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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
40
 21-28 Ott.

  2005
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POLITICA AGRARIA
Il Parmigiano-Reggiano, un nobile in difficoltà

Redditività in picchiata per i produttori

Riequilibrare il mercato e migliorare qualità e distintività del più famoso formaggio italiano sono solo alcuni degli interventi necessari per migliorare le performance commerciali. è necessario trasferire velocemente al produttore le indicazioni del mercato per adattarsi rapidamente al mutare delle condizioni

Ci ostiniamo a chiamarlo «re dei formaggi» anche se il suo scettro e il suo regno traballano ogni giorno di più sotto i colpi di un esercito di nemici che si chiamano, di volta in volta, globalizzazione dei mercati, concorrenza sleale e imitazioni, calo del potere d’acquisto, nuovi stili di vita, ecc. Noi, naturalmente, il Parmigiano-Reggiano l’amiamo, ci abbiamo svezzato i figli con lo Stravecchio.
Ma oggi i segnali che arrivano dall’«isola» del Parmigiano-Reggiano, le cinque province custodite dal Consorzio di tutela, sono molto, ma molto negativi, al punto che la Confederazione italiana agricoltori (Cia) dell’Emilia-Romagna ha proposto, in un recente convegno a Reggio Emilia, una drastica cura: calare la produzione e aumentare l’export per uscire da una crisi che è sempre più strutturale. Un problema sentito anche dal Consorzio di tutela che già da due anni ha messo a punto un piano di contribuzione differenziato per gestire la riduzione della produzione anche se, secondo il presidente Andrea Bonati, «si tratta di un provvedimento molto difficile da gestire».
Numeri inequivocabili
I dati sono impressionanti: un calo del reddito pari al 36% per le imprese agricole legate alla filiera del re dei formaggi, a fronte di un incremento dei costi di produzione, nel solo 2004, che ha sfiorato l’8%.
La crisi del settore, da congiunturale, non ha ormai più le caratteristiche cicliche dei decenni precedenti, ma tende a diventare strutturale. E nella storia di questo formaggio non è mai accaduto che una crisi prolungata venga affrontata dagli allevatori spingendo sull’acceleratore della produzione. Il risultato è che più si produce, maggiore è la perdita economica. A fine anno, infatti, l’incremento produttivo raggiungerà il 4% al quale farà seguito, con inevitabile logica, una nuova, ulteriore discesa delle quotazioni.
«Le vie d’uscita da questo lungo periodo nero – ha detto Ivan Bertolini, vicepresidente della Cia regionale – sono sostanzialmente due: riequilibrare il mercato perché c’è un eccesso di offerta e migliorare la qualità e la distintività del Parmigiano-Reggiano dal Grana Padano». Come? «Riducendo di almeno il 3% la quantità del formaggio immesso sul mercato nazionale e allo stesso tempo spingere l’acceleratore sull’export». E ancora: «Occorre trasferire almeno il 10% del latte dalla produzione di formaggio al latte alimentare – ha aggiunto Bertolini – e potrebbero essere anche trasferimenti temporanei gestiti dall’Ente di tutela e poi fatti rientrare nel sistema in modo graduale non appena il mercato si sarà assestato».
La recente apertura di credito dell’Antitrust potrebbe poi permettere il controllo della produzione (provvedimento cassato due anni fa) a quattro noti formaggi a invecchiamento, tra cui appunto il Parmigiano-Reggiano, e questo elemento potrebbe portare indubbi benefici.
Sul fronte del controllo della produzione va ricordato che il Consorzio del Parmigiano-Reggiano sta presentando una proposta al Ministero delle politiche agricole che fissa come tetto produttivo del formaggio l’anno 2004, periodo nel quale si sono prodotte 3.800.000 forme oltre alle quote acquistate al 21-10-2005. Secondo Bertolini «il mercato farà fatica ad assorbire questa quantità». Ma i guai del Parmigiano-Reggiano si inscrivono, purtroppo, nel più ampio quadro problematico del settore del latte. C’è il problema del latte «in nero» che sfugge a qualsiasi tipo di controllo e che resta di difficile soluzione e c’è l’interrogativo dell’export che da almeno vent’anni è fermo su valori tra il 13 e il 15%.
«Occorre esportare di più – ha ammonito il numero due della Cia regionale – e ciò è possibile in quanto gli esperti di marketing sostengono che si può agevolmente raddoppiare il tetto attuale». Sul fronte della presenza all’estero serve un maggiore impegno per distinguersi dagli altri formaggi concorrenti e una più decisa lotta ai prodotti contraffatti.
Ma ci sono, ed è inutile negarlo, cose che non vanno anche all’interno dell’area di produzione. «Bisogna combattere le irregolarità e ritirare le fascere a chi non rispetta le regole – ha ribadito Bertolini – e togliere dal mercato il formaggio smarchiato destinandolo alla fusione per ottenere un prodotto spalmabile». Anche il «retinato», ovvero il formaggio che non ha i requisiti qualitativi necessari, deve seguire canali commerciali diversi, di bassa fascia.
Analisi sulle tendenze del mercato
La Cia ha approfondito l’analisi del comparto attingendo spunti da uno studio condotto da Alberto Grandi, ricercatore dell’Università di Bologna. L’allevatore più latte produce, meno guadagna in proporzione: questa la sintesi della ricerca.
La tendenza a un aumento della produzione ( dalle 84.000 t del 1972 alle 120.000 di quest’anno) ha comportato nel tempo una contrazione dei prezzi in termini reali, fenomeno dovuto alla riduzione dei costi di produzione con l’innovazione tecnologica, mentre la ciclicità del mercato è determinata dall’«altalenanza» della produzione, che è la naturale risposta del produttore al mutare delle condizioni di mercato.
