POLITICA AGRARIA |
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Il Parmigiano-Reggiano, un nobile in difficoltà |
Redditività in picchiata per i produttori
Riequilibrare il mercato e migliorare qualità e distintività del più
famoso formaggio italiano sono solo alcuni degli interventi necessari per
migliorare le performance commerciali. è necessario trasferire velocemente
al produttore le indicazioni del mercato per adattarsi rapidamente al mutare
delle condizioni
Ci ostiniamo a chiamarlo «re dei formaggi» anche se il suo scettro e il suo
regno traballano ogni giorno di più sotto i colpi di un esercito di nemici
che si chiamano, di volta in volta, globalizzazione dei mercati, concorrenza
sleale e imitazioni, calo del potere d’acquisto, nuovi stili di vita, ecc.
Noi, naturalmente, il Parmigiano-Reggiano l’amiamo, ci abbiamo svezzato i
figli con lo Stravecchio.
Ma oggi i segnali che arrivano dall’«isola» del Parmigiano-Reggiano, le
cinque province custodite dal Consorzio di tutela, sono molto, ma molto
negativi, al punto che la Confederazione italiana agricoltori (Cia) dell’Emilia-Romagna
ha proposto, in un recente convegno a Reggio Emilia, una drastica cura:
calare la produzione e aumentare l’export per uscire da una crisi che è
sempre più strutturale. Un problema sentito anche dal Consorzio di tutela
che già da due anni ha messo a punto un piano di contribuzione differenziato
per gestire la riduzione della produzione anche se, secondo il presidente
Andrea Bonati, «si tratta di un provvedimento molto difficile da gestire».
Numeri inequivocabili
I dati sono impressionanti: un calo del reddito pari al 36% per le imprese
agricole legate alla filiera del re dei formaggi, a fronte di un incremento
dei costi di produzione, nel solo 2004, che ha sfiorato l’8%.
La crisi del settore, da congiunturale, non ha ormai più le caratteristiche
cicliche dei decenni precedenti, ma tende a diventare strutturale. E nella
storia di questo formaggio non è mai accaduto che una crisi prolungata venga
affrontata dagli allevatori spingendo sull’acceleratore della produzione. Il
risultato è che più si produce, maggiore è la perdita economica. A fine
anno, infatti, l’incremento produttivo raggiungerà il 4% al quale farà
seguito, con inevitabile logica, una nuova, ulteriore discesa delle
quotazioni.
«Le vie d’uscita da questo lungo periodo nero – ha detto Ivan Bertolini,
vicepresidente della Cia regionale – sono sostanzialmente due: riequilibrare
il mercato perché c’è un eccesso di offerta e migliorare la qualità e la
distintività del Parmigiano-Reggiano dal Grana Padano». Come? «Riducendo di
almeno il 3% la quantità del formaggio immesso sul mercato nazionale e allo
stesso tempo spingere l’acceleratore sull’export». E ancora: «Occorre
trasferire almeno il 10% del latte dalla produzione di formaggio al latte
alimentare – ha aggiunto Bertolini – e potrebbero essere anche trasferimenti
temporanei gestiti dall’Ente di tutela e poi fatti rientrare nel sistema in
modo graduale non appena il mercato si sarà assestato».
La recente apertura di credito dell’Antitrust potrebbe poi permettere il
controllo della produzione (provvedimento cassato due anni fa) a quattro
noti formaggi a invecchiamento, tra cui appunto il Parmigiano-Reggiano, e
questo elemento potrebbe portare indubbi benefici.
Sul fronte del controllo della produzione va ricordato che il Consorzio del
Parmigiano-Reggiano sta presentando una proposta al Ministero delle
politiche agricole che fissa come tetto produttivo del formaggio l’anno
2004, periodo nel quale si sono prodotte 3.800.000 forme oltre alle quote
acquistate al 21-10-2005. Secondo Bertolini «il mercato farà fatica ad
assorbire questa quantità». Ma i guai del Parmigiano-Reggiano si inscrivono,
purtroppo, nel più ampio quadro problematico del settore del latte. C’è il
problema del latte «in nero» che sfugge a qualsiasi tipo di controllo e che
resta di difficile soluzione e c’è l’interrogativo dell’export che da almeno
vent’anni è fermo su valori tra il 13 e il 15%.
«Occorre esportare di più – ha ammonito il numero due della Cia regionale –
e ciò è possibile in quanto gli esperti di marketing sostengono che si può
agevolmente raddoppiare il tetto attuale». Sul fronte della presenza
all’estero serve un maggiore impegno per distinguersi dagli altri formaggi
concorrenti e una più decisa lotta ai prodotti contraffatti.
Ma ci sono, ed è inutile negarlo, cose che non vanno anche all’interno
dell’area di produzione. «Bisogna combattere le irregolarità e ritirare le
fascere a chi non rispetta le regole – ha ribadito Bertolini – e togliere
dal mercato il formaggio smarchiato destinandolo alla fusione per ottenere
un prodotto spalmabile». Anche il «retinato», ovvero il formaggio che non ha
i requisiti qualitativi necessari, deve seguire canali commerciali diversi,
di bassa fascia.
Analisi sulle tendenze del mercato
La Cia ha approfondito l’analisi del comparto attingendo spunti da uno
studio condotto da Alberto Grandi, ricercatore dell’Università di Bologna.
L’allevatore più latte produce, meno guadagna in proporzione: questa la
sintesi della ricerca.
La tendenza a un aumento della produzione ( dalle 84.000 t del 1972 alle
120.000 di quest’anno) ha comportato nel tempo una contrazione dei prezzi in
termini reali, fenomeno dovuto alla riduzione dei costi di produzione con
l’innovazione tecnologica, mentre la ciclicità del mercato è determinata
dall’«altalenanza» della produzione, che è la naturale risposta del
produttore al mutare delle condizioni di mercato.
