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L'Informatore Agrario
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43
 16 - 22 Nov.

  2007
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Attualità, L'Informatore Agrario POLITICA

Futuragra: «Sulla scienzanon si vota»

Intervista al segretario dell'associazione Giorgio Fidenato sostiene che la totale mancanza di informazione da parte dei cittadini toglie significato al risultato del «referendum» contro gli ogm.


G. Fidenato - Informatore AgrarioNel dibattito che abbiamo stimolato, aperto alle diverse voci coinvolte sul tema delle agrobiotecnologie, non poteva mancare quella di Futuragra, l’associazione di agricoltori (oggi sono circa 500 gli associati) che da alcuni anni si batte affinché i coltivatori italiani possano accedere a queste nuove tecnologie.
Ovviamente l’attività di Futuragra si è particolarmente accesa in questi mesi nei quali i cittadini italiani sono stati coinvolti nella consultazione popolare promossa da una trentina di organismi e associazioni nazionali tra cui Coldiretti, la maggiore organizzazione professionale agricola italiana.

«Il nostro, fin dall’inizio – spiega Giorgio Fidenato, segretario generale di Futuragra – è stato un lavoro culturale, per spiegare ai cittadini e ai consumatori le opportunità, i vantaggi offerti dalle agrobiotecnologie anche per loro, non solo per gli agricoltori. A questo riguardo, proprio recentemente, abbiamo fondato assieme ad altri enti della ricerca, con il Comitato di bioetica, una nuova associazione – Sari – nata proprio per riunire le forze del mondo della ricerca, che da anni è praticamente compatto nella difesa delle agrobiotecnologie, e di quella parte del settore agricolo convinto della straordinaria opportunità offerta da questa innovazione tecnologica.
A proposito del mondo agricolo va detto però che non appare oggi particolarmente compatto nella difesa delle agrobiotecnologie. Anzi, proprio la maggiore organizzazione agricola italiana è tra i principali oppositori all’ingresso degli ogm nel nostro settore agricolo. Come spiegate, voi agricoltori di Futuragra, questa posizione così chiara e netta?
Intanto noi siamo convinti che in realtà la maggior parte degli agricoltori italiani sia dalla nostra parte. Il problema è che difficilmente, per questioni anche di carattere culturale, l’agricoltore italiano si «spende» apertamente su tematiche di questo genere. Per quanto riguarda Coldiretti, noi pensiamo che si tratti di una scelta sbagliata della dirigenza di questa organizzazione. Non vogliamo pensare vi siano interessi poco chiari, ma semplicemente un tentativo, secondo noi errato, di attuare una politica protezionistica. Sono convinti di salvare così la nostra tipicità, dimenticando che essa non è legata al prodotto, ma a un contesto culturale.
Ci può spiegare meglio quest’ultimo concetto?
Pensiamo che la tipicità sia prettamente una questione culturale, è il modo in cui un popolo si approccia a un prodotto. Basti pensare, al mais. Non è certo un prodotto europeo, ma andiamo a vedere come noi l’abbiamo trasformato rispetto a quanto è avvenuto invece negli Usa. Ogni innovazione produttiva nel nostro Paese, proprio per il diverso approccio culturale, è stata trasformata in una miriade di diversi prodotti. Prendiamo ad esempio il merluzzo norvegese che è diventato uno straordinario prodotto tipico come il Baccalà alla vicentina.
Bloccare, quindi, l’innovazione perché si teme che vada a ledere la nostra tipicità è totalmente sbagliato. Sarebbe, invece, molto più importante che le organizzazioni agricole si impegnassero maggiormente nel miglioramento strutturale delle imprese agricole italiane. Sarebbe molto meglio investire nella formazione degli imprenditori aiutandoli a sfruttare fino in fondo le potenzialità offerte dalle nostre produzioni tipiche.
E invece si crede di difendere la nostra competitività con il protezionismo: nulla di più sbagliato, come la storia ha dimostrato bene anche nel recente passato.
Ma intanto gli italiani si sono schierati decisamente contro gli ogm.
Ma se avessero fatto un referendum anche su Galileo il risultato sarebbe stato il medesimo. Purtroppo la diffidenza del popolo nei confronti dell’innovazione è una costante nella storia. Il problema, quindi, è che non si può sottoporre la scienza a un referendum, perché si tratta di un’operazione meramente demagogica.
La realtà è che dal 1989 a oggi oltre 400 laboratori in tutta l’Unione Europea sono coinvolti nella valutazione di eventuali danni derivanti dall’utilizzo di ogm nell’alimentazione e non è emerso nulla.
Ma l’Italia, in particolare, non sembra essere disponibile a far entrare gli ogm nel nostro agroalimentare.
È vero, e si tratta di una posizione che va anche contro le stesse direttive dell’Ue. Per questo abbiamo denunciato il Ministero delle politiche agricole e il Governo italiano alla Corte di Bruxelles per chiara infrazione alle normative europee. Ricordo che il nostro Stato è l’unico a non aver legiferato nemmeno sulla coesistenza. Questa continua dilazione sta facendo perdere importanti risorse economiche agli agricoltori italiani.
Voglio ricordare, a tal proposito, che la ricerca dell’Inran del 2005 aveva portato a risultati realmente importanti sui vantaggi economici di alcune varietà di mais biotech. Si parlava di aumenti di redditività del 40%. Noi siamo meno ottimisti rispetto a quei risultati e pensiamo che ci si potrebbe attestare su aumenti del 10%, un incremento che, ai prezzi di quest’anno, significherebbe addirittura poter rinunciare al contributo pac. Anche per questa ragione vogliamo un risarcimento da parte dello Stato, visto che ci impedisce senza alcuna giustificazione di accedere a questa opportunità.
E adesso, secondo voi, cosa succederà?
Temiamo che la dilazione continui. Ormai è chiaro che si tratta di una scelta politica. La scienza non riesce a far sentire la propria voce e addirittura viene impedita la ricerca. A noi piacerebbe poter far vedere ai consumatori italiani, almeno una volta, un campo di mais coltivato con varietà geneticamente modificate e un altro, come quelli che si vedono oggi nel nostro Paese, trapanato dalla piralide con tutte le conseguenze, anche in termini di micotossine, delle quali da tempo è stata dimostrata l’ampia pericolosità.
Noi, pertanto, chiediamo che nel nostro Paese vi possa essere finalmente la libertà di scelta. Da parte degli agricoltori di coltivare o meno varietà gm e da parte dei consumatori di utilizzare prodotti derivanti da queste materie prime. Questa è vera democrazia, non i referendum sulla scienza.
 

Sommario rivista Fabio Piccoli


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