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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
25
 16-22 Giu.

  2006
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Editoriale

L'agricoltura italiana non cammina
Antonio Piccinini

Il calo del valore aggiunto agricolo segnalato dall’Istat, pur non essendo troppo grave in sé, rappresenta un campanello di allarme per un settore che ormai da alcuni anni non riesce più ad aumentare la ricchezza prodotta

Istat, l’Istituto nazionale di statistica, ha diffuso il suo consueto comunicato sui conti economici trimestrali del Paese. Da questo bollettino l’agricoltura non ne esce bene, con una flessione del 6,1% del valore aggiunto nel primo trimestre 2006, rispetto al quarto trimestre dell’anno precedente.
Il valore aggiunto è un indicatore statistico che misura il contributo di ogni impresa al prodotto totale. Possiamo anche definirlo come valore netto di un’impresa. Si calcola detraendo dal valore delle vendite i beni, acquistati da altre imprese, necessari alla produzione. La manodopera impiegata in azienda è esclusa dalla detrazione.
Sulla base di questa sommaria definizione si può dire che il calo di valore aggiunto, segnalato dall’Istat, indica un calo della ricchezza prodotta dall’agricoltura italiana.
Il valore della produzione è calcolato moltiplicando le quantità prodotte per i prezzi di mercato.
Il dato pubblicato non dice, però, se sono state le quantità prodotte a diminuire o se sono calati i prezzi dei beni venduti oppure entrambi. In questo caso specifico ci sentiamo di azzardare l’interpretazione che il dato riflette il crollo quantitativo della produzione di carni avicole per la nota paura indotta dall’influenza aviare.
In questa combinazione, si è manifestato anche quello che in genere non succede di fronte a un calo dell’offerta, cioè un calo dei prezzi.
Non è comunque la diminuzione di valore aggiunto che deve preoccupare, in quanto ha l’aspetto di un fatto doloroso, ma passeggero.
Se si esamina il dato del primo trimestre non più confrontato sul trimestre precedente, che in agricoltura ha sempre significato relativo, ma sullo stesso trimestre dell’anno precedente, la diminuzione è maggiormente contenuta, sull’ordine del 3,5%.
Allora tutto bene? Assolutamente no, perché non è questo specifico dato che preoccupa, ma piuttosto la stagnazione che da anni colpisce il valore aggiunto agricolo a livello nazionale. In moneta costante, cioè depurato dall’inflazione, esso non si muove da molto tempo: era al livello di circa 26,4 miliardi di euro nel 2001 e nei cinque anni successivi, cioè nel 2005, è arrivato appena a 27 miliardi. La modesta crescita è dovuta al solo anno positivo: il 2004.
Considerato che il balzo del 2004 è stato unico, e per molti versi ancora statisticamente misterioso, ci troviamo in presenza di un calo reale, costante da anni.
Certo il Paese nel suo complesso non è andato molto meglio, ma questa non è una consolazione.
Si è sempre detto che l’agricoltura è anticiclica ma, ammesso che sia vero, si vede chiaramente che ormai è legata all’economia di tutto il Paese.
I prezzi dei prodotti alimentari non trasformati, cioè quelli più vicini al settore della produzione, sono diminuiti negli ultimi quattro anni, in termini reali, raffreddando l’inflazione. Politici e sindacalisti agricoli possono spendere questo dato come una benemerenza del settore agricolo, ma il costo di questa opera buona è sicuramente un minore reddito per gli agricoltori.
Questi ultimi dati che abbiamo citato fanno parte della relazione del governatore della Banca d’Italia del 31 maggio scorso, nella quale per la prima volta non si fa riferimento esplicito al settore agricolo. Forse, con il 2,3% d’importanza dell’agricoltura sul pil, cioè sul valore della ricchezza nazionale prodotta in un anno, il governatore Mario Draghi ha pensato di non avere tempo da perdere.
Noi invece riteniamo che abbia volutamente rimandato l’esprimere giudizi su un settore che ha un comportamento, sulla base delle idee del governatore, non virtuoso.
Un settore con un’amministrazione pubblica al suo servizio, o al suo comando, ipertrofica, con una molteplicità di rappresentanze sindacali rissose e che palesemente vive di sussidi.
Nella relazione il governatore si richiama alla libera concorrenza, al progresso tecnico e scientifico, alla scuola, cose certamente carenti in agricoltura.
Draghi ha richiamato l’attenzione sulla produttività del lavoro, che in agricoltura sembra aumentata.
È un dato difficile da leggere perché in agricoltura il lavoro è spesso irregolare o atipico, e pertanto le statistiche sugli occupati meritano indagini approfondite. In ogni modo, negli ultimi 10 anni i lavoratori dipendenti sono diminuiti del 15% e gli indipendenti del 30%.
Questo, a parità della produzione, potrebbe essere interpretato come aumento di produttività, ma anche come una fuga.
Vedremo nei prossimi anni.
 

Sommario rivista Antonio Piccinini


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