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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
29
 14-20 Lug.

  2006
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Editoriale

Investire nella filiera, strada obbligata
Angelo Frascarelli

L’agricoltore deve cercare di acquisire maggiore valore aggiunto e potere di mercato all’interno della filiera puntando a sviluppare idee nuove, valorizzando la collaborazione con altri agricoltori e partecipando finanziariamente in misura maggiore rispetto al passato

L’agricoltore ha bisogno della filiera agroalimentare? Sicuramente sì.
Non è scontato porsi questa domanda, perché ancora oggi molti agricoltori sono convinti che il loro ruolo sia semplicemente quello di produrre materie prime agricole, perché poi qualcuno (ma chi?) dovrebbe preoccuparsi di collocarle sul mercato.
L’agricoltore non può fare a meno di un adeguato rapporto con il mercato e su questo versante deve investire oggi più di ieri; anzi, proprio oggi la competitività dell’impresa agricola si gioca sempre più sull’integrazione di filiera.
Come fare?
Una direzione percorribile è sicuramente la cosiddetta filiera corta. La vendita dei prodotti in azienda o in punti organizzati da uno o più operatori, nelle fiere o nelle città, ha rappresentato negli ultimi anni una delle forme economicamente più interessanti.
Una puntualizzazione. È errato pensare che la filiera corta non richieda professionalità: anzi, il commercio al dettaglio, ovvero il rapporto diretto con il consumatore finale, richiede grandi doti professionali, capacità strategiche, organizzative e personali.
Bene la filiera corta, per chi è capace di perseguirla e per chi ha le condizioni (dipende dalla tipologia di prodotto e dal territorio in cui si opera), ma può riguardare solo una piccola parte della produzione agricola italiana (10-15%). Il resto deve ricorrere alla filiera lunga. Su questo fronte, la maggior parte degli agricoltori italiani incontra grandi difficoltà. Si lamenta il fatto che il prezzo al produttore sia stagnante, spesso in diminuzione, mentre il prezzo al consumatore aumenta costantemente nel tempo. È vero, è così!
Anche i dati ufficiali lo dimostrano. Ismea rileva che su 100 euro di spesa di un consumatore, nel 1995, il 15,1% arrivava al produttore agricolo; dopo nove anni, nel 2004, tale quota è scesa al 10,8%.
La forbice tra prezzo alla produzione e prezzo al consumo è molto ampia ed è destinata ad allargarsi. È inutile che l’agricoltore si lamenti: questa situazione è frutto dell’evoluzione dei consumi, dei costi di distribuzione e della struttura del mercato.
Sono inutili certi slogan, del tipo «pari dignità nella filiera agroalimentare», che fanno pensare che la filiera agroalimentare sia una tribuna politica o sindacale.
Nel mercato la dignità si conquista.
Altra affermazione, altrettanto fuorviante, riguarda l’intermediazione parassitaria, che secondo alcuni sarebbe la causa di tutti i mali. L’intermediazione parassitaria non esiste, esistono dei soggetti che fanno cose che altri non fanno o che occupano spazi lasciati liberi dagli agricoltori che sono incapaci di organizzarsi.
L’agricoltore deve attrezzarsi per fornire maggiore valore aggiunto al suo prodotto e acquisire potere di mercato lungo la filiera.
Come fare?
Deve impegnarsi e investire negli stadi successivi alla produzione agricola, deve riappropriarsi in modo significativo degli spazi all’interno della filiera, dove si forma la parte preponderante del valore dei prodotti alimentari finali. Investire vuol dire creare nuove forme societarie di trasformazione e commercializzazione (cooperative e non solo, ma anche società o semplici Ats -
associazioni temporanee), creare imprese efficienti con una forte partecipazione finanziaria dei produttori e con un management adeguato. Oppure creare una rete contrattuale stabile con le imprese a valle della filiera.
In questo campo la cooperazione agricola, in alcuni casi, ha dato risultati eccellenti, ma altre volte questo non è avvenuto. Perché? Le cooperative non hanno un’adeguata partecipazione finanziaria da parte degli agricoltori, i consigli di amministrazione sono eletti con logiche politiche e il management non viene adeguatamente selezionato. Non solo. Molto spesso sono troppo piccole e, invece di fondersi o collaborare, sono dedite a farsi concorrenza tra di loro.
Bisogna chiudere le strutture associative che non funzionano; quando una cooperativa non funziona, prima chiude, meglio è per tutti. Magari viene assorbita da un’altra che funziona bene o si crea un’altra iniziativa imprenditoriale, con i produttori agricoli che vi partecipano finanziariamente.
Agli agricoltori «dico» che creare una filiera efficiente è difficile, ma il mercato non è un nemico, e non si può aspettare che qualcuno venga a risolvere i problemi.
Tre parole chiave: idee, collaborazione imprenditoriale tra agricoltori, partecipazione finanziaria nella filiera. Meglio dedicare qualche ora in meno ai campi e qualche ora in più alla filiera.
 

Sommario rivista Angelo Frascarelli


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