POLITICA |
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Finanziamenti e polemiche per una pac riformata a
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L’attuale politica agricola avvantaggia più i grandi
agricoltori che quelli piccoli
Bene ha fatto L’Informatore Agrario n. 32/2006 a
rispondere all’articolo di Francesco Giavazzi, «Togliere il pane agli
affamati», apparso sul Corriere della Sera del 30 luglio scorso.
Ancora una volta il noto economista e opinion leader critica duramente la
pac, accusandola di destinare troppe risorse all’agricoltura con la scusa di
proteggere i piccoli agricoltori e di preservare così l’ambiente. Scusa che
Giavazzi definisce «falsa», perché sostiene che quelle risorse vengono
drenate soprattutto dai grandi e grandissimi agricoltori. Inoltre questa
politica concorre ad accrescere il divario tra il Nord e il Sud del mondo,
perché impedisce la conclusione degli accordi in seno all’Organizzazione
mondiale del commercio (Wto).
L’Informatore Agrario ha risposto con due articoli: uno nel quale
venivano presentate le possibili prossime svolte della pac a causa della
posizione sempre più critica assunta dalla politica e dalla stessa
burocrazia comunitaria; l’altro, a firma di Andrea Belloli, che accusa
Giavazzi di usare argomenti demagogici (ad esempio quello trito e ritrito
degli aiuti alla regina Elisabetta) e di non conoscere affatto il settore,
tanto che dovrebbe spiegare come mai, malgrado questa politica, il numero
degli agricoltori continui a ridursi (ad esempio, tre quarti degli
allevatori di vacche da latte hanno chiuso la stalla!) e perché le grandi
Nazioni non possano sopportare una significativa contrazione della propria
produzione agricola.
Mi dispiace doverlo dire, ma queste due obiezioni di Belloli non possono
smontare quanto sostiene Giavazzi, la prima perché gli agricoltori che hanno
abbandonato il settore sono proprio i più piccoli e, in assenza di una
pronta ristrutturazione fondiaria, sono anche quelli che, con il loro
abbandono, sono i più responsabili del degrado dell’ambiente e del paesaggio
e, inoltre, perché il cambiamento di questa politica non è detto che metta
in crisi la produzione agricola dei grandi Paesi, dove è appannaggio
soprattutto delle medie e grandi aziende (come abbiamo già scritto, circa
150.000 aziende garantiscono l’80% della produzione agricola italiana).
Il 12 agosto su Il Sole 24 Ore è seguito un articolo di Giorgio Faini,
un altro economista e opinion leader molto ascoltato, che invita l’attuale
Governo a rilanciare il proprio impegno a livello europeo, inserendo
nell’ampio processo di riforme in programma anche la riforma della pac che
«…continua ad assorbire molte, troppe risorse e a pesare in maniera del
tutto sproporzionata sul bilancio comunitario». Faini riprende gli argomenti
di Giavazzi, proponendo, come altri, di introdurre un tetto ai rimborsi ai
quali una singola azienda agricola avrebbe diritto, il cosiddetto
plafonamento.
Nello stesso articolo sostiene, poi, che la riduzione del sostegno
all’agricoltura potrebbe liberare risorse per la ricerca, lo sviluppo e la
formazione, attività strategiche per l’industria e per consentire la
conclusione del Doha Round, che potrebbe aprire i mercati dei Paesi
emergenti alla nostra industria. Con grande onestà intellettuale, Giavazzi
aveva già scritto nel suo articolo che l’industria non può protestare contro
questa pac, perché lei stessa riceve aiuti per più del 2% del pil.
Per fortuna che Giovanni Sartori intitola il suo editoriale sul Corriere
della Sera del 15 agosto «L’intelligenza decrescente» dove, con il
solito spirito dissacratore, porta come massima dimostrazione della perdita
di intelligenza dell’uomo moderno il fatto che l’umanità se ne infischia che
il mondo stia per colassare sotto la pressione di sei miliardi di viventi.
Secondo me, salvo alcune esagerazioni polemiche, Giavazzi ha ragione: non è
la politica a sostegno dell’agricoltura che deve essere criticata, ma questa
politica che non ha avuto ancora il coraggio di portare a termine il disegno
avviato da Franz Fischler con la riforma di medio termine.
Non è vero che le risorse destinate all’agricoltura, come dicono Giavazzi e
Faini, sono troppe e sproporzionate, ma sono troppe e sproporzionate se si
vuole continuare a fare questa politica che è più a vantaggio dei grandi e
grandissimi agricoltori che dei piccoli, i quali più di tutti sono partecipi
dello sviluppo rurale e della tutela dell’ambiente.
Purtroppo «L’intelligenza decrescente», come dice Sartori, ha impedito
finora alla società e agli stessi agricoltori di comprendere qual è il vero
ruolo dell’agricoltura in un Paese post-industriale, per cui dopo quasi 50
anni di pac e in un mondo globalizzato bisogna prendere atto che
l’agricoltura o è diventata «impresa» capace di affrontare la competizione
sui mercati internazionali o, se non può diventarlo, è chiamata a svolgere
egualmente un ruolo importantissimo per quei sei miliardi di viventi, perché
è la presenza dell’uomo agricoltore sul territorio che concorre a conservare
il pianeta e le sue bellezze.
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