POLITICA
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La lotta alla lingua blu divide Italia e Francia |
Servizi veterinari su fronti contrapposti.
La diversa interpretazione delle norme del recentissimo regolamento
comunitario per contenere la malattia sta paralizzando gli scambi di bovini
vivi tra i due Paesi.
Non
sono mai stati idilliaci i rapporti tra i servizi veterinari italiani e
quelli francesi, ma mai erano giunti a uno scontro forte come quello
attuale.
L’entrata in vigore, lo scorso 2 novembre, del regolamento Ce n. 1266/2007,
che disciplina la lotta e le restrizioni dei movimenti degli animali
appartenenti alle specie ricettive alla febbre catarrale degli ovini (lingua
blu), doveva consentire la ripresa del commercio dei bovini da ristallo
anche dalle zone francesi soggette a restrizione, dopo due mesi di
progressivo rallentamento, fino all’azzeramento, verso l’Italia.
Invece la situazione è diventata assolutamente confusa a causa delle
disposizioni puntualmente discordanti, e spesso opposte tra loro, che
forniscono le amministrazioni sanitarie italiana e francese. Quella che
segue è la cronaca.
Vicenda incredibile
A fine ottobre il ministro francese dell’agricoltura Michel Barnier, da cui
dipendono i servizi veterinari, annuncia enfaticamente la data di entrata in
vigore del nuovo regolamento comunitario e che lo stesso contiene la
proposta francese di consentire la movimentazione di animali anche al di
fuori delle zone soggette a restrizione, quindi anche verso l’Italia, dopo
14 giorni di trattamento con insetticida specifico e test virologico
negativo. Il regolamento, approvato all’unanimità dagli Stati membri, entra
effettivamente in vigore il 2 novembre seguente.
Tuttavia il 31 ottobre il Ministero della salute italiano dispone che gli
animali, provenienti dai territori degli Stati membri sottoposti a
restrizione per il sierotipo BTV8, non devono essere accettati in Italia
secondo quanto previsto dalle nuove norme comunitarie «poichè a parere della
scrivente non sussistono sufficienti garanzie circa le modalità di
protezione degli animali dagli attacchi degli insetti vettori», pertanto,
«in mora al regolamento possono essere ammessi in Italia solo animali
provenienti da zone indenni».
La settimana seguente, dopo molteplici riunioni congiunte a Roma e a Parigi
e un comitato veterinario a Bruxelles, il Ministero dell’agricoltura
francese annuncia l’avvenuto chiarimento con l’Italia e la ripresa
dell’export anche dalle zone soggette a restrizione, né più né meno che
secondo le norme previste nel regolamento 1266/2007 e che la Francia ridurrà
i tempi per la vaccinazione e avrebbe ripreso in considerazione anche il
vaccino vivo proposto dall’Italia e messo a punto dall’Istituto
zooprofilattico di Teramo.
Dal canto suo il Ministero della salute invia una nota alle Regioni in cui
conferma la possibilità di ricevere gli animali da zone soggette a
restrizione ma «solo ed esclusivamente mediante il ricorso a strutture
ufficialmente riconosciute a prova di Culicoides» (ovvero l’insetto vettore
della febbre catarrale; n.d.r.) e che il Ministero aveva «provveduto a
richiedere agli altri Stati membri gli elenchi delle strutture riconosciute
a tale fine». Incredulità in Francia. Secondo i francesi il regolamento
prevede che gli animali siano protetti dagli insetti vettori con insetticida
validato, ma senza ulteriori requisiti nelle strutture e senza comunicazione
di elenchi agli altri Stati. E l’elenco dovrebbe forse contenere le migliaia
di stalle in cui soggiornano i broutards nel periodo precedente la
spedizione?
Nel frattempo, nelle stalle, la situazione è piombata nel caos. In Francia
gli allevatori stanno facendo i test, del costo di 35 euro a capo, che
scadono subito dopo qualche giorno, ma gli esportatori non vogliono
assumersi il rischio di spedire bovini nel timore che possano essere
sequestrati dai servizi veterinari italiani e i clienti non paghino la
fornitura. Solo poche spedizioni avvengono e gli animali sono puntualmente
vincolati in Italia e risottoposti a test.
Venerdì 9 novembre Roma invia una comunicazione alle associazioni di
categoria in cui sottolinea che i bovini vivi sono assimilati agli alimenti
e gli allevatori devono garantirne la sicurezza alimentare: perciò oltre a
garantirne la rintracciabilità devono verificare che gli stessi soddisfino
le norme vigenti pena il ritiro del prodotto, cioè la sua distruzione, e le
sanzioni pecuniarie previste dal decreto n. 190 del 5-4-2006.
Gli allevatori, cioè, dovrebbero accertarsi che gli animali importati non
abbiano il virus, indipendentemente che ciò sia certificato ufficialmente
dall’amministrazione veterinaria francese. Sembrerebbe uno scherzo, ma
invece è una vera e propria minaccia!
Il business dei vaccini
Nello stesso giorno il Ministero della salute emette un comunicato stampa
dal titolo significativo: «Commissione europea condivide posizione italiana
su movimentazione e scambi di bovini vivi». Nel testo si afferma che quella
del Ministero è la sola autentica interpretazione del regolamento 1266/2007,
che la sola soluzione possibile è la vaccinazione di massa degli animali e
che il solo vaccino che può essere rapidamente utilizzato è quello italiano.
Fino ad allora resta possibile la spedizione dalle sole zone libere.
Ingrasso in ginocchio
La filiera bovina italo-francese è presa in ostaggio tra le due
amministrazioni veterinarie che si accapigliano nell’interpretazione di
norme che esse stesse hanno approvato solo poche settimane prima e (forse
soprattutto) per quale vaccino usare. Nel frattempo le stalle di ingrasso in
Italia si stanno progressivamente svuotando, mentre in Francia centinaia di
migliaia di bovini stanno invece ingrassando e fra qualche mese potremmo
importarne direttamente le carni se non avverrà uno sblocco immediato della
situazione. Oltretutto i prezzi dei ristalli sono scesi a livelli più
compatibili con i prezzi dei bovini da macello e potrebbero aiutare a
contenere le pesanti perdite economiche sopportate nell’ultimo anno e mezzo.
In conclusione, il timore è che farà più danno la «febbre amministrativa» di
quella «catarrale».
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