POLITICA |
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Il vino australiano frena la sua corsa |
I produttori chiedono sostegni
L’espansione del settore vitivinicolo, che sembrava inarrestabile, ha
subito un duro colpo per il crollo dei prezzi delle uve e le difficoltà
dell’export. Forse si è impiantato troppo
La vitivinicoltura australiana è in crisi. Possibile?
Senza ombra di dubbio sì. Ma non doveva diventare, entro il 2025, il più
importante Paese vitivinicolo al mondo? Stando ai numeri attuali è difficile
pensare per l’Australia una crescita come era stata prevista all’inizio di
questo millennio.
Crollano i prezzi dell’uva
Sono i numeri a condannare oggi il vino australiano, a partire dai prezzi
delle
uve che stanno registrando un vero e proprio crollo. Secondo l’Australian
Bureau of Agricultural and Resources Economics, i prezzi delle uve da vino
australiane della vendemmia 2005-2006 sono scesi del 5% raggiungendo il
valore preoccupante di 522 dollari australiani/t (circa 303 euro) per le
varietà bianche e i 413 dollari australiani/t (circa 240 euro) per le
varietà rosse.
Alla luce di questo crollo dei prezzi, molte associazioni di viticoltori
australiani stanno chiedendo aiuto ai rispettivi Governi (l’Australia è un
Governo federale composto da sei Stati). Ad esempio, la Riverland growers
association del Sud Australia (è lo Stato più importante dal punto di vista
viticolo con la famosa zona della Barossa Valley) nello scorso mese di
maggio ha ufficialmente chiesto un sostegno statale di almeno 200 dollari
australiani/t (circa 116 euro) per compensare la caduta dei prezzi delle
uve.
«I soli costi di produzione delle uve nella nostra regione – si è
giustificato Chris Byrne, responsabile dell’associazione – sono di 350
dollari australiani (circa 203 euro) e quindi è fondamentale un sostegno per
non rischiare una perdita continua delle nostre imprese».
Se a questi dati si aggiunge che dal 2002 a oggi i prezzi all’export dei
vini sono scesi di circa un terzo e che, allo stato attuale secondo uno
studio della Deloitte, quasi il 40% delle aziende vitivinicole australiane
sta lavorando in perdita, si capisce bene che non è un’esagerazione parlare
di forte crisi del vino australiano.
Sempre sul versante dell’export, la punta di diamante dell’industria
enologica australiana, i dati del 2006 riferiscono che a gennaio il prezzo
medio di vendita del vino australiano era di soli 3,78 dollari
australiani/L, poco più di 2 euro.
Un dato che fa ben capire che da tempo le aziende vitivinicole australiane
stavano operando una forte azione di dumping (cioè vendere sotto
costo) sui mercati internazionali. Un’azione che, evidentemente, non era
sostenibile per un lungo periodo.
Serve un freno agli impianti
Non può meravigliare, quindi, che proprio in questi giorni la Wine grape
growers of Australia (Wgga), l’associazione che riunisce tutti i
vitivinicoltori del Paese, abbia chiesto ufficialmente il blocco dei nuovi
impianti in tutta l’Australia.
La Wgga ha infatti chiesto agli investitori di non impiantare più vigneti
per non aggravare la situazione di sovrapproduzione a cui l’industria del
vino australiana deve far fronte. A questo proposito Mark McKenzie,
direttore della Wgga, si è dichiarato molto preoccupato per l’azione delle
agenzie di investimenti che continuano a proporre la creazione di nuove
superfici vitate, nonostante la grave crisi che mette in pericolo la
redditività degli impianti stessi. Va ricordato che in Australia gli
investitori in vigneti sono principalmente attirati dagli esoneri fiscali
concessi nei primi tre anni per i nuovi impianti.
Quella che sembrava quindi una crescita interminabile della superficie
vitata australiana potrebbe ora avere una prima importante battuta
d’arresto.
Va ricordato che dal 1991 a oggi, il vigneto australiano è cresciuto di
oltre il 100% raggiungendo gli attuali 167.000 ha.
Ma quali sono le ragioni di questa profonda crisi? Come sempre non è mai una
sola. Come è noto, gran parte del volume d’affari del vino australiano è
realizzato sui mercati internazionali. Ovvio, quindi, che una drastica
riduzione dei prezzi all’export incida profondamente sui fatturati delle
imprese vitivinicole australiane.
Le difficoltà sul fronte delle esportazioni sono dettate anche dalla
supervalutazione del dollaro australiano di questi ultimi anni che non ha
certo aiutato i vini di questo Paese sui mercati esteri. È successo quello
che noi ben conosciamo a causa della forte rivalutazione dell’euro,
soprattutto nei confronti del dollaro Usa.
Ma anche per l’Australia sarebbe riduttivo parlare solo di crisi
congiunturale. Vi sono, infatti, anche alcuni problemi di ordine
strutturale: si è esagerato nell’investimento in superficie vitata che non è
stato compensato da vendite e da prezzi adeguati. La lievitazione dei costi
di produzione, quindi, non è stata assolutamente compensata da vendite
remunerative. Il tentativo, inoltre, di conquistare i mercati esteri a forza
di «prezzi da svendita» si è dimostrato un vero boomerang (mai in questo
caso il termine risulta appropriato) per la vitivinicoltura australiana.
«Soprattutto i piccoli e i medi produttori (sono oltre 2.000 i produttori di
vino in Australia) – ha dichiarato Michael Bolland, manager della Red Hill
Estates, al Melbourne Age, il maggior quotidiano di Melbourne – non
hanno ancora capito l’importanza della valutazione dei costi di produzione e
non c’è dubbio che di questo passo molti operatori usciranno bruscamente dal
mercato».
Ma parlare di quote di produzione, di superfici contingentate in Paesi dalla
lunga tradizione di mercato totalmente liberista appare decisamente
difficile. Ma allo stato attuale la situazione darebbe ragione a coloro che
continuano ad affermare che la produzione senza nessun controllo, in balia
solo del mercato, è un’operazione ad altissimo rischio.
Ma gli australiani sembrano abbastanza refrattari a dettare regole di
controllo della produzione. Anche l’ultima vendemmia, infatti, è stata di
dimensioni notevoli raggiungendo l’1,8 milioni di tonnellate, il 7% in meno
rispetto al 2005, ma sempre una produzione eccedentaria vista la situazione
di mercato. Per la prima volta nel 2005, ricordiamo proprio a causa di
queste eccedenze, non furono raccolte il 2-3% delle uve, troppo poco,
probabilmente, vista la situazione attuale.
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