POLITICA |
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Pomodoro da industria tra contributi e impresa |
Intervista al presidente di Conserve Italia, Maurizio
Gardini
Le difficoltà delle scorse campagne, un mercato sempre più competitivo
e la prossima revisione dell’ocm di settore sono gli elementi di cui tener
conto per dare un futuro a questa coltura che rappresenta un cardine del
made in Italy agroalimentare. Gli obiettivi dei produttori e quelli
dell’industria di trasformazione
Riconoscere la vera passata di pomodoro italiano oggi è
finalmente possibile. È questo il risultato del decreto interministeriale
entrato in vigore il 15 giugno scorso che sancisce l’obbligo per il
produttore di indicare in etichetta la provenienza della materia prima
utilizzata.
Questo provvedimento rappresenta però solo un primo, piccolo passo per
ridare competitività e trasparenza a un comparto, quello del pomodoro da
industria, che nel nostro Paese vive da tempo una situazione di grande
difficoltà.
Abbiamo chiesto a Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, gigante
cooperativo che attraverso i propri marchi Cirio, Valfrutta, De Rica e Jolly
Colombani è leader del mercato e controlla circa il 13% della produzione
nazionale di pomodoro, di fare il punto della situazione in vista della
prossima campagna di raccolta e della revisione dell’attuale ocm che regola
il settore.
Presidente, lo stato di sofferenza del pomodoro da industria si prolunga
ormai da tempo. Come si è arrivati alla situazione attuale?
Fino alla fine degli anni 90 il mercato del pomodoro, nel medio periodo,
era sostanzialmente in equilibrio: periodicamente, cioè circa ogni 2-3 anni,
si verificavano piccole crisi che, però, sostanzialmente, potevano essere
governate. Poi si sono registrati due fatti nuovi importanti: l’espansione
della coltura nelle aree mediterranee e, a partire dal 2000, la progressiva
presenza sul mercato di trasformato cinese.
In Italia l’equilibrio si è mantenuto fino alla primavera del 2004, grazie
anche al fatto che il 2002 e il 2003 sono stati anni di scarsa produzione. I
prezzi erano sufficientemente remunerativi, al punto da spingere
l’allargamento della coltura al Nord praticamente in tutta l’area della
Pianura Padana. Ma l’apertura violenta all’importazione di concentrato
cinese da parte dei trasformatori dell’Agro nocerino-sarnese ha cambiato
radicalmente la situazione e quantità crescenti di questo prodotto,
rilavorato e diluito in acqua, con caratteristiche organolettiche scarse ma
prezzi molto aggressivi, hanno invaso rapidamente il mercato. Il 2004,
inoltre, ha fatto registrare una crescita del 30% circa della produzione in
tutte le principali aree mondiali di coltivazione, generando un forte
squilibrio tra domanda e offerta e una conseguente sensibile riduzione dei
prezzi, soprattutto dei semilavorati, ma anche dei prodotti finiti a
marchio. Le difficoltà economiche generali del nostro Paese hanno infine
accentuato ancor più la crisi del comparto.
Quali sono oggi le prospettive?
Il mercato è, purtroppo, ancora depresso per gli effetti disastrosi
della campagna 2004. Le scorte da smaltire sono cospicue ma, per fortuna, si
registra qualche segnale positivo: ad esempio le superfici investite a
coltura nel nostro Paese sono quest’anno in sensibile diminuzione (circa
60.000 ha, contro 75-80.000 ha mediamente di qualche anno fa). Ciò
essenzialmente per tre ragioni: una generale difficoltà nella contrattazione
con l’industria, una più bassa densità di piante per ettaro (l’elevato costo
dei trapianti si fa sentire) e una situazione meteo non favorevole che ha
fatto saltare i piani di semina in molte zone. Le avversità meteorologiche
subite fanno prevedere quest’anno una raccolta molto concentrata, con un
prodotto caratterizzato da possibili problemi di giusta maturazione per la
successiva lavorazione industriale.
Alla luce delle informazioni attuali ritengo pertanto che la produzione
«reale» possa essere inferiore ai 40 milioni di quintali.
Produzione «reale» e produzione «di carta»...
