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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
24
 9-15 Giu.

  2006
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Attualità POLITICA

Il vino australiano frena la sua corsa

I produttori chiedono sostegni

L’espansione del settore vitivinicolo, che sembrava inarrestabile, ha subito un duro colpo per il crollo dei prezzi delle uve e le difficoltà dell’export. Forse si è impiantato troppo

La vitivinicoltura australiana è in crisi. Possibile? Senza ombra di dubbio sì. Ma non doveva diventare, entro il 2025, il più importante Paese vitivinicolo al mondo? Stando ai numeri attuali è difficile pensare per l’Australia una crescita come era stata prevista all’inizio di questo millennio.
Crollano i prezzi dell’uva
Sono i numeri a condannare oggi il vino australiano, a partire dai prezzi delle uve che stanno registrando un vero e proprio crollo. Secondo l’Australian Bureau of Agricultural and Resources Economics, i prezzi delle uve da vino australiane della vendemmia 2005-2006 sono scesi del 5% raggiungendo il valore preoccupante di 522 dollari australiani/t (circa 303 euro) per le varietà bianche e i 413 dollari australiani/t (circa 240 euro) per le varietà rosse.
Alla luce di questo crollo dei prezzi, molte associazioni di viticoltori australiani stanno chiedendo aiuto ai rispettivi Governi (l’Australia è un Governo federale composto da sei Stati). Ad esempio, la Riverland growers association del Sud Australia (è lo Stato più importante dal punto di vista viticolo con la famosa zona della Barossa Valley) nello scorso mese di maggio ha ufficialmente chiesto un sostegno statale di almeno 200 dollari australiani/t (circa 116 euro) per compensare la caduta dei prezzi delle uve.
«I soli costi di produzione delle uve nella nostra regione – si è giustificato Chris Byrne, responsabile dell’associazione – sono di 350 dollari australiani (circa 203 euro) e quindi è fondamentale un sostegno per non rischiare una perdita continua delle nostre imprese».
Se a questi dati si aggiunge che dal 2002 a oggi i prezzi all’export dei vini sono scesi di circa un terzo e che, allo stato attuale secondo uno studio della Deloitte, quasi il 40% delle aziende vitivinicole australiane sta lavorando in perdita, si capisce bene che non è un’esagerazione parlare di forte crisi del vino australiano.
Sempre sul versante dell’export, la punta di diamante dell’industria enologica australiana, i dati del 2006 riferiscono che a gennaio il prezzo medio di vendita del vino australiano era di soli 3,78 dollari australiani/L, poco più di 2 euro.
Un dato che fa ben capire che da tempo le aziende vitivinicole australiane stavano operando una forte azione di dumping (cioè vendere sotto costo) sui mercati internazionali. Un’azione che, evidentemente, non era sostenibile per un lungo periodo.
Serve un freno agli impianti
Non può meravigliare, quindi, che proprio in questi giorni la Wine grape growers of Australia (Wgga), l’associazione che riunisce tutti i vitivinicoltori del Paese, abbia chiesto ufficialmente il blocco dei nuovi impianti in tutta l’Australia.
La Wgga ha infatti chiesto agli investitori di non impiantare più vigneti per non aggravare la situazione di sovrapproduzione a cui l’industria del vino australiana deve far fronte. A questo proposito Mark McKenzie, direttore della Wgga, si è dichiarato molto preoccupato per l’azione delle agenzie di investimenti che continuano a proporre la creazione di nuove superfici vitate, nonostante la grave crisi che mette in pericolo la redditività degli impianti stessi. Va ricordato che in Australia gli investitori in vigneti sono principalmente attirati dagli esoneri fiscali concessi nei primi tre anni per i nuovi impianti.
Quella che sembrava quindi una crescita interminabile della superficie vitata australiana potrebbe ora avere una prima importante battuta d’arresto.
Va ricordato che dal 1991 a oggi, il vigneto australiano è cresciuto di oltre il 100% raggiungendo gli attuali 167.000 ha.
Ma quali sono le ragioni di questa profonda crisi? Come sempre non è mai una sola. Come è noto, gran parte del volume d’affari del vino australiano è realizzato sui mercati internazionali. Ovvio, quindi, che una drastica riduzione dei prezzi all’export incida profondamente sui fatturati delle imprese vitivinicole australiane.
Le difficoltà sul fronte delle esportazioni sono dettate anche dalla supervalutazione del dollaro australiano di questi ultimi anni che non ha certo aiutato i vini di questo Paese sui mercati esteri. È successo quello che noi ben conosciamo a causa della forte rivalutazione dell’euro, soprattutto nei confronti del dollaro Usa.
Ma anche per l’Australia sarebbe riduttivo parlare solo di crisi congiunturale. Vi sono, infatti, anche alcuni problemi di ordine strutturale: si è esagerato nell’investimento in superficie vitata che non è stato compensato da vendite e da prezzi adeguati. La lievitazione dei costi di produzione, quindi, non è stata assolutamente compensata da vendite remunerative. Il tentativo, inoltre, di conquistare i mercati esteri a forza di «prezzi da svendita» si è dimostrato un vero boomerang (mai in questo caso il termine risulta appropriato) per la vitivinicoltura australiana.
«Soprattutto i piccoli e i medi produttori (sono oltre 2.000 i produttori di vino in Australia) – ha dichiarato Michael Bolland, manager della Red Hill Estates, al Melbourne Age, il maggior quotidiano di Melbourne – non hanno ancora capito l’importanza della valutazione dei costi di produzione e non c’è dubbio che di questo passo molti operatori usciranno bruscamente dal mercato».
Ma parlare di quote di produzione, di superfici contingentate in Paesi dalla lunga tradizione di mercato totalmente liberista appare decisamente difficile. Ma allo stato attuale la situazione darebbe ragione a coloro che continuano ad affermare che la produzione senza nessun controllo, in balia solo del mercato, è un’operazione ad altissimo rischio.
Ma gli australiani sembrano abbastanza refrattari a dettare regole di controllo della produzione. Anche l’ultima vendemmia, infatti, è stata di dimensioni notevoli raggiungendo l’1,8 milioni di tonnellate, il 7% in meno rispetto al 2005, ma sempre una produzione eccedentaria vista la situazione di mercato. Per la prima volta nel 2005, ricordiamo proprio a causa di queste eccedenze, non furono raccolte il 2-3% delle uve, troppo poco, probabilmente, vista la situazione attuale.

 

Sommario rivista Fabio Piccoli


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