POLITICA |
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Senza regia l'enoturismo appassisce |
Presentato il Rapporto Città del vino - Censis
Nel nostro Paese serve una politica di sviluppo più efficace ma per
rendere realmente operative le Strade del vino devono anche finire
l’improvvisazione e il volontariato
Avremmo preferito avere torto quando denunciavamo, da
tempo, lo scarso sfruttamento delle potenzialità del turismo enogastronomico
nel nostro Paese.
Avremmo preferito essere tacciati di fare solo le Cassandre quando
accusavamo la scarsa, per non dire nulla, operatività della stragrande
maggioranza delle Strade del vino italiane. Ci saremmo sentiti meglio se le
nostre accuse alle politiche di sviluppo del settore enoturistico fossero
risultate errate o, quantomeno, ingenerose.
E invece, a confermare le nostre impressioni, suffragate da anni di analisi
su questo versante, è arrivato nei giorni scorsi il quinto Rapporto sull’enoturismo
realizzato dal Censis servizi in collaborazione con l’Associazione nazionale
Città del vino.
In estrema sintesi dal rapporto emerge che in Italia il turismo del vino
continua a crescere ma se non saranno messe a punto efficaci strategie
pubblico-private per accompagnarne lo sviluppo il Paese rischia di perdere
una grande occasione per le economie dei territori minori.
È veramente una situazione paradossale. Da un lato, infatti, i numeri ci
dicono che l’enoturismo è in crescita, addirittura in controtendenza
rispetto ad altri tipi di turismo che da tempo esprimono dati negativi.
Dall’altro si evidenzia un enorme potenziale inespresso con politiche e
risorse finora messe in campo tendenzialmente da bocciare. Ma andiamo a
leggere meglio i dati di questo rapporto.
Lo studio, elaborato attraverso sondaggio Delphi e scaricabile dal sito
www.cittadelvino.it, mette in luce cinque
valutazioni chiave:
- con 4,5 milioni di frequentatori il turismo del vino si consolida nei
volumi, nella capacità di spesa e nella competenza dei territori;
- tra gli enoturisti stranieri diminuiscono i tedeschi ma crescono gli altri
europei mentre tornano ad affacciarsi i nordamericani;
- la spesa media giornaliera del turista del vino (149 euro nel 2003, 167
euro nel 2006) cresce più dell’inflazione: 1 euro per acquisti di vino in
cantina genera una ricaduta di 5 euro spesi sul territorio per altri
acquisti turistici;
- le due principali manifestazioni enogastronomiche del Paese (Calici di
Stelle e Cantine Aperte) raccolgono un pubblico popolare crescente, ma la
necessità di rinnovare l’offerta si fa pressante, più nella fascia dei
prodotti complementari che in quella del vino;
- il turismo del vino ha un potenziale di sviluppo ancora inespresso e
stimato nell’80% del fatturato attuale, ma le risorse e le politiche finora
messe in campo sono quasi inesistenti.
In conclusione, sottolinea il Rapporto Città del Vino-Censis, nei prossimi
cinque anni le presenze di enoturisti possono raddoppiare, da 4,5 a 8
milioni l’anno, mentre il fatturato complessivo può crescere da 2,5 a 4
miliardi di euro l’anno. In più si prevede una moltiplicazione dei distretti
enoturistici più attrattivi, oggi 10-15 e tutti al Centro-nord, domani
almeno 40-50 e meglio distribuiti sul territorio nazionale.
«C’è un grande potenziale da intercettare – ha commentato il presidente
delle Città del vino, Floriano Zambon – ma ci vuole un salto di qualità
nelle politiche di promozione e sviluppo dell’enoturismo. E’ necessario un
maggior coinvolgimento degli enti pubblici nella messa a punto di strategie
condivise con le cantine e gli altri attori territoriali, inoltre va
rafforzato il sistema delle Strade del vino italiane. Ma bisogna fare
presto, il treno prima o poi passa».
Noi, comunque, una nostra idea ce la siamo fatta soprattutto per quanto
riguarda lo strumento delle Strade del vino: senza veri professionisti dell’enoturismo
non ci può essere futuro operativo.
Allo stato attuale il volontariato è la morte delle Strade del vino.
Vogliamo smetterla di continuare su questo modello? Servono dirigenti (un
direttore e un presidente) realmente operativi che vengano pagati per il
loro servizio del quale devono rispondere ai loro associati. Servono
consulenze serie che devono rispondere alle esigenze vere degli operatori, i
millantatori o i presunti esperti del turismo enogastronomico vanno tenuti
fuori dalla porta.
Certo, messa così, è evidente che difficilmente rimarranno attive nel nostro
Paese 150 Strade del vino e forse domani altrettante dell’olio, del miele,
del prosciutto, della coppa, ecc. Ma chi riuscirà ad andare avanti sarà
realmente operativo, farà da traino serio a tutte quelle associazioni che
credono in questa opportunità.
Tutto questo aiuterà anche gli enti pubblici a finanziare realmente i
progetti operativi secondo una seria meritocrazia e non con il solito
manuale Cencelli.
In Spagna sono a quota 50 Strade del vino e dei sapori. Ne abbiamo visitate
una decina, quanto basta per prendere paura.
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