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IMiWine migliora ma non convince |
Format e obiettivi ancora poco definiti
Molti espositori non si sono detti particolarmente soddisfatti dei
contatti commerciali avuti in fiera. Oltre a una migliore collocazione nel
calendario fieristico, deve crescere il rapporto di collaborazione con la
Bocconi
Dopo la deludente prima edizione del 2004, si è svolto dal
12 al 14 giugno scorsi alla nuova fiera di Milano, MiWine, il Salone
dedicato al business del vino.
Prima di commentare questa seconda edizione è bene ricordare ai nostri
lettori che MiWine fu un progetto fieristico nato due anni fa in
collaborazione tra Fiera Milano e l’Unione italiana vini, la più importante
organizzazione di rappresentanza delle imprese enologiche italiane, che
insieme diedero vita alla società Sifa. L’obiettivo, allora, era chiaro:
realizzare una fiera totalmente dedicata agli operatori e votata interamente
a quello che nel linguaggio del marketing viene definito «business to
business».
Sempre per dovere di cronaca va ricordato inoltre che MiWine nacque anche in
risposta al Vinitaly di Verona, accusato allora da alcuni produttori di non
rappresentare un luogo ideale per le attività commerciali tra gli operatori.
Nonostante i buoni propositi le cose non andarono particolarmente bene alla
prima edizione, che si concluse con scarso successo sia in termini di
espositori che di pubblico, ma soprattutto fallendo gli obiettivi primari
che gli organizzatori si erano preposti. Insomma, poco business e poca
visibilità.
Il risultato fu l’uscita, non certo «indolore», dell’Unione italiana vini da
Sifa e la necessità di riorganizzare un nuovo modello da proporre.
E arriviamo così a oggi, a questa seconda edizione.
Complessivamente, almeno in termini di pubblico, la manifestazione è
certamente andata meglio rispetto alla prima edizione. Gli organizzatori
parlano di 35.000 presenze, di cui il 20% proveniente dall’estero. Non
amiamo troppo soffermarci sulle cifre soprattutto quando si parla di una
manifestazione dedicata agli operatori dove è molto più importante valutare
il profilo dei visitatori più che il loro numero.
Il parere di chi c’era
In attesa di avere dagli organizzatori il risultato definitivo dell’indagine
sul profilo dei visitatori, abbiamo raccolto nei tre giorni della
manifestazione numerose interviste tra gli espositori. Ne è uscito un quadro
sostanzialmente deludente, seppur migliore rispetto all’edizione 2004.
La maggioranza di coloro che abbiamo intervistato, tra le aziende private,
non si è detta particolarmente soddisfatta dei contatti avuti. Molti hanno
dichiarato che lo stesso periodo della manifestazione è poco indicato per
eventi dedicati al business. A giugno ormai i «giochi» sono già fatti,
questo è stato il commento più comune.
Inoltre, per una manifestazione che dovrebbe essere votata totalmente al
mercato e ai suoi operatori appare un po’ fuori sintonia l’ampia presenza di
stand «istituzionali». Se si vuole realmente una fiera «business to
business» allora si deve avere il coraggio di lasciare fuori le realtà
pubbliche e dare spazio ai privati. Ma se ciò fosse avvenuto anche a questa
edizione di MiWine probabilmente gli spazi espositivi venduti sarebbero
stati drammaticamente ridimensionati.
Insomma, anche questa seconda edizione di MiWine ha fatto emergere delle
contraddizioni che speriamo possano realmente essere risolte, perché allo
stato attuale non si può dire che la fiera del vino di Milano abbia
imboccato una sua strada precisa.
MiWine si era ripromessa di diventare anche un osservatorio economico
importante per la filiera vitivinicola. In questa direzione è stata
individuata, già dal 2004, una importante collaborazione con la prestigiosa
Sda Bocconi che quest’anno ha portato un primo frutto: uno studio sui
consumi del vino di qualità a Milano.
Maggiori dettagli della ricerca verranno pubblicati su un prossimo numero
del nostro settimanale. In questa sede, per motivi di spazio, ci limitiamo a
dire che si è trattato di uno studio non particolarmente ricco di spunti,
troppo generico, decisamente poco operativo. Correttamente i responsabili
della ricerca della Bocconi hanno sottolineato che si è trattato di
un’indagine qualitativa e non quantitativa, ma con altrettanta onestà ci
permettiamo di dire che ben altro ci aspettiamo da «colossi» del calibro di
Fiera Milano e Bocconi.
Il mondo del vino italiano ha bisogno di indagini approfondite sul settore,
in grado di aiutare nelle scelte strategiche. Sarebbe stato più utile,
quindi, conoscere, ad esempio, in una piazza così importante come Milano,
quali vini vengono consumati (tipologie, denominazioni, ecc.), in quale
fasce di prezzo, su quali canali di distribuzione. Quali i principali
competitor internazionali dei nostri vini, quali le principali richieste di
ristoratori, enotecari, responsabili acquisti della gdo.
Su questi aspetti, il presidente di Sifa, Ezio Rivella, ci ha voluto
tranquillizzare sottolineando che alla prossima edizione di MiWine, grazie
ad un ulteriore sviluppo dell’accordo con Sda Bocconi, l’osservatorio
marketing del vino sarà in grado di fornire informazioni ben più importanti
e utili per la filiera, produttori in primis. Un’affermazione onesta
quella di Rivella che, però, implicitamente ha anche evidenziato la
debolezza della ricerca presentata a Milano nei giorni scorsi.
Gli organizzatori, insomma, chiedono ancora tempo e pazienza. Lo stato
attuale del settore enologico italiano, però, non ha più troppo tempo.
Milano con il suo eccellente quartiere fieristico hanno sicuramente delle
carte da giocare ma è tempo che le scopra in fretta.
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