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L'Informatore Agrario

Sommario rivista

Approfondimento

   
39
 13-19 Ott.

  2006
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Attualità POLITICA

Il sogno toscano dell'olio di California

Una curiosa proposta per «fare qualità»

Merita qualche commento, e non può rimanere senza risposta, un articolo pubblicato la scorsa estate sull’inglese The Economist da John Andrews (corrispondente da Los Angeles del quotato periodico). Dopo aver ricordato che la California produce appena il 3% dell’olio d’oliva mondiale (oggi quello extravergine importato costa la metà di quello locale), segnala che è stata ormai raggiunta la possibilità di ribaltare la situazione, dimezzando i costi di produzione e quindi i prezzi, a parità di qualità dell’olio.
Il riferimento è ai risultati ottenuti a Oroville dalla California Olive Ranch, costituita sei anni fa da investitori spagnoli. Impiantando vasti oliveti intensivi, con più di 1.500 piante/ha, della cultivar Arbequina, allevate con criteri di un «siepone», hanno potuto eseguire la raccolta integralmente meccanica usando macchine scavallatrici che operano per scuotimento, come alcune vendemmiatrici. Hanno così calcolato che 2 operatori possono raccogliere un ettaro di oliveto in poco più di un’ora e mezzo, invece delle 20 ore lavorative necessarie per effettuare a mano quel lavoro. L’euforia scaturita da questi risultati ha indotto l’autore a sottolineare, evidenziandolo anche nel sottotitolo del suo articolo, che ora «La California ha la possibilità di fare per l’olio extravergine di oliva quello che ha già fatto così accuratamente per il vino».
Si conferma quindi la validità della nuova olivicoltura intensiva e l’interesse che questa sta suscitando nel mondo. Ma non si spiega perché i Paesi del Mediterraneo, nei quali le nuove tecnologie in questione sono nate, non dovrebbero anch’essi svilupparle con gli stessi obiettivi economici e con lo stesso rispetto dei caratteri qualitativi delle produzioni. Peraltro, l’unico parametro qualitativo segnalato dall’autore è quello di un’acidità non superiore al 5‰. Evidentemente, ciò è ancora molto lontano dalle valutazioni qualitative intorno alle quali noi discutiamo sempre più attentamente e dalla raffinatezza dei consumatori nostrani che sanno apprezzare i singoli oli extravergini prodotti dalla nostra eterogenea olivicoltura, non solo rispondenti ai più severi parametri analitici, ma dotati anche di altre differenze qualitative distinguibili proprio gustandoli e ricercando appropriati abbinamenti con varie pietanze.
Ma un commento particolare merita la frase con cui lo stesso articolo si conclude: «In altre parole, quando voi intingerete il vostro pane in quell’olio di oliva, che ogni aggiornato ristorante californiano ha cura di offrire, cercate di non pensare a Oroville. Il sapore sarà migliore se sognerete la Toscana».
Si tratta di poche parole che però contengono messaggi significativi. L’autore tenderebbe infatti a far considerare soltanto come psicologico il valore aggiunto legato ai territori di produzione. Proprio quel concetto che invece, soprattutto per il vino, i francesi hanno saputo legare al termine di terroir, anche se non ben definito né facilmente parametrizzabile. Concetto sul quale si basa una parte significativa della valorizzazione dei nostri prodotti, con particolare riguardo per quelli cosiddetti di nicchia.
Per non rendere apprezzabile qualsiasi differenza, basterebbe – secondo l’autore – consumare l’olio di Oroville pensando alla nostra Toscana. Il messaggio sottende una chiara indicazione: l’olivicoltura mediterranea continui a fornire gradite immagini paesaggistiche tradizionali, alle quali il consumatore potrà rivolgere il pensiero nel gustare l’olio extravergine di oliva del nuovo mondo, che dovrebbe avere costi assai più bassi.
Possiamo semplicemente rispondere che, come ha sempre fatto nel corso della sua storia millenaria, la nostra olivicoltura continuerà invece a creare tantissimi paesaggi, anche nuovi, assai diversi tra loro sia nello spazio sia nel tempo, in un continuo processo di modernizzazione, inesauribile e irrinunciabile per la sopravvivenza stessa, come qualsiasi attività produttiva.
 

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Franco Scaramuzzi



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