«L’instabilità del mercato – ha detto Grandi – sembra una conseguenza della difficoltà delle aziende agricole a interpretare il mutare delle sue condizioni e ad adattarvisi; difficoltà che originano da molti elementi: un sistema informativo inadeguato per le aziende, basato unicamente sul prezzo di realizzo del latte e funzione del formaggio in cui è stato trasformato. Un’informazione, questa, indicatrice dei livelli realizzati due anni prima e programmati un anno prima ancora. Le aziende agricole determinano quindi la produzione interpretando il mercato sulla base di un’informazione vecchia di almeno tre o quattro anni».
L’obiettivo dell’analisi è stato di dare un’interpretazione quantitativa del mercato del Parmigiano-Reggiano tale da investigare sulle tendenze di mercato e di individuarne una logica di base, mettendo in relazione, nei vari anni, le quantità di formaggio collocate sul mercato con i rispettivi prezzi. «Il formaggio che, istante per istante, viene collocato sul mercato è prodotto almeno due anni prima – ha spiegato Grandi – e nel recente passato non si sono verificati interventi di ritiro definitivo di quote di produzione ritenute eccedentarie. Quindi tutto il formaggio prodotto è stato consumato, sebbene a condizioni diverse di prezzo. Ciò significa, come tendenza, che la quantità di prodotto collocato è definita dall’offerta ed è assorbita dalla domanda a determinate condizioni di prezzo. Poiché è una domanda poco elastica, è immaginabile una relazione inversa tra dinamica della quantità e del prezzo, ovvero all’aumentare della quantità è logico attendersi una riduzione del prezzo e viceversa».
Scelte difficili
Sulle indicazioni emerse dal convegno, il presidente del Consorzio di tutela conviene in linea di massima, ma frena. «Sono abituato – ha detto Bonati – a stare con i piedi per terra e a confrontarmi con la realtà. Per quel che riguarda l’export abbiamo un prodotto eccezionale, ma difficile da promuovere, proprio perché deve non solo affrontare altri prodotti locali, ma anche inserirsi in stili di vita e di alimentazione molto diversi.
Insomma, per fare export bisogna stare sui mercati prescelti e lavorarci a lungo, per anni, prima di avere risultati significativi». E anche la riduzione delle produzioni è difficile. «Cosa facciamo, una riduzione lineare uguale per tutti?» si è chiesto Bonati. «Ma per molti caseifici anche una riduzione minima della produzione significa fare saltare i conti. Per quanto riguarda la proposta di destinare quote di latte al mercato del fresco non mi sembra una soluzione vantaggiosa, visto che l’Unione Europea prevede ulteriori riduzioni del prezzo del latte.
Una cosa da fare invece – ha aggiunto il presidente del Consorzio – è chiudere una buona volta la questione delle quote latte. Una situazione che oggi provoca una non perfetta concorrenza tra chi si è accollato costi non indifferenti per mettersi in regola e i soliti furbi».
Anche per Paolo De Castro, economista e già ministro delle politiche agricole «il problema per il Parmigiano è in questo momento legato all’aumento della produzione che ha provocato una caduta del prezzo. E a questo si aggiunge anche una stretta dei consumi da parte delle famiglie». Ma non ci sono, secondo la sua analisi, solo questi problemi a rendere difficile la vita del re dei formaggi. «Non c’è solo l’elemento della rigidità dei prezzi dei prodotti agricoli, ai quali il Parmigiano non si sottrae anzi vi è ancor più legato per via dell’invecchiamento – ha detto De Castro – il fatto è che il Parmigiano è su un mercato dove la concorrenza è sempre più forte, come il settore dei grattugiati, e quindi non si può prescindere dal controllo dell’offerta. Ora con il nuovo orientamento dell’autorità Antitrust e il parere positivo a uno schema di disegno di legge che consente la programmazione delle produzioni per i formaggi stagionati si aprono scenari nuovi». Ma secondo il docente bolognese l’agricoltura è e sarà sempre più interessata dai problemi sia della concorrenza che della sovrapproduzione.
«Pensiamo – ha sottolineato De Castro –
alle pesche che, pur senza una significativa concorrenza, hanno avuto un aumento produttivo del 16% in un mercato calante. Anche in questo caso servono strumenti di controllo della filiera produttiva prima del mercato». Ma quali strumenti adottare? De Castro guarda con interesse all’erga omnes dei francesi, istituto giuridico in base al quale un accordo raggiunto dalla maggioranza delle organizzazioni ha forza di legge verso tutto il settore e le violazioni vengono sanzionate rigidamente. In Italia una norma simile dovrebbe però vedersela con l’Antitrust. «Anche se – ha fatto notare De Castro – oggi il presidente Antonio Catricalà si sta orientando diversamente puntando più sui prodotti in monopolio od oligopolio, come la benzina, che su prodotti alimentari con ampia gamma di succedanei». Ora la parola è alla Camera, dove il provvedimento per il controllo delle produzioni è stato inserito come emendamento agli interventi urgenti in agricoltura (vedi anche quanto riportato a pag. 15 di questo stesso numero). De Castro ha richiamato altri elementi internazionali in gioco: c’è il prossimo vertice della Wto a Hong Kong dove si dovrebbero mettere sul tavolo nuove iniziative contro la contraffazione. «Nel frattempo però – ha aggiunto – l’Unione Europea potrebbe avviare una seria informazione sui mercati più importanti, come quello statunitense, per spiegare significato, valore e tradizione dei nostri prodotti a marchio».


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