|
|
Senza logistica il made in Italy è perdente |
Il sistema logistico italiano non ha l’efficienza in termini di costi
necessaria a garantire la competitività delle nostre produzioni. In Italia
c’è la cultura del prodotto, ma manca ancora quella della distribuzione,
oggi determinante per affrontare un mercato che non ha più confini
Nelle recenti «Considerazioni finali» il governatore della
Banca d’Italia Mario Draghi individua nelle difficoltà e nella lentezza con
cui il nostro Paese ha compreso e accolto due innovazioni epocali del
sistema economico mondiale – la rapida crescita delle grandi economie
emergenti e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione – la
causa del ritardo dello sviluppo dell’economia italiana rispetto agli altri
Paesi industrializzati. Ciò ha significato la perdita di quote di mercato
per l’impossibilità della nostra economia di seguire i ritmi di sviluppo del
commercio mondiale a causa della perdita di competitività delle nostre
produzioni per la minore produttività relativa delle imprese italiane, che
hanno introdotto le nuove tecnologie dell’informazione soltanto con
difficoltà e in ritardo.
In questo quadro generale negativo e comune a tutti i settori, anche il
sistema agroalimentare italiano ha conosciuto nell’ultimo decennio, almeno,
tre innovazioni epocali: la posizione assolutamente dominante della grande
distribuzione organizzata (gdo) nella distribuzione; il forte aumento dei
pasti fuori casa e il connesso sviluppo del canale Horeca (hotel, ristoranti
e catering); la crescente attenzione del consumatore alla sicurezza
alimentare.
A queste innovazioni, ne aggiungerei una quarta che non è endogena al
sistema, ma esogena, e che sul sistema sta avendo e avrà grossissime
ripercussioni: la riforma della pac, che ha smantellato la precedente
politica di garanzia dei prezzi e di protezione alle frontiere. È ovvio che
quest’ultima innovazione amplifica fortemente per l’agroalimentare italiano
gli effetti negativi delle innovazioni non comprese e insufficientemente
introdotte segnalate dal governatore della Banca d’Italia.
La conclusione è che sul nostro mercato dobbiamo subire la concorrenza delle
produzioni che provengono da ogni dove, nelle quali il vero fattore
competitivo non è il prezzo alla produzione, ma il prezzo finale alla
distribuzione comprensivo del costo del servizio necessario per raggiungere
nelle condizioni migliori di presentazione, di confezione e di gestione
degli stock il suo posto sullo scaffale della gdo. Gdo alla quale il
consumatore ha affidato anche il compito di garante della sicurezza
alimentare, tanto che la stessa grande distribuzione impone ai fornitori
propri sistemi di certificazione.
Non parliamo poi del canale Horeca, dove il servizio è il fattore vincente
nella competizione: confezioni in quantità limitate e capaci di assicurare
la conservazione; preparazione per ridurre i tempi di cottura; consegne
quasi in tempo reale. Perfino le grandi imprese di marca, se non
garantiscono questi servizi, sono perdenti sul canale Horeca.
In questa situazione è evidente che il primato tanto vantato per le nostre
produzioni del made in Italy non basta più. Se l’incidenza del costo della
logistica – che non significa solo trasporto, ma concentrazione, selezione e
distribuzione per punto vendita della merce con sistemi che ne ottimizzino
il costo per assicurare il miglior servizio al cliente attraverso l’uso
delle tecnologie dell’informazione – può arrivare fino 35% del prezzo
finale di vendita dell’ortofrutta, si comprende perché la produzione
spagnola, e non solo, ci batte sui nostri tradizionali mercati esteri e
spesso anche sul mercato interno. Da Valencia a Milano i tempi di consegna
sono qualche volta minori di quelli della nostra produzione che viene dal
Sud. Nei nostri centri agroalimentari, malgrado tutti i soldi spesi dal
Piano mercati, le grandi aree refrigerate per la preparazione dei pallets e
la formazione dei carichi sono quasi assenti. Mentre gli spagnoli hanno
saputo creare il grande mercato di Perpignan, vera piattaforma per il
rifornimento del mercato francese e per rilanciare sul resto d’Europa, noi
ci presentiamo sui mercati esteri, e soprattutto alla gdo, in maniera sparsa
e frammentata.
Abbiamo la cultura del prodotto, ma ci manca la cultura della distribuzione,
per cui ben venga ogni iniziativa capace di unire gli sforzi della
produzione, prima condizione, per creare delle piattaforme logistiche che
possano dare quel surplus in termini di servizio che oggi la gdo richiede.
In questi ultimi anni la gdo italiana ha ridotto le proprie piattaforme e
diminuito il numero dei fornitori; quella estera ha persino terziarizzato
quasi tutte le proprie piattaforme, si sta assistendo a una accelerazione
del processo di razionalizzazione e controllo dei costi nella fase di
approvvigionamento da parte della gdo.
O si è in grado di stare al passo o si rischia veramente di perdere la
competizione in un mercato che non ha più confini. È un impegno che spetta
non solo alla produzione, ma anche allo Stato, che deve creare le
infrastrutture necessarie per non bloccare gli sforzi delle imprese
nell’ottimizzazione della catena logistica.
|