POLITICA
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Nella questione ogm non serve la demagogia |
Intervista a Federico Vecchioni.
Secondo il presidente di Confagricoltura la politica deve assumersi le
proprie responsabilità e, nel rispetto del principio di precauzione,
garantire al nostro Paese la possibilità di fare ricerca in tal senso, anche
in campo aperto. I divieti assoluti non servono a nessuno.
Sul
tema della consultazione popolare contro l’introduzione di ogm in
agricoltura e nell’agroalimentare questa settimana abbiamo sentito
l’opinione di Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, la più
antica organizzazione di rappresentanza del mondo agricolo e la più
importante organizzazione dei datori di lavoro agricolo in Italia.
«Noi abbiamo ribadito anche in queste settimane – sottolinea subito
Vecchioni – la complessità di questo tema e come esso si presti poco a tale
tipo di consultazioni popolari. Il referendum, infatti, a nostro parere, su
temi come questi, che richiedono una preparazione adeguata da parte dei
cittadini e scelte innanzitutto di tipo politico, non solo è un mezzo
inadeguato ma anche decisamente improprio».
Qual è, quindi, in sintesi, la vostra posizione nei confronti degli ogm
in agricoltura e nell’agroalimentare?
È la stessa posizione che abbiamo tenuto e comunicato fin dall’inizio di
questa discussione. E cioè che bisogna muoversi nel principio di precauzione
partendo, però, da una ricerca scientifica pubblica che sia messa in grado
di operare e di fornire dati chiari in materia. L’Italia, invece, in questo
senso è stato l’unico Paese al mondo a impedire che vi sia una ricerca in
campo nelle agrobiotecnologie e ciò potrebbe tradursi in un grave rischio
sia per i consumatori sia per i nostri produttori agricoli.
Qualcuno (larga parte del mondo scientifico a livello internazionale) ha
parlato di scelta oscurantista da parte dell’Italia, noi ci limitiamo a dire
che si tratta di una scelta pericolosa che rischia veramente di far
diventare il nostro Paese importatore di prodotti di altri Paesi senza
possibilità di veri controlli e dipendente totalmente dalla ricerca privata.
Ecco, non ci sembra che sia questo il modo migliore per affrontare un tema
così importante.
Forse anche l’Unione Europea non si è mossa in maniera chiara su questo
tema.
Non direi proprio. La Commissione Ue fin dal principio è stata chiara,
evidenziando che non vi possono essere scelte unilaterali degli Stati, ma
che bisogna muoversi sul modello della coesistenza sulla base di tre
fondamentali principi: libertà del produttore; trasparenza; rispetto delle
distanze tra le colture (tra quelle tradizionali e quelle biotech). Non si
può quindi essere europeisti a corrente alternata. Il problema è che
l’Italia ha tenuto una posizione oltranzista su questo tema, spesso
basandosi su pregiudiziali ideologiche. Perciò noi continuiamo a chiedere di
evitare posizioni preconcette e di supportare, invece, una rigorosa ricerca
scientifica.
Ribadite, quindi, che si tratta di un problema politico.
È sicuramente un problema politico. Anche su questo tema, come purtroppo su
molti altri, è da anni che aspettiamo un’assunzione di responsabilità piena
da parte della politica. E invece si ricorre a forme referendarie che
allontanano ancora di più la risoluzione dei problemi. Il referendum,
infatti, spesso viene invocato quando la politica è incapace di assumersi le
proprie responsabilità.
C’è chi afferma che le filiere ogm free sono realizzabili anche in un
Paese come il nostro, oggi fortemente dipendente dalle importazioni.
Non siamo un contenitore impermeabile, questo è certo. Soprattutto su
colture come mais e soia; quest’ultima, in particolare per, la nostra
dipendenza dalle importazioni non solo è evidente (basta leggere i numeri),
ma anche difficilmente modificabile. Pensare, quindi, che sia cosa semplice
realizzare una filiera ogm free soprattutto sul versante delle nostre
filiere zootecniche, dop e igp comprese, è utopistico. Quindi anche se noi
diciamo no al biotech è molti difficile impedire che esso sia presente nelle
nostre filiere agroalimentari, anche in quelle marchiate.
Per aumentare la nostra autosufficienza in tema di soia e mais c’è chi
chiede, Coldiretti in primis, che a Bruxelles si torni a parlare di un piano
europeo per le proteine vegetali. Qual è la vostra posizione al riguardo?
Pensiamo che quando si parla di riconversioni colturali si debbano avere ben
presenti, prima, le condizioni agronomiche, la disponibilità di superfici
agricole del nostro Paese. Spesso, invece, quando si parla di cose come le
colture energetiche, o colture proteiche, si ha come l’impressione che non
sempre siano supportate da competenza sia in termini agronomici che
economici. Non si può pertanto pensare di coltivare soia o mais ovunque.
È importante, invece, cominciare a pensare finalmente a una politica
agricola italiana seria ed efficace. Dobbiamo sposare una scelta precisa se,
ad esempio, vogliamo che le nostre aree vocate a seminativo continuino a
essere tali. Insomma la politica italiana deve decidere se il nostro Paese
può rimanere un produttore di materie prime. Altrimenti, ma qui il problema
del no agli ogm è solo una parte (e forse nemmeno la più grande) della
questione, rischiamo che l’Italia dipenda totalmente dalle produzioni
estere, con tutte le relative conseguenze per le nostre filiere
agroindustriali e agroalimentari.
Non sono solo le posizioni demagogiche sugli ogm quindi che ci spaventano in
questa direzione, ma anche le recenti scelte in tema di ocm ortofrutta, vino
e tante altre ancora. E la risposta del nostro Paese è sempre di tipo
emergenziale e mai a lungo periodo.
Ma i propositori della consultazione popolare sugli ogm invocano proprio
la tutela della qualità, dell’identità del made in Italy agroalimentare per
giustificare il loro no.
Questo sarebbe un ottimo motivo, forse il migliore, per autorizzare la
ricerca, anche quella in campo. Far credere, invece, che si possano
garantire filiere ogm free, totalmente impermeabili, è scorretto e
pericoloso. Tenere, quindi, posizioni così estreme fa sicuramente notizia,
ma si tratta di un errore grave. Si ottiene facile consenso a breve e medio
periodo, ma a lungo termine si vanno a instaurare pericoli sia per i
consumatori che per gli agricoltori. Quando il nostro sistema agroalimentare,
agrozootecnico, a causa di queste scelte non sarà più competitivo, allora ci
accorgeremo del danno fatto da queste scelte propagandistiche. Noi ci
rendiamo conto che oggi alcune scelte possano apparire poco popolari, ma è
questo che chiediamo alla politica, di assumersi le proprie responsabilità
per il bene della collettività e dei diversi settori economici.
Cosa intendete fare, quindi, concretamente?
Ripeto che siamo determinati a non tenere comportamenti demagogici e
propagandistici e invece continueremo a impegnarci affinché nel nostro Paese
si possa svolgere una ricerca pubblica in pieno campo.
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