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Negoziati Wto: pausa o fallimento? |
Il Doha round, che dovrebbe fissare le nuove regole del commercio
mondiale, è a un punto morto per l’inconciliabilità delle posizioni dei
principali protagonisti, Usa, Europa e Paesi in via di sviluppo del G20. Il
rischio è il fallimento della stessa Wto
Alla fine di luglio il Consiglio generale della Wto ha
dovuto prendere atto della «sospensione» del negoziato del Doha Development
Agenda round. Da allora non è successo granché. Le elezioni di medio termine
negli Usa, vista la rilevanza politica dei temi del negoziato agricolo,
avevano congelato nei mesi scorsi la disponibilità a negoziare da parte di
quel Paese, bloccando il negoziato. Passata quella tornata elettorale, cosa
potrebbe succedere?
- Un primo scenario, suggerito da molti in queste settimane come
probabile, è che ora il negoziato si riavvierà e che sia possibile
raggiungere un accordo prima della fine di aprile, in modo da consentirne
l’approvazione da parte del Congresso Usa prima della scadenza della Trade
promotion authority (Tpa), ipotizzando che il Congresso sia disponibile a
una sua estensione di qualche mese rispetto alla scadenza prevista del 30
giugno (ricordiamo che la Tpa è, in pratica, la delega che il Congresso ha
concesso all’Amministrazione per negoziare accordi commerciali
internazionali).
Anche prescindendo dai molti e non facili
scogli negoziali che andrebbero superati, come per miracolo, nel giro di
pochi mesi, le possibilità che questa ipotesi possa concretizzarsi appaiono
comunque assai ridotte.
Questo scenario, infatti, vedrebbe il negoziato riavviato e portato a
conclusione negli stessi mesi in cui gli Stati Uniti decideranno i contenuti
del nuovo Farm Bill, la legge agricola americana.
È difficile immaginare che l’Amministrazione Usa sia disponibile a condurre
i due negoziati – uno multilaterale, l’altro interno – in parallelo,
negoziando al livello multilaterale i vincoli delle scelte in corso,
contemporaneamente, a livello nazionale.
- Una seconda ipotesi è che il negoziato riparta solo dopo
l’approvazione del Farm Bill (prevista prima delle semine del settembre
2007). L’approvazione della nuova legge agricola, infatti, renderà possibile
il ritorno degli Stati Uniti al tavolo negoziale, consentendo la ripresa del
round.
Allo stesso tempo, però, il nuovo Farm Bill definirà anche i margini
negoziali di quel Paese; a quel punto, il problema per la chiusura del
negoziato agricolo diventerà l’accettabilità da parte degli altri Paesi
degli impegni che gli Stati Uniti saranno disponibili a sottoscrivere. Non
c’è da essere troppo ottimisti: l’importanza, sia per i democratici che per
i repubblicani, dei voti degli Stati rurali nelle elezioni presidenziali del
2008 fa prevedere un Farm Bill caratterizzato da una forte inerzia rispetto
al precedente e, quindi, una scarsa disponibilità da parte degli Stati Uniti
a sottoscrivere un accordo relativamente «ambizioso» in termini di riduzione
del sostegno all’agricoltura.
- Peraltro, il negoziato potrà ripartire soltanto se vi sarà
un’estensione della Tpa ed è improbabile che il Congresso a maggioranza
democratica conceda all’Amministrazione Bush questa estensione, preferendo,
invece, lasciare al nuovo presidente, che uscirà dalle elezioni del 2008, il
compito di condurre in porto il Doha round. E questa è la terza alternativa.
In questo caso però il periodo di «sospensione» del negoziato diventerebbe
decisamente lungo: saranno disposti gli altri Paesi membri a rimanere in
attesa per così tanto tempo?
- Il quarto scenario è il fallimento definitivo del negoziato,
un’ipotesi affatto remota. Se ciò avvenisse, si porrebbe con forza il
problema di una riforma della Wto, probabilmente nella direzione di un
sistema di regole «a geografia variabile»: regole di base che varrebbero per
tutti e accordi sottoscritti solo da una parte dei Paesi membri e applicati
soltanto agli scambi tra questi. Una riforma in questa direzione vorrebbe
dire non solo la morte del multilateralismo nella definizione delle regole
per gli scambi commerciali internazionali, ma anche la scomparsa dell’unica
tra le maggiori istituzioni internazionali realmente democratica, basata sul
consenso, che attribuisce a tutti i Paesi membri uguale potere, indipendentemente dal loro peso economico, demografico o politico (la qual
cosa costituisce, al contempo, la forza e la debolezza della Wto come la
conosciamo oggi).
Non c’è dubbio che se si arrivasse a una radicale riforma
dell’Organizzazione mondiale del commercio a perderci sarebbero soprattutto
i Paesi in via di sviluppo e, tra questi, soprattutto quelli più poveri.
La «sospensione» del negoziato del Doha round ha aperto, quindi, un gioco
molto complesso, delicato per il futuro delle relazioni internazionali, non
solo commerciali, e dall’esito finale quanto mai incerto.
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