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L'Informatore Agrario
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25
 16-22 Giu.

  2006
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Attualità POLITICA

Pomodoro da industria tra contributi e impresa

Intervista al presidente di Conserve Italia, Maurizio Gardini

Le difficoltà delle scorse campagne, un mercato sempre più competitivo e la prossima revisione dell’ocm di settore sono gli elementi di cui tener conto per dare un futuro a questa coltura che rappresenta un cardine del made in Italy agroalimentare. Gli obiettivi dei produttori e quelli dell’industria di trasformazione

Riconoscere la vera passata di pomodoro italiano oggi è finalmente possibile. È questo il risultato del decreto interministeriale entrato in vigore il 15 giugno scorso che sancisce l’obbligo per il produttore di indicare in etichetta la provenienza della materia prima utilizzata.
Questo provvedimento rappresenta però solo un primo, piccolo passo per ridare competitività e trasparenza a un comparto, quello del pomodoro da industria, che nel nostro Paese vive da tempo una situazione di grande difficoltà.
Abbiamo chiesto a Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, gigante cooperativo che attraverso i propri marchi Cirio, Valfrutta, De Rica e Jolly Colombani è leader del mercato e controlla circa il 13% della produzione nazionale di pomodoro, di fare il punto della situazione in vista della prossima campagna di raccolta e della revisione dell’attuale ocm che regola il settore.
Presidente, lo stato di sofferenza del pomodoro da industria si prolunga ormai da tempo. Come si è arrivati alla situazione attuale?

Fino alla fine degli anni 90 il mercato del pomodoro, nel medio periodo, era sostanzialmente in equilibrio: periodicamente, cioè circa ogni 2-3 anni, si verificavano piccole crisi che, però, sostanzialmente, potevano essere governate. Poi si sono registrati due fatti nuovi importanti: l’espansione della coltura nelle aree mediterranee e, a partire dal 2000, la progressiva presenza sul mercato di trasformato cinese.
In Italia l’equilibrio si è mantenuto fino alla primavera del 2004, grazie anche al fatto che il 2002 e il 2003 sono stati anni di scarsa produzione. I prezzi erano sufficientemente remunerativi, al punto da spingere l’allargamento della coltura al Nord praticamente in tutta l’area della Pianura Padana. Ma l’apertura violenta all’importazione di concentrato cinese da parte dei trasformatori dell’Agro nocerino-sarnese ha cambiato radicalmente la situazione e quantità crescenti di questo prodotto, rilavorato e diluito in acqua, con caratteristiche organolettiche scarse ma prezzi molto aggressivi, hanno invaso rapidamente il mercato. Il 2004, inoltre, ha fatto registrare una crescita del 30% circa della produzione in tutte le principali aree mondiali di coltivazione, generando un forte squilibrio tra domanda e offerta e una conseguente sensibile riduzione dei prezzi, soprattutto dei semilavorati, ma anche dei prodotti finiti a marchio. Le difficoltà economiche generali del nostro Paese hanno infine accentuato ancor più la crisi del comparto.
Quali sono oggi le prospettive?

Il mercato è, purtroppo, ancora depresso per gli effetti disastrosi della campagna 2004. Le scorte da smaltire sono cospicue ma, per fortuna, si registra qualche segnale positivo: ad esempio le superfici investite a coltura nel nostro Paese sono quest’anno in sensibile diminuzione (circa 60.000 ha, contro 75-80.000 ha mediamente di qualche anno fa). Ciò essenzialmente per tre ragioni: una generale difficoltà nella contrattazione con l’industria, una più bassa densità di piante per ettaro (l’elevato costo dei trapianti si fa sentire) e una situazione meteo non favorevole che ha fatto saltare i piani di semina in molte zone. Le avversità meteorologiche subite fanno prevedere quest’anno una raccolta molto concentrata, con un prodotto caratterizzato da possibili problemi di giusta maturazione per la successiva lavorazione industriale.
Alla luce delle informazioni attuali ritengo pertanto che la produzione «reale» possa essere inferiore ai 40 milioni di quintali.
Produzione «reale» e produzione «di carta»...

