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I pomodori e i bei tempi andati |
La Repubblica del 18 agosto scorso ha pubblicato in
prima pagina un articolo di Pietro Citati dal titolo «Quando i pomodori
avevano un sapore», nel quale il noto critico e saggista abbandona i temi
storici e letterari a lui consueti per affrontare, in modo garbato e
piacevole alla lettura, un argomento molto diverso: la morte dei pomodori.
Lo scritto di Citati parte da un ricordo della sua infanzia (è nato nel
1930) quando, in vacanza in Liguria, mangiava da un vecchio barbiere delle
insalate di pomodoro di una bontà infinita; pomodori coltivati con amore in
un fazzoletto di terra, frutti con una «polpa sostanziosissima dove
affondavo i denti, la pelle delicata, i semi, il profumo squisito, il colore
degno di Chardin e Veronese».
Ma perché Citati parla di questi ricordi? Perché «oggi i pomodori sono
morti. Non sanno di niente, sono pieni d’acqua, mentre i pomodori del mio
barbiere venivano innaffiati da ruscellini magri e parsimoniosi».
L’argomento non è certo nuovo: quante volte si sente dire che la frutta non
ha più il sapore di una volta? Che i sapori della nostra infanzia se ne sono
andati insieme ad essa?
Fatta la tara dell’«effetto nostalgia» al quale tutti siamo soggetti, e che
nel ricordo ci fa sembrare migliore tutto quello che è legato alla
giovinezza, resta però un problema reale, affrontato tante volte anche sulle
colonne de L’Informatore Agrario, ad esempio negli articoli di
Roberto Piazza. E dimostrato anche dalle molte lettere di consenso
pubblicate sempre su la Repubblica nei giorni seguenti.
Citati, al quale ovviamente non si può chiedere di avere competenze
agronomiche, individua nell’eccessiva irrigazione la causa dell’assenza di
sapore, forse influenzato in questo giudizio da un recente esempio di «stupidario»
estivo: il rapporto del Wwf che, partendo dalla ovvia constatazione che in
estate l’agricoltura è la maggior consumatrice di acqua, afferma che a causa
dell’aberrante politica agricola comunitaria (sempre lei...) gli agricoltori
hanno sostituito colture che richiedono poca acqua, come agrumi e olivo, con
mais e frumento.
Ma la parte più criticabile, o forse più ingenua, dell’articolo di Citati, è
il finale: «Non ci sarà da qualche parte – scrive – un giovane, audace
imprenditore, capace di far rinascere i pomodori? Non ci vogliono molti
capitali: eccellenti semi, poca acqua, sole, diligenza, attenzione,
precisione, accordo con qualche supermercato».
Poi il botto conclusivo: «Come molti, sarei disposto a pagare i veri
pomodori almeno 20 euro al chilo». Perdinci, signor Citati! Ce ne fossero
davvero tanti come lei, l’Italia sarebbe tutta un campo di squisiti
pomodori!
Al di là della facile battuta, chiunque lavori in agricoltura sa che
purtroppo non è così. In molti si riempiono la bocca con la parola
«qualità», ma quando si tratta di aprire il portafoglio la compagnia si
restringe di molto, perché la qualità (che non va confusa con sanità e
igiene, queste sì obbligatorie) sembra essere un requisito da fornire
gratis.
Insomma, i pomodori che piacevano tanto a Citati, ma potremmo parlare allo
stesso modo di pesche o fragole, non ci sono più perché gli agricoltori non
sanno più fare il loro mestiere? Perché ingrassati dalla pac non lavorano
più «con attenzione e precisione»?
Forse senza rendersene conto Citati tocca uno dei maggiori tasti dolenti
quando parla di accordi con qualche supermercato: certamente non ha idea di
quel che chiede oggi al produttore la grande distribuzione: frutta e verdura
esteticamente perfetta, capacità di conservarsi per giorni senza deperire,
forniture costanti e cadenzate con precisione. Tutte cose che spesso sono
agli antipodi del concetto di qualità inteso da Citati.
Si potrà non essere d’accordo, ma la realtà dei fatti è questa. Tutti i
settori dell’economia seguono le leggi del mercato e nessuno ci trova da
ridire, ma quando al mercato si adeguano gli agricoltori non va più bene.
Evidentemente le leggi non sono uguali per tutti.
Citati, e tanti come lui, pensano veramente che abbiano un mercato frutta e
verdura magari buonissima ma venduta a 4 o 5 volte i prezzi attuali?
Le cose non funzionano così. Possiamo dispiacercene, ma la soluzione non è
nella buona volontà degli agricoltori.
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