POLITICA |
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Zucchero: la torta da spartire non c'è |
Il parere del direttore di Anb sul prezzo delle bietole
L' articolo sul prezzo della bietola del prossimo anno,
pubblicato sul numero 23 di questa rivista, a pagina 8, richiama alcune
precisazioni e offre lo spunto per qualche considerazione di prospettiva.
In buona sostanza l’articolo sostiene che il mercato dello zucchero europeo,
a seguito delle profonde modifiche introdotte con la riforma dell’ocm di
settore, farà registrare un forte calo dell’offerta e, quindi, genererà un
margine di mercato di cui beneficerà solo l’industria trasformatrice,
lasciando invece a bocca asciutta i produttori.
La colpa di ciò, sostiene «perfidamente e con fare innocente» l’autore,
sarebbe da addebitarsi alle Associazioni bieticole, incapaci, a suo dire, di
cogliere le novità degli scenari apertisi e di porre nelle trattative
dell’accordo interprofessionale, conclusesi lo scorso febbraio, il tema
della partecipazione dei produttori ai margini di mercato acquisiti
dall’industria trasformatrice.
Cercheremo di replicare a questa velata accusa di incompetenza, sperando di
unire sintesi a chiarezza su un tema molto difficile. E, volendo, molto
appassionante, nella misura in cui si tratta di scendere nelle pieghe di una
riforma e di taluni scenari economici che costituiscono l’essenza di quanto
potrà accadere al settore.
Partiamo dalla erroneità di alcuni presupposti dell’articolo, su cui si
regge poi la condanna di incompetenza.
Presupposti non corretti
A parte alcune sviste (il prezzo di riferimento dello zucchero
nel 2006 non sarà di 505 euro circa alla tonnellata bensì di 631 euro – la
differenza essendo data dall’applicazione del contributo alla
ristrutturazione gravante sulle Società – il che cambia la costruzione di
alcuni assunti), va detto che il riferimento fatto alle quotazioni mondiali
dello zucchero sono improprie. Esse infatti non centrano niente con il
mercato europeo, che è nettamente isolato rispetto a quello mondiale, con le
importazioni blindate da dazi elevati e le esportazioni sostanzialmente
vietate dalle norme e dai pronunciamenti giudiziari delle Wto.
In queste condizioni, il solo effetto osmotico tra i due mercati potrà
riferirsi al rubinetto dei flussi delle importazioni preferenziali, ma altri
effetti economici non ve ne saranno.
Il secondo presupposto erroneo è che il mercato europeo possa essere libero
di muoversi secondo giochi di domanda e offerta. La realtà è infatti
diversa. Con la nuova ocm si perpetuano le quote zucchero, teoricamente
superiori ai consumi, ma la Commissione, nel rispetto degli obblighi
internazionali, intende esercitare uno stretto controllo della offerta,
intervenendo con ritiri obbligatori in modo tale da limitare la produzione
comunitaria disponibile al livello del consumo interno meno le importazioni.
Grazie ad un osservatorio prezzi appositamente costituito, la Commissione
cercherà di rendere il mercato piatto e tendenzialmente in perenne
equilibrio: in modo tale che i prezzi potranno adattarsi stabilmente a
quelli di riferimento.
La elevata protezione daziaria attuale (ma quanto potrà durare con la
rinegoziazione Wto alle porte?) consentirebbe sulla carta ai prezzi zucchero
di lievitare, ma dubitiamo fortemente che questa condizione, che peraltro
non potrebbe che essere temporanea, non verrebbe prontamente smorzata da
importazioni francesi e tedesche, che da qualche anno a questa parte, pur in
vigenza del vecchio regime di prezzo di intervento, giungono in Italia allo
stesso livello di prezzo minimo del prodotto nazionale (se non di meno),
quasi come se non esistessero i costi di trasporto (nota fuori campo: un
giorno forse qualcuno spiegherà perché nell’Europa dello zucchero si sia
praticato così disinvoltamente una politica di dumping).
Difficile che i prezzi crescano
Con questi presupposti, appare difficile poter sostenere che si
stanno creando premesse per una consolidata lievitazione dei prezzi dello
zucchero: e se non c’è questa condizione, non ci può essere neanche la
partecipazione dei bieticoltori a auspicabili ma del tutto teorici margini
commerciali.
Questa analisi è sbagliata? Speriamo, ma crediamo di no . E con noi lo
credono anche le Istituzioni comunitarie, lo Stato italiano (ricordiamo, a
proposito, che nel «Piano di razionalizzazione del settore» si parla di una
industria che realizzerà 43 euro di perdita per ogni tonnellata, se non si
realizzeranno alcune soluzioni), e gli industriali dello zucchero (che
sarebbero veramente singolari se, immaginando un «bengodi» sui prezzi,
decidessero, come stanno facendo, di chiudere, chiudere e chiudere ancora
zuccherifici).
E naturalmente egualmente pessimiste sono state le Associazioni bieticole,
che hanno quindi avuto atteggiamenti conformi agli scenari attendibili del
momento.
Va rilevato come le Associazioni abbiano da sempre sostenuto, durante la
vecchia ocm, la necessità di fare partecipi i bieticoltori ai margini di
mercato dell’industria trasformatrice: ciò non è però successo, nonostante
in quel periodo il prezzo dello zucchero avesse livelli di garanzia molto
superiori agli attuali. Oggi che tali garanzie sono state indebolite (il
prezzo di intervento è stato sostituito dal prezzo di riferimento) sarebbe
paradossale che le Associazioni riuscissero a prevalere in questa battaglia.
Senza contare che una richiesta in tal senso in sede di accordo avrebbe
potuto legittimare una controrichiesta di parte industriale di una
partecipazione agricola agli eventuali minus commerciali (ricordiamoci che
già la Commissione, nelle sue bozze intermedie dei regolamenti aveva pensato
ad una cosa del genere, per equilibrare i rischi tra agricoltura e
industria).
Aggiungiamo solo che tutte le nostre speranze devono concentrarsi sulla
possibilità che un margine di mercato possa effettivamente realizzarsi, come
conseguenza di una maggiore libertà del mercato stesso, e come fattore di
consolidamento di una industria saccarifera economicamente non precaria e in
grado di rispondere a una domanda di maggior remunerazione della bietola,
anche come elemento di garanzia per stabilizzare i flussi di
approvvigionamento delle fabbriche.
Fino a che tale situazione non si verrà a creare appare velleitaria (e, fino
a quel momento, scarsamente sostenibile) la rivendicazione di partecipazioni
economiche a qualcosa che ancora non c’è.
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