Si attendono le decisioni di Bruxelles.
La speranza degli allevatori italiani è che la Commissione europea chiuda la
procedura di infrazione e si passi così all’individuazione di adeguate
soluzioni tecniche e specifiche misure di accompagnamento per far fronte
all’allargamento delle zone vulnerabili.
Nelle prossime settimane, probabilmente a fine anno, l’Italia conoscerà il
verdetto della Commissione europea sulla procedura di infrazione relativa
all’applicazione della direttiva nitrati.
L’Unione Europea, con specifica comunicazione d’infrazione inviata
nell’aprile 2006 (n. 2006/2013, che fa seguito a una precedente sentenza
della Corte di giustizia europea dell’8-11-2001), ha chiesto all’Italia di
ampliare le «zone vulnerabili da nitrati di origine agricola», nonché di
adottare programmi d’azione ulteriormente vincolanti per gli agricoltori.
Problema, peraltro, che non riguarda solo l’Italia. Difatti, a oggi, in
relazione all’applicazione della direttiva nitrati la Commissione europea ha
avviato procedimenti di infrazione nei confronti di 7 Stati membri,
intentati prevalentemente per mancata designazione delle zone vulnerabili ai
nitrati e per inadempimento dei programmi di azione.
Le regioni italiane maggiormente interessate alla procedura di infrazione
(Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana) hanno proceduto ad
ampliare le aree vulnerabili e a riformulare i programmi di azione, quindi
li hanno inviati a Bruxelles nella scorsa primavera.
Per quanto riguarda l’individuazione delle aree vulnerabili, la trattativa
con la Commissione è stata lunga ed estenuante, soprattutto in relazione
alla richiesta di designare tutto il bacino della pianura padana.
Su questo aspetto le Regioni padane, supportate dai dati forniti dalle
autorità competenti, hanno comunque ribadito la loro decisione di attestarsi
sul 60% della sau; questo è il motivo per cui la Commissione, allungando i
tempi decisionali, ha richiesto alle Regioni di inviare ulteriore
documentazione tecnica, con particolare riferimento ai dati di monitoraggio
delle acque.
Decisioni in bilico
In relazione al quadro descritto non è ancora chiaro quali decisioni
adotterà la Commissione: se procederà cioè alla chiusura della procedura di
infrazione, con valutazione positiva delle osservazioni fornite dalle
Regioni italiane, o se chiederà l’apertura di una seconda fase di indagine.
L’auspicio è che si possa chiudere il caso, in fretta e positivamente per
l’Italia, per due motivi sostanziali:
- il trascorrere del tempo sta agendo come narcotizzante sul problema
esplosivo della gestione degli effluenti zootecnici, con la conseguenza che
le aziende agricole rischiano di essere abbandonate a se stesse (ad esempio,
da quest’anno nei criteri di condizionalità è previsto il controllo
dell’attuazione del dm 7-4-2006, che riguarda proprio l’utilizzazione
agronomica degli effluenti e la loro gestione nelle aree vulnerabili);
- occorre partire da un punto fermo per costruire tutte quelle azioni
dirette a migliorare gli aspetti applicativi della direttiva.
Sul primo aspetto occorre individuare adeguate soluzioni tecniche e
specifiche misure di accompagnamento, volte ad attenuare l’impatto negativo
dell’allargamento delle zone vulnerabili, nonché sostenere, in via generale,
l’applicazione della direttiva nitrati nel settore agricolo, visto che
alcune disposizioni si applicano in tutto il territorio nazionale.
Problemi irrisolti
A oggi, al contrario, le uniche certezze per gli agricoltori sono i problemi
che si stanno mano a mano manifestando, tra cui:
- poca disponibilità di terreni per lo spandimento degli effluenti
zootecnici;
- interpretazioni restrittive della normativa europea e nazionale non solo a
livello regionale, ma anche comunale;
- tempi lunghi per la realizzazione di impianti aziendali e consortili in
grado di smaltire l’azoto in eccesso;
- scarse risorse finanziarie a disposizione del comparto (oltre ai fondi dei
Psr occorrerebbero anche finanziamenti nazionali, con particolare
riferimento ai fondi strutturali);
- elevati costi per la gestione tecnica e amministrativa degli effluenti
zootecnici;
- scarse indicazioni da parte delle amministrazioni competenti sulle
modalità di attuazione dei vari adempimenti (piani di utilizzazione
agronomica, trasporto, ecc.);
- ritardi incomprensibili nella soluzione dei problemi legati allo sviluppo
della filiera energetica da biomasse, sia in relazione alla revisione dei
certificati verdi, sia in relazione al superamento delle interpretazioni
restrittive sulla classificazione degli effluenti zootecnici destinati a
tale trasformazione (vedi il caso della pollina utilizzata per gli impianti
di combustione e gassificazione).
In relazione alla complessità dei problemi e alla necessità di salvaguardare
il patrimonio zootecnico italiano, probabilmente la situazione di stallo
attuale potrà essere superata solo attraverso l’adozione di strategie di
alto profilo, che prevedano anche risorse economiche dedicate.
I segnali in questa direzione non sono purtroppo positivi, visto che anche
nella Finanziaria 2008 non si fa cenno a interventi nel settore, anche se va
segnalata l’iniziativa parlamentare (disegno di legge n. 2879) finalizzata
all’adozione di un Piano nazionale per la riduzione dei carichi azotati.
In relazione al secondo aspetto, cioè la necessità di partire da un punto
fermo, valga l’esempio delle deroghe sul superamento dei limiti di
spandimento di 170 kg/ha di azoto nelle zone vulnerabili, già concesse a
diversi Stati europei che hanno proceduto da molto tempo all’attuazione
della direttiva nitrati.
Dall’esperienza scaturita negli altri Paesi europei si evince che solo dopo
aver dato applicazione ai contenuti della direttiva, la Commissione è
disponibile alla valutazione di soluzioni specifiche per alcune aree
territoriali.
Per tale motivo è indispensabile che si chiuda la procedura di infrazione,
attivando al più presto il procedimento di deroga al limite di 170 kg/ha di
azoto spandibile per le aree vulnerabili della pianura padana, con
riferimento alla presenza di colture ad alto assorbimento di azoto, come il
mais.
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