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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
28
 7-13 Lug.

  2006
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Editoriale

Le diavolerie dell’articolo 69
Antonio Piccinini

L’applicazione che il Ministero vuole dare nel 2007 alle disposizioni per un’agricoltura di qualità e rispettosa dell’ambiente contenute nell’articolo 69 del regolamento Ce n. 1782/2003 comporta un aggravio del carico burocratico e una riduzione della libertà d’impresa che vanno contro lo spirito stesso dell’ultima riforma della pac

Un proverbio tedesco dice che il diavolo si nasconde sempre nei dettagli. Questo è un caso emblematico. La riforma del 2003 della politica agricola comune ha sollevato, a suo tempo, mille discussioni. L’ostico termine «disaccoppiamento» è entrato nel linguaggio comune delle campagne, e così parole, date e sigle come Marrakesh, 1994, Wto e via di seguito.
La sintesi del discorso era la seguente: non si può andare avanti così, l’agricoltura costa troppo al contribuente e al consumatore, soffoca il «libero» commercio mondiale, e ancora, i Paesi tropicali non possono esportare banane e zucchero. In ultima conclusione, il sistema è caro, troppo complicato e dirigistico.
Le discussioni sono state lunghe, spesso nessuno era d’accordo con l’altro, ma su una cosa, sia il mondo politico, che gli agricoltori concordavano: il sistema era troppo pesante. La riforma è stata pertanto accettata, anche se a malincuore, proprio per le promesse di maggiore agilità e libertà all’impresa. La Coldiretti ne ha fatto addirittura la propria bandiera: «con la nuova riforma le aziende troveranno la loro libertà».
Strada facendo emergono però i dettagli e compare il famoso diavolo del proverbio tedesco.
Per essere preciso mi riferisco all’articolo 69 del regolamento Ce n. 1782 del 2003. Il regolamento ha un titolo innocuo, anche se grammaticalmente zoppicante: «attuazione facoltativa per tipi specifici di agricoltura per la produzione di qualità». Più semplicemente significa che lo Stato membro può trattenere dei fondi e poi ridistribuirli alle aziende che si impegnano per una agricoltura di qualità o per finalità ambientali.
Tradotto in soldi, prendiamo a caso una azienda, questo contributo è stato fissato per il 2005 a 47,85 euro/ha. I vincoli sono stati blandi: quantità di seme sufficiente, esenzione da ogm, e poco di più. Ora il Ministero, in vista del prossimo anno, vuole porre dei criteri ben più precisi. Dopo mesi di discussioni sta circolando una bozza di decreto nella quale gli obblighi, apparentemente, rimangono ragionevoli. Oltre al divieto di colture ogm, per i seminativi e le bietole l’unica seria condizione è la richiesta di un avvicendamento almeno biennale. Una coltura non può seguire se stessa. Questo a molti agricoltori non va giù, come ai maiscoltori lombardi o ai coltivatori di grano duro meridionali che trovano vantaggiosa la monocultura.
Condizioni maggiormente restrittive sono previste per gli allevamenti che vanno dalla iscrizione obbligatoria, ai libri genealogici, al carico di bestiame per ettaro.
A costo di attirarmi l’ira degli agricoltori, direi che è una bozza ragionevole. Due sono le mie critiche: la prima riguarda il futuro carico burocratico. Qualsiasi tecnico di organizzazione professionale, cioè colui che materialmente compila la domanda pac, sta impallidendo. Tenere traccia, da un anno all’altro, delle rotazioni richiede un raddoppio della potenza dei computer, per non parlare di contratti di vendita o affitto terreni, in cui la precedente semina crea una vincolo futuro. E qui il primo diavoletto salta fuori. Nessuna semplificazione, ma complicazione, e naturalmente costi. Fate un po’ di calcoli e vedrete che per distribuire 47 euro/ha se ne spendono altrettanti. C’è anche chi suggerisce che un sistema come quello proposto farà sì che molti abbandonino il premio e i pochi rimasti, in genere piccoli agricoltori, avranno ben di più dei 47 euro/ha.
Veniamo così alla seconda obiezione. La possiamo chiamare così: negazione della libertà d’impresa. L’imprenditore agricolo è considerato un bambino irresponsabile. Ad esempio, perché inserire l’obbligo di conservare per cinque anni i «cartellini» dei sacchi delle sementi non ogm? L’ogm non si può coltivare, e allora?
Veniamo alle pratiche agronomiche, in particolare all’obbligo della rotazione. Ogni manuale di agronomia lo consiglia, salvo, condizioni particolari. Perché stabilirlo per decreto? Se qualcuno sbaglia pagherà di tasca propria.
Il progresso tecnico per legge non esiste. Dalla città di Birmighan del 1700, culla della rivoluzione industriale, alla Cina del 2006, non si è fatto e non si fa impresa con obblighi imposti dall’alto, sulle tecnologie da adottare nelle aziende private. L’apprendimento passa per una sequenza di errori, successi ed esperienze cumulate. Questa pretesa di insegnare il mestiere con le leggi, oltre che umiliante, è inutile.
Il Ministero ha esagerato nella burocrazia e nel dirigismo. Non seguiamolo.
 

Sommario rivista Antonio Piccinini


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