giacomini

Concentrare l’offerta e investire in politiche di marketing sollecitando direttamente la domanda del consumatore sono elementi importanti a cui il settore agricolo deve puntare per controbilanciare il potere della grande distribuzione

Ho avuto modo di parlare in questi giorni con il direttore di un grande consorzio cooperativo sui rapporti esistenti con la grande distribuzione organizzata (gdo). Costui, tra l’altro, mi ha fatto un’osservazione molto semplice, direi quasi banale, ma alla quale spesso non si pensa. L’osservazione è la seguente: l’unico vero detentore del valore di un bene è il consumatore finale, tutti gli operatori che si trovano a monte – la distribuzione, la trasformazione, la produzione, ecc. – sono impegnati a trattenere nelle loro mani la quota maggiore del valore che il consumatore riconoscerà al prodotto sullo scaffale.
È, come ho anticipato, una osservazione semplicissima, ma da questa situazione derivano una serie di conseguenze molto importanti per le relazioni di filiera. Sempre quel direttore mi diceva, infatti, che è pura fantasia credere che tra operatori che si trovano su trincee contrapposte per dividersi lo stesso valore si possa pensare di poter concludere dei rapporti di collaborazione e mi portava ad esempio i tanti pezzi di carta, pomposamente chiamati accordi di filiera, tra le organizzazioni professionali agricole, le stesse unioni di produttori e i rappresentanti della gdo.
Proprio su queste pagine (L’Informatore Agrario n. 18/2006) ho presentato qualche tempo fa come un caso di successo il contratto quadro stipulato tra Unaproa e Auchan, a norma del decreto legislativo n. 102/2005, per la fornitura alla grande catena francese di 3.500 t di mele. A parte il fatto che mi piacerebbe sapere come sta andando questa prima esperienza, è anche vero che questo è un contratto, cioè un atto che regola interessi contrapposti, non uno di quegli accordi dove alla fine tutti dichiarano che si faranno grandi cose, soprattutto quando a sottoscriverlo, dalla parte agricola, sono le organizzazioni professionali, che non detengono nemmeno un chilogrammo di prodotto e non hanno nessuno strumento per imporre ai propri associati i comportamenti virtuosi previsti nell’accordo.
Tuttavia in quel contratto, che ripeto è un esempio interessante di quello che si potrebbe fare, le mele erano trattate come una commodity.
Non è detto che fosse una scelta sbagliata, soprattutto se era l’unica possibile, ma se il detentore del valore è il consumatore, solo l’impresa che apporterà al bene tutti quei requisiti (tipicità, sicurezza, esclusività, reputazione, credibilità, servizio incorporato nel prodotto, ecc.), ai quali il consumatore riconosce valore, potrà conquistarne la quota maggiore.
È l’esperienza che, purtroppo, viviamo tutti i giorni quando lamentiamo che il prodotto esce dal campo a un prezzo vile e arriva sullo scafale a prezzi dieci volte superiori.
Per superare questo limite non basta il riconoscimento di dop, igp, doc o di qualsiasi altro blasone. Un esempio che sta davanti gli occhi di tutti è il caso del Parmigiano- Reggiano (ma lo stesso varrebbe per il Grana Padano e per altri prodotti tipici) che viene trattato alla produzione come una commodity.
Diverso, invece, il caso di Melinda, la mela dop della Val di Non. Il valore di Melinda non è dato dal riconoscimento dop ma, dopo le caratteristiche merceologiche delle sue mele, dalla concentrazione dell’offerta, dalla marca, dalla strategia di prezzo, dal forte investimento in comunicazione e promozione rivolto direttamente al consumatore, non per pubblicizzare una commodity, ma un marchio d’impresa garante di tutti quei valori materiali e immateriali ai quali il consumatore riconosce valore. Non per niente un altro terreno di conflitto con la gdo sono i marchi del produttore, ai quali la grande distribuzione preferisce sostituire i propri marchi commerciali, perché solo così può aumentare la fedeltà all’insegna e conquistare maggiore valore.
In conclusione, la ricetta è sempre la stessa, concentrare l’offerta, ma non basta più puntare sulla strategia di prezzo a fronte delle economie di costo possibili nella fase produttiva: bisogna disporre della dimensione per investire in politiche di marketing (prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione) che possano permettere di andare oltre la gdo, sollecitando direttamente la domanda del consumatore.
Non tutte le imprese possono raggiungere la dimensione necessaria per disporre delle risorse e delle capacità manageriali per diventare un altro caso «Melinda», ecco perché l’interprofessione continua a essere, per il momento, la strada da percorrere, ma sono ancora in attesa di una risposta se e come tale strada possa essere percorsa o se può essere sostituita con qualche altro strumento contrattuale.
 

Sommario rivista Corrado Giacomini


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