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L'Informatore Agrario
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L'informatore Agrario - settimanale
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43
 16 - 22 Nov.

  2007
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Attualità, L'Informatore Agrario POLITICA

La lotta alla lingua blu divide Italia e Francia

Servizi veterinari su fronti contrapposti.
La diversa interpretazione delle norme del recentissimo regolamento comunitario per contenere la malattia sta paralizzando gli scambi di bovini vivi tra i due Paesi.



Non sono mai stati idilliaci i rapporti tra i servizi veterinari italiani e quelli francesi, ma mai erano giunti a uno scontro forte come quello attuale.
L’entrata in vigore, lo scorso 2 novembre, del regolamento Ce n. 1266/2007, che disciplina la lotta e le restrizioni dei movimenti degli animali appartenenti alle specie ricettive alla febbre catarrale degli ovini (lingua blu), doveva consentire la ripresa del commercio dei bovini da ristallo anche dalle zone francesi soggette a restrizione, dopo due mesi di progressivo rallentamento, fino all’azzeramento, verso l’Italia.
Invece la situazione è diventata assolutamente confusa a causa delle disposizioni puntualmente discordanti, e spesso opposte tra loro, che forniscono le amministrazioni sanitarie italiana e francese. Quella che segue è la cronaca.

Vicenda incredibile
A fine ottobre il ministro francese dell’agricoltura Michel Barnier, da cui dipendono i servizi veterinari, annuncia enfaticamente la data di entrata in vigore del nuovo regolamento comunitario e che lo stesso contiene la proposta francese di consentire la movimentazione di animali anche al di fuori delle zone soggette a restrizione, quindi anche verso l’Italia, dopo 14 giorni di trattamento con insetticida specifico e test virologico negativo. Il regolamento, approvato all’unanimità dagli Stati membri, entra effettivamente in vigore il 2 novembre seguente.
Tuttavia il 31 ottobre il Ministero della salute italiano dispone che gli animali, provenienti dai territori degli Stati membri sottoposti a restrizione per il sierotipo BTV8, non devono essere accettati in Italia secondo quanto previsto dalle nuove norme comunitarie «poichè a parere della scrivente non sussistono sufficienti garanzie circa le modalità di protezione degli animali dagli attacchi degli insetti vettori», pertanto, «in mora al regolamento possono essere ammessi in Italia solo animali provenienti da zone indenni».
La settimana seguente, dopo molteplici riunioni congiunte a Roma e a Parigi e un comitato veterinario a Bruxelles, il Ministero dell’agricoltura francese annuncia l’avvenuto chiarimento con l’Italia e la ripresa dell’export anche dalle zone soggette a restrizione, né più né meno che secondo le norme previste nel regolamento 1266/2007 e che la Francia ridurrà i tempi per la vaccinazione e avrebbe ripreso in considerazione anche il vaccino vivo proposto dall’Italia e messo a punto dall’Istituto zooprofilattico di Teramo.
Dal canto suo il Ministero della salute invia una nota alle Regioni in cui conferma la possibilità di ricevere gli animali da zone soggette a restrizione ma «solo ed esclusivamente mediante il ricorso a strutture ufficialmente riconosciute a prova di Culicoides» (ovvero l’insetto vettore della febbre catarrale; n.d.r.) e che il Ministero aveva «provveduto a richiedere agli altri Stati membri gli elenchi delle strutture riconosciute a tale fine». Incredulità in Francia. Secondo i francesi il regolamento prevede che gli animali siano protetti dagli insetti vettori con insetticida validato, ma senza ulteriori requisiti nelle strutture e senza comunicazione di elenchi agli altri Stati. E l’elenco dovrebbe forse contenere le migliaia di stalle in cui soggiornano i broutards nel periodo precedente la spedizione?
Nel frattempo, nelle stalle, la situazione è piombata nel caos. In Francia gli allevatori stanno facendo i test, del costo di 35 euro a capo, che scadono subito dopo qualche giorno, ma gli esportatori non vogliono assumersi il rischio di spedire bovini nel timore che possano essere sequestrati dai servizi veterinari italiani e i clienti non paghino la fornitura. Solo poche spedizioni avvengono e gli animali sono puntualmente vincolati in Italia e risottoposti a test.
Venerdì 9 novembre Roma invia una comunicazione alle associazioni di categoria in cui sottolinea che i bovini vivi sono assimilati agli alimenti e gli allevatori devono garantirne la sicurezza alimentare: perciò oltre a garantirne la rintracciabilità devono verificare che gli stessi soddisfino le norme vigenti pena il ritiro del prodotto, cioè la sua distruzione, e le sanzioni pecuniarie previste dal decreto n. 190 del 5-4-2006.
Gli allevatori, cioè, dovrebbero accertarsi che gli animali importati non abbiano il virus, indipendentemente che ciò sia certificato ufficialmente dall’amministrazione veterinaria francese. Sembrerebbe uno scherzo, ma invece è una vera e propria minaccia!

Il business dei vaccini
Nello stesso giorno il Ministero della salute emette un comunicato stampa dal titolo significativo: «Commissione europea condivide posizione italiana su movimentazione e scambi di bovini vivi». Nel testo si afferma che quella del Ministero è la sola autentica interpretazione del regolamento 1266/2007, che la sola soluzione possibile è la vaccinazione di massa degli animali e che il solo vaccino che può essere rapidamente utilizzato è quello italiano. Fino ad allora resta possibile la spedizione dalle sole zone libere.

Ingrasso in ginocchio
La filiera bovina italo-francese è presa in ostaggio tra le due amministrazioni veterinarie che si accapigliano nell’interpretazione di norme che esse stesse hanno approvato solo poche settimane prima e (forse soprattutto) per quale vaccino usare. Nel frattempo le stalle di ingrasso in Italia si stanno progressivamente svuotando, mentre in Francia centinaia di migliaia di bovini stanno invece ingrassando e fra qualche mese potremmo importarne direttamente le carni se non avverrà uno sblocco immediato della situazione. Oltretutto i prezzi dei ristalli sono scesi a livelli più compatibili con i prezzi dei bovini da macello e potrebbero aiutare a contenere le pesanti perdite economiche sopportate nell’ultimo anno e mezzo.
In conclusione, il timore è che farà più danno la «febbre amministrativa» di quella «catarrale».
 

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