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Il pomodoro tra competitività e rendita |
L’imminente riforma dell’ocm ortofrutta impone ai diversi componenti
della filiera del pomodoro da industria una scelta che, pur tutelando i
diversi interessi, non pregiudichi il futuro di questo emblema del made in
Italy agroalimentare
Nelle prossime settimane la Commissione europea si avvia a presentare una
sua proposta di riforma delle ocm sull’ortofrutta fresca e trasformata. I
prossimi mesi, quindi, saranno decisivi anche per il destino dell’intero
sistema produttivo del pomodoro da industria, prodotto così rilevante anche
per l’immagine del made in Italy.
Anche il pomodoro da industria ha goduto, come gran parte dei comparti
dell’agricoltura europea, di importanti forme di sostegno che, pur cambiate
nel tempo, hanno consentito una crescita e un’indubbia protezione. Proprio
per questo il cambiamento delle politiche, specie se si preannuncia
importante o addirittura drastico, è cruciale per l’intero sistema
produttivo; così saranno i prossimi mesi per questo prodotto.
Moltissimo dipenderà non solo dalla direzione del cambiamento ma anche dalla
sua intensità, dai tempi e dalle modalità. È allora utile cercare di
chiarire le possibili conseguenze delle diverse opzioni, sia sulle imprese
che sugli imprenditori e sull’economia del Paese, ma il tutto va valutato
soprattutto in senso dinamico più che statico.
La prima opzione potrebbe riguardare il mantenimento dello status quo
con alcuni aggiustamenti. Una politica di questo tipo potrebbe essere
corretta, sia rendendo più efficace il meccanismo di calcolo e distribuzione
degli aiuti sia, eventualmente, riducendo la spesa.
Non sembra però che questa opzione possa essere considerata seriamente dalla
Commissione per una serie di ragioni, ma anche perché la direzione ormai
tracciata in quasi tutte le ocm riformate è quella del disaccoppiamento:
questo sarà probabilmente il tema
centrale.
Ma il vero punto sarà soprattutto «il come», ed è su questo aspetto che i
diversi portatori di interessi, all’interno del nostro Paese, rischiano di
muoversi in direzioni diverse e in modo assai poco produttivo.
Il disaccoppiamento totale, ad esempio, potrebbe essere gradito a chi è
interessato e crede alla prospettiva di ottenere un aiuto disaccoppiato a
ettaro molto elevato, ma per ora assolutamente teorico, e di poterlo
difendere per più anni, indipendentemente dalla sua attività produttiva.
In un contesto di questo tipo, infatti, la produzione di pomodoro, stretta
tra un prezzo effettivo pagabile dall’industria di trasformazione che non
può aumentare a causa della concorrenza internazionale e un forte aiuto
disaccoppiato, crollerebbe inevitabilmente nel giro di pochissimo tempo con
conseguenze negative importanti, dato che l’impatto non si avrebbe solo
sull’agricoltura ma anche sull’importante industria di trasformazione.
Le conseguenze economiche e sociali potrebbero essere molto significative.
Se a questo si unisse, poi, qualche misura particolare che consentisse alla
Spagna, ad esempio, di concedere aiuti accoppiati ai suoi agricoltori, anche
se in forma temporanea, assisteremmo ancora una volta alla crescita dell’agroalimentare
di quel Paese a discapito del nostro (si pensi ad esempio a quanto sta
succedendo nel comparto dell’olio d’oliva). Qualche trasformatore, inoltre,
dopo quanto è avvenuto per la barbabietola da zucchero, potrebbe anche
ritenere molto interessante la possibilità di «chiudere i battenti» con una
sostanziosa «buona uscita».
Completamente diverse sarebbero le conseguenze di un disaccoppiamento
parziale: una parte dell’aiuto, in misura comparabile agli aiuti medi ad
ettaro regionali, ad esempio, potrebbe essere disaccoppiata, muovendo tutto
il sistema nella direzione, di medio e lungo periodo, di una minore
protezione e di una maggiore competitività.
Un’altra parte potrebbe essere «accoppiata a particolari metodi produttivi»
atti a ridurre l’impatto sull’ambiente di una coltura che richiede molti
input, a cominciare dall’acqua, e a migliorare ulteriormente e continuamente
il già alto livello qualitativo.
In questo caso le implicazioni sarebbero, ovviamente, completamente diverse:
gli imprenditori, sia agricoli che della trasformazione, sarebbero stimolati
a muoversi nella direzione di una crescita della loro competitività e gli
effetti sui sistemi produttivi e sui territori, che pure sarebbero
chiaramente percepibili, non sarebbero drastici.
In sostanza, il nostro Paese e i portatori di interessi sono chiamati a
scegliere tra uno stimolo chiaro e forte alla crescita della competitività e
una distribuzione di rendite con conseguente disattivazione economica di un
importantissimo comparto e con effetti negativi sui territori interessati.
È una scelta decisiva di politica agroalimentare.
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