«L’instabilità del mercato – ha detto Grandi – sembra una conseguenza della
difficoltà delle aziende agricole a interpretare il mutare delle sue
condizioni e ad adattarvisi; difficoltà che originano da molti elementi: un
sistema informativo inadeguato per le aziende, basato unicamente sul prezzo
di realizzo del latte e funzione del formaggio in cui è stato trasformato.
Un’informazione, questa, indicatrice dei livelli realizzati due anni prima e
programmati un anno prima ancora. Le aziende agricole determinano quindi la
produzione interpretando il mercato sulla base di un’informazione vecchia di
almeno tre o quattro anni».
L’obiettivo dell’analisi è stato di dare un’interpretazione quantitativa del
mercato del Parmigiano-Reggiano tale da investigare sulle tendenze di
mercato e di individuarne una logica di base, mettendo in relazione, nei
vari anni, le quantità di formaggio collocate sul mercato con i rispettivi
prezzi. «Il formaggio che, istante per istante, viene collocato sul mercato
è prodotto almeno due anni prima – ha spiegato Grandi – e nel recente
passato non si sono verificati interventi di ritiro definitivo di quote di
produzione ritenute eccedentarie. Quindi tutto il formaggio prodotto è stato
consumato, sebbene a condizioni diverse di prezzo. Ciò significa, come
tendenza, che la quantità di prodotto collocato è definita dall’offerta ed è
assorbita dalla domanda a determinate condizioni di prezzo. Poiché è una
domanda poco elastica, è immaginabile una relazione inversa tra dinamica
della quantità e del prezzo, ovvero all’aumentare della quantità è logico
attendersi una riduzione del prezzo e viceversa».
Scelte difficili
Sulle indicazioni emerse dal convegno, il presidente del Consorzio di tutela
conviene in linea di massima, ma frena. «Sono abituato – ha detto Bonati – a
stare con i piedi per terra e a confrontarmi con la realtà. Per quel che
riguarda l’export abbiamo un prodotto eccezionale, ma difficile da
promuovere, proprio perché deve non solo affrontare altri prodotti locali,
ma anche inserirsi in stili di vita e di alimentazione molto diversi.
Insomma, per fare export bisogna stare sui mercati prescelti e lavorarci a
lungo, per anni, prima di avere risultati significativi». E anche la
riduzione delle produzioni è difficile. «Cosa facciamo, una riduzione
lineare uguale per tutti?» si è chiesto Bonati. «Ma per molti caseifici
anche una riduzione minima della produzione significa fare saltare i conti.
Per quanto riguarda la proposta di destinare quote di latte al mercato del
fresco non mi sembra una soluzione vantaggiosa, visto che l’Unione Europea
prevede ulteriori
riduzioni
del prezzo del latte.
Una cosa da fare invece – ha aggiunto il presidente del Consorzio – è
chiudere una buona volta la questione delle quote latte. Una situazione che
oggi provoca una non perfetta concorrenza tra chi si è accollato costi non
indifferenti per mettersi in regola e i soliti furbi».
Anche per Paolo De Castro, economista e già ministro delle politiche
agricole «il problema per il Parmigiano è in questo momento legato
all’aumento della produzione che ha provocato una caduta del prezzo. E a
questo si aggiunge anche una stretta dei consumi da parte delle famiglie».
Ma non ci sono, secondo la sua analisi, solo questi problemi a rendere
difficile la vita del re dei formaggi. «Non c’è solo l’elemento della
rigidità dei prezzi dei prodotti agricoli, ai quali il Parmigiano non si
sottrae anzi vi è ancor più legato per via dell’invecchiamento – ha detto De
Castro – il fatto è che il Parmigiano è su un mercato dove la concorrenza è
sempre più forte, come il settore dei grattugiati, e quindi non si può
prescindere dal controllo dell’offerta. Ora con il nuovo orientamento
dell’autorità Antitrust e il parere positivo a uno schema di disegno di
legge che consente la programmazione delle produzioni per i formaggi
stagionati si aprono scenari nuovi». Ma secondo il docente bolognese
l’agricoltura è e sarà sempre più interessata dai problemi sia della
concorrenza che della sovrapproduzione.
«Pensiamo – ha sottolineato De Castro –
alle pesche che, pur senza una significativa concorrenza, hanno avuto un
aumento produttivo del 16% in un mercato calante. Anche in questo caso
servono strumenti di controllo della filiera produttiva prima del mercato».
Ma quali strumenti adottare? De Castro guarda con interesse all’erga omnes
dei francesi, istituto giuridico in base al quale un accordo raggiunto dalla
maggioranza delle organizzazioni ha forza di legge verso tutto il settore e
le violazioni vengono sanzionate rigidamente. In Italia una norma simile
dovrebbe però vedersela con l’Antitrust. «Anche se – ha fatto notare De
Castro – oggi il presidente Antonio Catricalà si sta orientando diversamente
puntando più sui prodotti in monopolio od oligopolio, come la benzina, che
su prodotti alimentari con ampia gamma di succedanei». Ora la parola è alla
Camera, dove il provvedimento per il controllo delle produzioni è stato
inserito come emendamento agli interventi urgenti in agricoltura (vedi anche
quanto riportato a pag. 15 di questo stesso numero). De Castro ha richiamato
altri elementi internazionali in gioco: c’è il prossimo vertice della Wto a
Hong Kong dove si dovrebbero mettere sul tavolo nuove iniziative contro la
contraffazione. «Nel frattempo però – ha aggiunto – l’Unione Europea
potrebbe avviare una seria informazione sui mercati più importanti, come
quello statunitense, per spiegare significato, valore e tradizione dei
nostri prodotti a marchio».
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