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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
3
 19-25 Gen.

  2007
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Attualità POLITICA

I redditi agricoli italiani calati in due anni del 15%

Crescono invece i nuovi Paesi membri ma anche Germania o Gran Bretagna

Non lo sappiamo. Questa è la franca risposta che d’istinto ci viene alle labbra a chi ci chiede come mai «anche» nel 2006 il reddito per addetto agricolo in l’Italia sia diminuito. Nell’intera Ue è intanto aumentato del 2,6%.
Sembrava un’annata normale, non straordinaria ma normale. Produzioni buone in molti settori, prezzi nella media, per i cereali addirittura eccezionali. Invece non è andata così.
Già nel 2005 vi era stata una bella mazzata, con una diminuzione del redditi agricoli del 10,4% rispetto al 2004. Quest’anno il calo rispetto al 2006 è valutato del 4,2%: circa il 15% in due anni. I dati sono stati elaborati e pubblicati dall’Ufficio statistico dell’Unione Europea, l’Eurostat, una fonte autorevole, con buone metodologie ben collaudate.
Qualche dubbio rimane sulla valutazione della manodopera, che in Italia, si sa, è una variabile misteriosa, ma se anche così fosse il trend non cambia. Se non ce l’abbiamo fatta quest’anno a raggiungere risultati sufficienti dobbiamo entrare nell’idea che siamo in una crisi che ormai è difficile chiamare solo congiunturale e tra breve, se continua così, sarà strutturale.
L’Eurostat offre anche il trend dei redditi dall’anno 2000 al 2006. Dal 2000 a oggi le poche annata buone non hanno compensato le cattive. Siamo in calo, sempre sui redditi per addetto, nel periodo considerato, del 10%.
Dalla fotografia del fenomeno all’analisi delle cause. Da più parti si rammentano le solite cose: la nuova organizzazione della pac del 1993, gli accordi in sede di Organizzazione mondiale del commercio. In poche parole tutto quello che va sotto il nome di globalizzazione, in particolare la concorrenza dei Paesi emergenti, e infine gli aumenti dei costi dati dal rincaro del petrolio.
Vero, tutto vero. Ma questo non spiega come mai due grandi agricolture europee molto diverse tra loro non subiscono gli stessi scossoni di noi italiani: Germania e Gran Bretagna navigano al confronto a gonfie vele, con aumenti dal 2000 a oggi del 20% per la Germania e del 24% la Gran Bretagna. Tra l’Italia e la Gran Bretagna vi sono dunque 34 punti percentuali.
Anche la Francia, a noi simile, è in flessione, ma solo del 5%. Non parliamo poi dei dieci Paesi di recente entrati nell’Ue che hanno avuto tassi di crescita anche del 100%, come i Paesi Baltici, ma questo è il loro «miracolo di San Gennaro-Ue». In questi casi la ragione è semplice: il loro livello di partenza era molto basso, dunque è bastato entrare in aree a prezzi dei prodotti più alti per guadagnare.
Siamo costretti ad ammettere che vi è qualcosa di particolare nel sistema Italia. Per alcuni elementi si tratta di cose che conosciamo bene. Ad esempio la presenza di piccole aziende. L’azienda media italiana ha una superficie di 6 ettari, con l’impossibilità di recuperare l’aumento dei costi e la diminuzione dei prezzi attraverso economie di scala. La produttività del lavoro in agricoltura per addetto è pertanto meno della metà di quella dell’industria. Molte buone capacità imprenditoriali si infrangono contro questo scoglio.
Non abbiamo molte innovazioni. La «quarta gamma», una via di mezzo tra innovazione di prodotto e di processo, è forse il solo esempio di novità da qualche anno. Le operazioni dop, igp, ecc., vanno bene, forse sono indispensabili, ma sappiamo che solo per uno o due prodotti si traducono in un effettivo aumento di reddito per l’agricoltore, per le altre è quasi solo facciata.
A riprova che è tutto il sistema ad avere elementi di debolezza non chiaramente identificati vediamo che anche l’andamento dell’export agroindustriale non va molto bene. Nel 2005 il Belgio ci ha preceduti, ora siamo i sesti in Europa. Paesi come l’Olanda, che perseguono politiche di valorizzazione del prodotto esattamente all’opposto di noi, sono in testa. La Spagna, anch’essa mediterranea, ci sorpassa di molte lunghezze.
Il commissario Ue all’agricoltura Mariann Fischer Boel consiglia gli agricoltori di cercarsi un doppio mestiere. A questa gentile signora rispondiamo che su questo tema siamo maestri: la gran parte degli agricoltori italiani ha già un doppio lavoro e questo spiega la sopravvivenza di molte famiglie, ma non delle aziende.
Come abbiamo già detto su queste pagine, questa sarà una crisi lunga, poi in qualche modo si troverà una via di uscita.

 

Sommario rivista

Antonio Piccinini

Università La Sapienza - Roma

 


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