Sì, questo è uno dei grandi problemi che devono essere affrontati una
volta per tutte dalle nostre autorità ed essere definitivamente risolti.
L’industria del malaffare fino a oggi ha tratto grandi vantaggi dai
contributi comunitari e sarebbe ora di intervenire con maggiori controlli a
ogni livello: non è possibile che la malavita continui ad appropriarsi di
contributi destinati agli agricoltori. Sotto questo profilo l’attuale ocm di
settore è gravemente insufficiente: non previene le truffe e non offre
tutele contrattuali alle parti più deboli, cioè gli agricoltori.
In vista della nuova ocm, da più parti si chiede l’applicazione del
disaccoppiamento totale degli aiuti al produttore. Lei che ne pensa?
Come dicevo, l’attuale ocm, purtroppo, non salvaguarda adeguatamente la
produzione. Superare questo sistema con il disaccoppiamento totale degli
aiuti credo però sia una misura penalizzante per i produttori italiani, per
la filiera e, in definitiva, per tutto il Paese.
La prossima riforma deve prima di tutto assicurare condizioni eque al
produttore per permettergli di continuare a fare il suo mestiere, deve cioè
dare una prospettiva a coloro che coltivano e coltiveranno il pomodoro e non
a quelli che l’hanno coltivato. Dal punto di vista del produttore mi sembra
assai difficile che con il disaccoppiamento gli si possano garantire 2.000
euro/ha di contributo negli anni di riferimento.
Dal punto di vista industriale, l’introduzione del disaccoppiamento comporta
dover corrispondere al produttore almeno 60 euro/t,
perché altrimenti egli non ha convenienza a coltivare. Un tale prezzo è
fuori dall’equilibrio dei mercati mondiali e potrebbe essere sopportabile,
forse, solo per quelle aziende che trasformano e commercializzano con marchi
noti sul mercato al consumo. Al contrario, l’industria nazionale dei
semilavorati, che storicamente è stata protagonista dell’affermazione del
made in Italy, sarebbe mediamente fuori mercato e costretta a delocalizzare
produzioni e stabilimenti. La conseguenza finale, quindi, non potrebbe che
essere una drastica riduzione della produzione italiana di pomodoro,
valutabile a non più di 20 milioni di quintali, la quale andrebbe a
concentrarsi in poche aree dove insistono impianti di lavorazione moderni ed
efficienti.
Oltre al danno, infine, c’è anche la beffa, poiché chi ha truffato nel
passato riuscirebbe a «monetizzare» fino al 2013 la propria scorrettezza.
Quali sono, allora, le sue proposte per un rilancio duraturo del settore?
Come ho già detto il sistema nazionale ha bisogno prima di tutto di
moralità. Bisogna spazzare via l’abuso, il pomodoro di «carta», che sottrae
risorse preziose.
A livello europeo occorre prendere atto del quantitativo di produzione che
il mercato è in grado di assorbire e, nell’ambito di una invarianza di spesa
complessiva, adottare una logica di riequilibrio delle attribuzioni ai
diversi Paesi. In particolare, dovrebbe essere riconosciuto a Italia e
Spagna un aumento della capacità produttiva rispetto alle quote
originariamente assegnate.
Noi italiani dobbiamo però migliorare i rapporti nella filiera. Penso alle
tensioni della fase di contrattazione: industria privata e organizzazioni di
produttori devono anticiparne i tempi, stabilendo ad esempio come data
limite il 15 dicembre, con la possibilità di prevedere uno scostamento delle
superfici contrattate di più o meno il 10% a seconda dell’andamento del
mercato.
A mio avviso occorre inoltre azzerare le regole contrattuali per la qualità
inserite negli ultimi anni, che sono del tutto vessatorie e inique per la
produzione e hanno stressato il rapporto tra quest’ultima e la
trasformazione.
Per concludere, in termini generali dobbiamo pensare a forti interventi
sull’impresa, focalizzando meno l’attenzione sui contributi. Dobbiamo cioè
tener presente le regole del mercato, facendo attenzione a non compromettere
l’industria del semilavorato che tanta parte ha avuto fino a oggi nel
decretare il successo della produzione nazionale.
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