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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
37
 29 Set.-5 Ott.

  2006
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Editoriale

Il pomodoro tra competitività e rendita
Gabriele Canali

L’imminente riforma dell’ocm ortofrutta impone ai diversi componenti della filiera del pomodoro da industria una scelta che, pur tutelando i diversi interessi, non pregiudichi il futuro di questo emblema del made in Italy agroalimentare

Nelle prossime settimane la Commissione europea si avvia a presentare una sua proposta di riforma delle ocm sull’ortofrutta fresca e trasformata. I prossimi mesi, quindi, saranno decisivi anche per il destino dell’intero sistema produttivo del pomodoro da industria, prodotto così rilevante anche per l’immagine del made in Italy.
Anche il pomodoro da industria ha goduto, come gran parte dei comparti dell’agricoltura europea, di importanti forme di sostegno che, pur cambiate nel tempo, hanno consentito una crescita e un’indubbia protezione. Proprio per questo il cambiamento delle politiche, specie se si preannuncia importante o addirittura drastico, è cruciale per l’intero sistema produttivo; così saranno i prossimi mesi per questo prodotto.
Moltissimo dipenderà non solo dalla direzione del cambiamento ma anche dalla sua intensità, dai tempi e dalle modalità. È allora utile cercare di chiarire le possibili conseguenze delle diverse opzioni, sia sulle imprese che sugli imprenditori e sull’economia del Paese, ma il tutto va valutato soprattutto in senso dinamico più che statico.
La prima opzione potrebbe riguardare il mantenimento dello status quo con alcuni aggiustamenti. Una politica di questo tipo potrebbe essere corretta, sia rendendo più efficace il meccanismo di calcolo e distribuzione degli aiuti sia, eventualmente, riducendo la spesa.
Non sembra però che questa opzione possa essere considerata seriamente dalla Commissione per una serie di ragioni, ma anche perché la direzione ormai tracciata in quasi tutte le ocm riformate è quella del disaccoppiamento: questo sarà probabilmente il tema
centrale.
Ma il vero punto sarà soprattutto «il come», ed è su questo aspetto che i diversi portatori di interessi, all’interno del nostro Paese, rischiano di muoversi in direzioni diverse e in modo assai poco produttivo.
Il disaccoppiamento totale, ad esempio, potrebbe essere gradito a chi è interessato e crede alla prospettiva di ottenere un aiuto disaccoppiato a ettaro molto elevato, ma per ora assolutamente teorico, e di poterlo difendere per più anni, indipendentemente dalla sua attività produttiva.
In un contesto di questo tipo, infatti, la produzione di pomodoro, stretta tra un prezzo effettivo pagabile dall’industria di trasformazione che non può aumentare a causa della concorrenza internazionale e un forte aiuto disaccoppiato, crollerebbe inevitabilmente nel giro di pochissimo tempo con conseguenze negative importanti, dato che l’impatto non si avrebbe solo sull’agricoltura ma anche sull’importante industria di trasformazione.
Le conseguenze economiche e sociali potrebbero essere molto significative. Se a questo si unisse, poi, qualche misura particolare che consentisse alla Spagna, ad esempio, di concedere aiuti accoppiati ai suoi agricoltori, anche se in forma temporanea, assisteremmo ancora una volta alla crescita dell’agroalimentare di quel Paese a discapito del nostro (si pensi ad esempio a quanto sta succedendo nel comparto dell’olio d’oliva). Qualche trasformatore, inoltre, dopo quanto è avvenuto per la barbabietola da zucchero, potrebbe anche ritenere molto interessante la possibilità di «chiudere i battenti» con una sostanziosa «buona uscita».
Completamente diverse sarebbero le conseguenze di un disaccoppiamento parziale: una parte dell’aiuto, in misura comparabile agli aiuti medi ad ettaro regionali, ad esempio, potrebbe essere disaccoppiata, muovendo tutto il sistema nella direzione, di medio e lungo periodo, di una minore protezione e di una maggiore competitività.
Un’altra parte potrebbe essere «accoppiata a particolari metodi produttivi» atti a ridurre l’impatto sull’ambiente di una coltura che richiede molti input, a cominciare dall’acqua, e a migliorare ulteriormente e continuamente il già alto livello qualitativo.
In questo caso le implicazioni sarebbero, ovviamente, completamente diverse: gli imprenditori, sia agricoli che della trasformazione, sarebbero stimolati a muoversi nella direzione di una crescita della loro competitività e gli effetti sui sistemi produttivi e sui territori, che pure sarebbero chiaramente percepibili, non sarebbero drastici.
In sostanza, il nostro Paese e i portatori di interessi sono chiamati a scegliere tra uno stimolo chiaro e forte alla crescita della competitività e una distribuzione di rendite con conseguente disattivazione economica di un importantissimo comparto e con effetti negativi sui territori interessati.
È una scelta decisiva di politica agroalimentare.
 

Sommario rivista Gabriele Canali


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