Sì, questo è uno dei grandi problemi che devono essere affrontati una volta per tutte dalle nostre autorità ed essere definitivamente risolti. L’industria del malaffare fino a oggi ha tratto grandi vantaggi dai contributi comunitari e sarebbe ora di intervenire con maggiori controlli a ogni livello: non è possibile che la malavita continui ad appropriarsi di contributi destinati agli agricoltori. Sotto questo profilo l’attuale ocm di settore è gravemente insufficiente: non previene le truffe e non offre tutele contrattuali alle parti più deboli, cioè gli agricoltori.
In vista della nuova ocm, da più parti si chiede l’applicazione del disaccoppiamento totale degli aiuti al produttore. Lei che ne pensa?

Come dicevo, l’attuale ocm, purtroppo, non salvaguarda adeguatamente la produzione. Superare questo sistema con il disaccoppiamento totale degli aiuti credo però sia una misura penalizzante per i produttori italiani, per la filiera e, in definitiva, per tutto il Paese.
La prossima riforma deve prima di tutto assicurare condizioni eque al produttore per permettergli di continuare a fare il suo mestiere, deve cioè dare una prospettiva a coloro che coltivano e coltiveranno il pomodoro e non a quelli che l’hanno coltivato. Dal punto di vista del produttore mi sembra assai difficile che con il disaccoppiamento gli si possano garantire 2.000 euro/ha di contributo negli anni di riferimento.
Dal punto di vista industriale, l’introduzione del disaccoppiamento comporta dover corrispondere al produttore almeno 60 euro/t,
perché altrimenti egli non ha convenienza a coltivare. Un tale prezzo è fuori dall’equilibrio dei mercati mondiali e potrebbe essere sopportabile, forse, solo per quelle aziende che trasformano e commercializzano con marchi noti sul mercato al consumo. Al contrario, l’industria nazionale dei semilavorati, che storicamente è stata protagonista dell’affermazione del made in Italy, sarebbe mediamente fuori mercato e costretta a delocalizzare produzioni e stabilimenti. La conseguenza finale, quindi, non potrebbe che essere una drastica riduzione della produzione italiana di pomodoro, valutabile a non più di 20 milioni di quintali, la quale andrebbe a concentrarsi in poche aree dove insistono impianti di lavorazione moderni ed efficienti.
Oltre al danno, infine, c’è anche la beffa, poiché chi ha truffato nel passato riuscirebbe a «monetizzare» fino al 2013 la propria scorrettezza.
Quali sono, allora, le sue proposte per un rilancio duraturo del settore?
Come ho già detto il sistema nazionale ha bisogno prima di tutto di moralità. Bisogna spazzare via l’abuso, il pomodoro di «carta», che sottrae risorse preziose.
A livello europeo occorre prendere atto del quantitativo di produzione che il mercato è in grado di assorbire e, nell’ambito di una invarianza di spesa complessiva, adottare una logica di riequilibrio delle attribuzioni ai diversi Paesi. In particolare, dovrebbe essere riconosciuto a Italia e Spagna un aumento della capacità produttiva rispetto alle quote originariamente assegnate.
Noi italiani dobbiamo però migliorare i rapporti nella filiera. Penso alle tensioni della fase di contrattazione: industria privata e organizzazioni di produttori devono anticiparne i tempi, stabilendo ad esempio come data limite il 15 dicembre, con la possibilità di prevedere uno scostamento delle superfici contrattate di più o meno il 10% a seconda dell’andamento del mercato.
A mio avviso occorre inoltre azzerare le regole contrattuali per la qualità inserite negli ultimi anni, che sono del tutto vessatorie e inique per la produzione e hanno stressato il rapporto tra quest’ultima e la trasformazione.
Per concludere, in termini generali dobbiamo pensare a forti interventi sull’impresa, focalizzando meno l’attenzione sui contributi. Dobbiamo cioè tener presente le regole del mercato, facendo attenzione a non compromettere l’industria del semilavorato che tanta parte ha avuto fino a oggi nel decretare il successo della produzione nazionale.
 

Sommario rivista Nicola Castellani


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