POLITICA
|
|
Futuragra: «Sulla scienzanon si vota» |
Intervista al segretario dell'associazione Giorgio Fidenato sostiene
che la totale mancanza di informazione da parte dei cittadini toglie
significato al risultato del «referendum» contro gli ogm.
Nel
dibattito che abbiamo stimolato, aperto alle diverse voci coinvolte sul tema
delle agrobiotecnologie, non poteva mancare quella di Futuragra,
l’associazione di agricoltori (oggi sono circa 500 gli associati) che da
alcuni anni si batte affinché i coltivatori italiani possano accedere a
queste nuove tecnologie.
Ovviamente l’attività di Futuragra si è particolarmente accesa in questi
mesi nei quali i cittadini italiani sono stati coinvolti nella consultazione
popolare promossa da una trentina di organismi e associazioni nazionali tra
cui Coldiretti, la maggiore organizzazione professionale agricola italiana.
«Il nostro, fin dall’inizio – spiega Giorgio Fidenato, segretario generale
di Futuragra – è stato un lavoro culturale, per spiegare ai cittadini e ai
consumatori le opportunità, i vantaggi offerti dalle agrobiotecnologie anche
per loro, non solo per gli agricoltori. A questo riguardo, proprio
recentemente, abbiamo fondato assieme ad altri enti della ricerca, con il
Comitato di bioetica, una nuova associazione – Sari – nata proprio per
riunire le forze del mondo della ricerca, che da anni è praticamente
compatto nella difesa delle agrobiotecnologie, e di quella parte del settore
agricolo convinto della straordinaria opportunità offerta da questa
innovazione tecnologica.
A proposito del mondo agricolo va detto però che non appare oggi
particolarmente compatto nella difesa delle agrobiotecnologie. Anzi, proprio
la maggiore organizzazione agricola italiana è tra i principali oppositori
all’ingresso degli ogm nel nostro settore agricolo. Come spiegate, voi
agricoltori di Futuragra, questa posizione così chiara e netta?
Intanto noi siamo convinti che in realtà la maggior parte degli agricoltori
italiani sia dalla nostra parte. Il problema è che difficilmente, per
questioni anche di carattere culturale, l’agricoltore italiano si «spende»
apertamente su tematiche di questo genere. Per quanto riguarda Coldiretti,
noi pensiamo che si tratti di una scelta sbagliata della dirigenza di questa
organizzazione. Non vogliamo pensare vi siano interessi poco chiari, ma
semplicemente un tentativo, secondo noi errato, di attuare una politica
protezionistica. Sono convinti di salvare così la nostra tipicità,
dimenticando che essa non è legata al prodotto, ma a un contesto culturale.
Ci può spiegare meglio quest’ultimo concetto?
Pensiamo che la tipicità sia prettamente una questione culturale, è il modo
in cui un popolo si approccia a un prodotto. Basti pensare, al mais. Non è
certo un prodotto europeo, ma andiamo a vedere come noi l’abbiamo
trasformato rispetto a quanto è avvenuto invece negli Usa. Ogni innovazione
produttiva nel nostro Paese, proprio per il diverso approccio culturale, è
stata trasformata in una miriade di diversi prodotti. Prendiamo ad esempio
il merluzzo norvegese che è diventato uno straordinario prodotto tipico come
il Baccalà alla vicentina.
Bloccare, quindi, l’innovazione perché si teme che vada a ledere la nostra
tipicità è totalmente sbagliato. Sarebbe, invece, molto più importante che
le organizzazioni agricole si impegnassero maggiormente nel miglioramento
strutturale delle imprese agricole italiane. Sarebbe molto meglio investire
nella formazione degli imprenditori aiutandoli a sfruttare fino in fondo le
potenzialità offerte dalle nostre produzioni tipiche.
E invece si crede di difendere la nostra competitività con il protezionismo:
nulla di più sbagliato, come la storia ha dimostrato bene anche nel recente
passato.
Ma intanto gli italiani si sono schierati decisamente contro gli ogm.
Ma se avessero fatto un referendum anche su Galileo il risultato sarebbe
stato il medesimo. Purtroppo la diffidenza del popolo nei confronti
dell’innovazione è una costante nella storia. Il problema, quindi, è che non
si può sottoporre la scienza a un referendum, perché si tratta di
un’operazione meramente demagogica.
La realtà è che dal 1989 a oggi oltre 400 laboratori in tutta l’Unione
Europea sono coinvolti nella valutazione di eventuali danni derivanti
dall’utilizzo di ogm nell’alimentazione e non è emerso nulla.
Ma l’Italia, in particolare, non sembra essere disponibile a far entrare
gli ogm nel nostro agroalimentare.
È vero, e si tratta di una posizione che va anche contro le stesse direttive
dell’Ue. Per questo abbiamo denunciato il Ministero delle politiche agricole
e il Governo italiano alla Corte di Bruxelles per chiara infrazione alle
normative europee. Ricordo che il nostro Stato è l’unico a non aver
legiferato nemmeno sulla coesistenza. Questa continua dilazione sta facendo
perdere importanti risorse economiche agli agricoltori italiani.
Voglio ricordare, a tal proposito, che la ricerca dell’Inran del 2005 aveva
portato a risultati realmente importanti sui vantaggi economici di alcune
varietà di mais biotech. Si parlava di aumenti di redditività del 40%. Noi
siamo meno ottimisti rispetto a quei risultati e pensiamo che ci si potrebbe
attestare su aumenti del 10%, un incremento che, ai prezzi di quest’anno,
significherebbe addirittura poter rinunciare al contributo pac. Anche per
questa ragione vogliamo un risarcimento da parte dello Stato, visto che ci
impedisce senza alcuna giustificazione di accedere a questa opportunità.
E adesso, secondo voi, cosa succederà?
Temiamo che la dilazione continui. Ormai è chiaro che si tratta di una
scelta politica. La scienza non riesce a far sentire la propria voce e
addirittura viene impedita la ricerca. A noi piacerebbe poter far vedere ai
consumatori italiani, almeno una volta, un campo di mais coltivato con
varietà geneticamente modificate e un altro, come quelli che si vedono oggi
nel nostro Paese, trapanato dalla piralide con tutte le conseguenze, anche
in termini di micotossine, delle quali da tempo è stata dimostrata l’ampia
pericolosità.
Noi, pertanto, chiediamo che nel nostro Paese vi possa essere finalmente la
libertà di scelta. Da parte degli agricoltori di coltivare o meno varietà gm
e da parte dei consumatori di utilizzare prodotti derivanti da queste
materie prime. Questa è vera democrazia, non i referendum sulla scienza.
|