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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
27
 30 Giu. - 6 Lug.

  2006
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Editoriale

Senza logistica il made in Italy è perdente
Corrado Giacomini

Il sistema logistico italiano non ha l’efficienza in termini di costi necessaria a garantire la competitività delle nostre produzioni. In Italia c’è la cultura del prodotto, ma manca ancora quella della distribuzione, oggi determinante per affrontare un mercato che non ha più confini

Nelle recenti «Considerazioni finali» il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi individua nelle difficoltà e nella lentezza con cui il nostro Paese ha compreso e accolto due innovazioni epocali del sistema economico mondiale – la rapida crescita delle grandi economie emergenti e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione – la causa del ritardo dello sviluppo dell’economia italiana rispetto agli altri Paesi industrializzati. Ciò ha significato la perdita di quote di mercato per l’impossibilità della nostra economia di seguire i ritmi di sviluppo del commercio mondiale a causa della perdita di competitività delle nostre produzioni per la minore produttività relativa delle imprese italiane, che hanno introdotto le nuove tecnologie dell’informazione soltanto con difficoltà e in ritardo.
In questo quadro generale negativo e comune a tutti i settori, anche il sistema agroalimentare italiano ha conosciuto nell’ultimo decennio, almeno, tre innovazioni epocali: la posizione assolutamente dominante della grande distribuzione organizzata (gdo) nella distribuzione; il forte aumento dei pasti fuori casa e il connesso sviluppo del canale Horeca (hotel, ristoranti e catering); la crescente attenzione del consumatore alla sicurezza alimentare.
A queste innovazioni, ne aggiungerei una quarta che non è endogena al sistema, ma esogena, e che sul sistema sta avendo e avrà grossissime ripercussioni: la riforma della pac, che ha smantellato la precedente politica di garanzia dei prezzi e di protezione alle frontiere. È ovvio che quest’ultima innovazione amplifica fortemente per l’agroalimentare italiano gli effetti negativi delle innovazioni non comprese e insufficientemente introdotte segnalate dal governatore della Banca d’Italia.
La conclusione è che sul nostro mercato dobbiamo subire la concorrenza delle produzioni che provengono da ogni dove, nelle quali il vero fattore competitivo non è il prezzo alla produzione, ma il prezzo finale alla distribuzione comprensivo del costo del servizio necessario per raggiungere nelle condizioni migliori di presentazione, di confezione e di gestione degli stock il suo posto sullo scaffale della gdo. Gdo alla quale il consumatore ha affidato anche il compito di garante della sicurezza alimentare, tanto che la stessa grande distribuzione impone ai fornitori propri sistemi di certificazione.
Non parliamo poi del canale Horeca, dove il servizio è il fattore vincente nella competizione: confezioni in quantità limitate e capaci di assicurare la conservazione; preparazione per ridurre i tempi di cottura; consegne quasi in tempo reale. Perfino le grandi imprese di marca, se non garantiscono questi servizi, sono perdenti sul canale Horeca.
In questa situazione è evidente che il primato tanto vantato per le nostre produzioni del made in Italy non basta più. Se l’incidenza del costo della logistica – che non significa solo trasporto, ma concentrazione, selezione e distribuzione per punto vendita della merce con sistemi che ne ottimizzino il costo per assicurare il miglior servizio al cliente attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione –  può arrivare fino 35% del prezzo finale di vendita dell’ortofrutta, si comprende perché la produzione spagnola, e non solo, ci batte sui nostri tradizionali mercati esteri e spesso anche sul mercato interno. Da Valencia a Milano i tempi di consegna sono qualche volta minori di quelli della nostra produzione che viene dal Sud. Nei nostri centri agroalimentari, malgrado tutti i soldi spesi dal Piano mercati, le grandi aree refrigerate per la preparazione dei pallets e la formazione dei carichi sono quasi assenti. Mentre gli spagnoli hanno saputo creare il grande mercato di Perpignan, vera piattaforma per il rifornimento del mercato francese e per rilanciare sul resto d’Europa, noi ci presentiamo sui mercati esteri, e soprattutto alla gdo, in maniera sparsa e frammentata.
Abbiamo la cultura del prodotto, ma ci manca la cultura della distribuzione, per cui ben venga ogni iniziativa capace di unire gli sforzi della produzione, prima condizione, per creare delle piattaforme logistiche che possano dare quel surplus in termini di servizio che oggi la gdo richiede. In questi ultimi anni la gdo italiana ha ridotto le proprie piattaforme e diminuito il numero dei fornitori; quella estera ha persino terziarizzato quasi tutte le proprie piattaforme, si sta assistendo a una accelerazione del processo di razionalizzazione e controllo dei costi nella fase di approvvigionamento da parte della gdo.
O si è in grado di stare al passo o si rischia veramente di perdere la competizione in un mercato che non ha più confini. È un impegno che spetta non solo alla produzione, ma anche allo Stato, che deve creare le infrastrutture necessarie per non bloccare gli sforzi delle imprese nell’ottimizzazione della catena logistica.

Sommario rivista Corrado Giacomini


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