POLITICA |
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L’allarme siccità è sempre alto |
La situazione nei campi resta difficile
La risalita delle acque salmastre genera i problemi più
gravi nell’area del Delta del Po. L’Anbi chiede che il grande fiume sia
assunto come emergenza nazionale. Si attendono i rilasci d’acqua dei bacini
idroelettrici lombardi
La vera emergenza idrica, per ora, si chiama «risalita del
cuneo salino» e affonda le radici in una serie di concause. Come
riconosciuto anche dall’Autorità di bacino del fiume Po «l’area del Delta è
già da considerarsi in situazione critica»: nella zona rodigina, infatti, il
mare risale nell’entroterra anche per oltre 20 km, impedendo i prelievi
irrigui e cominciando a pregiudicare le adduzioni di alcuni acquedotti.
Le barriere antisale del Consorzio di bonifica Delta Po Adige, peraltro
posizionate su rami secondari, si rivelano inadeguate di fronte agli attuali
flussi di acqua salata; studiate per contrastare la risalita marina sul
fondo dell’alveo, vengono ormai costantemente «stramazzate» da un’imponente
corrente, praticamente senza opposizione.
Molte falde dell’area polesana denunciano ormai gravi tassi di salinità. A
risentire della situazione sono soprattutto le colture risicole, colpite in
una fase quantomai delicata della crescita: si teme che il 50% del raccolto
di riso polesano sia irrimediabilmente compromesso, proprio mentre prosegue
l’iter per il riconoscimento della igp!
Per rimediare alla gravissima situazione, in un’apposita riunione, promossa
il 28 giugno a Rovigo dall’Autorità di bacino, è stato deciso di garantire
una portata del fiume Po, a Pontelagoscuro (Ferrara), pari ad almeno 330
m3al secondo, indispensabile per fermare la risalita marina. Per raggiungere
tale obiettivo è necessario incrementare l’attuale portata di almeno 100 m3
al secondo e per farlo saranno richiesti ulteriori rilasci dai bacini
idroelettrici montani e dai grandi laghi e sarà necessario un taglio del 10%
nei prelievi a monte della località ferrarese. Un apposito documento sarà
inviato ai Ministeri delle politiche agricole, delle attività produttive e
dell’ambiente.
Situazione non facile, ma meno drammatica, vivono le colture orticole e
maidicole bagnate anche dagli impianti irrigui afferenti al fiume Adige.
Il problema del «cuneo salino» comincia a evidenziarsi pure alle foci di
fiumi che interessano la provincia di Venezia (Tagliamento e Piave) così
come alcuni corsi d’acqua minori che sfociano nella Laguna: qui il sistema
di paratoie regge, ma sono le falde a monte che denotano preoccupanti
segnali di affievolimento.
Situazione grave si vive nella parte ferrarese del Delta, dove i ridotti
prelievi dal fiume Po sono peraltro compensati dagli apporti del Canale
Emiliano Romagnolo, che integrano le adduzioni dell’impianto Pilastresi,
dove è in funzione solo il recente impianto sussidiario, mentre il
principale è fermo da giorni per l’impossibilità di «pescare» in alveo.
Il Po emergenza nazionale
Accanto al sempre presente pericolo della subsidenza (ovvero il fenomeno di
abbassamento del suolo), l’intrusione salina è quindi l’altro grande
problema che interessa i litorali dell’alto Adriatico. A provocarlo sono
fiumi che, già con portate ridotte, arrivano alla foce «stremati» da
ripetuti prelievi, privi di un coordinamento tempestivo sulla base delle
disponibilità di flusso. Non a caso il fiume Po è ormai da considerare un
«grande malato»: l’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (Anbi)
chiede sia assunto come emergenza nazionale e che la cabina di regia diventi
permanente. Perché, se è vero che l’emergenza idrica 2006 è frutto di alcuni
elementi concomitanti (piogge inferiori alla media in maggio e giugno in
Piemonte e Lombardia, improvviso abbassamento delle temperature tra fine
maggio e inizio giugno con blocco dello scioglimento delle nevi montane,
successivo improvviso innalzamento delle temperature con forte
evapotraspirazione dai terreni, invasamento di risorsa idrica nei laghi
montani a uso idroelettrico in previsione dell’aumento di richiesta
energetica durante i mesi estivi), è altresì vero che il principale fiume
italiano soffre da anni di un abbassamento d’alveo (mediamente 10 cm ogni 12
mesi) che lo ha «incassato» in alcuni tratti al punto da trasformarlo in una
sorta di canale che oggi, con poca acqua, impedisce il prelievo da alcune
pompe irrigue fisse, ma domani, in caso di piena, aumenterà pericolosamente
la velocità con cui l’acqua potrebbe «abbattersi» su qualche centro abitato.
A causa dell’evidente squilibrio tra i prelievi di materiali inerti dal
greto e la capacità di ripascimento naturale del fiume (il rapporto è
perlomeno di 7 a 1) il letto fluviale è oggi a una quota inferiore alle
golene, nelle quali potrebbero espandersi durante l’anno le acque in
esubero.
È stato stimato che il ripristino idraulico del fiume con il conseguente
recupero delle golene potrebbe portare allo stoccaggio di 150 milioni di
metri cubi d’acqua, un autentico tesoro per periodi come quello attuale. Nel
frattempo la situazione idrica nel bacino padano risulta sostanzialmente
stabile rispetto alla scorsa settimana in attesa degli auspicati apporti
idrici, che dovrebbero giungere dai concordati rilasci (fra 10 e 15 milioni
di metri cubi al giorno) dai bacini idroelettrici lombardi (vedi anche
quanto riportato a pag. 20).
La situazione nel Nord-ovest
Nell’area occidentale del Paese le derivazioni irrigue variano fra il 50 e
l’80% della media del periodo, con maggiori problemi per i prelievi dai
fiumi Sesia e Ticino. Pur con tendenze diverse, i grandi laghi (Maggiore e
Como in crescita, Iseo, Idro e Garda stazionari) hanno tutti livelli
inferiori alla media stagionale. Nell’area cremonese le derivazioni sono
inferiori del 40% a quelle del periodo, mentre in Emilia-Romagna si
raggiunge anche il –55%.
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