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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
38
 12 - 18 Ott.

  2007
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Attualità, L'Informatore Agrario POLITICA

Coldiretti: contro gli ogm una battaglia giusta

Intervista a Sergio Marini.
Il presidente della maggiore organizzazione agricola italiana risponde alle accuse dei fautori degli ogm. Le varietà transgeniche, oltre ai possibili rischi per la salute, non servono all’agricoltura italiana e l’opinione pubblica condivide il no.



Sergio Marini - Informatore AgrarioSe c’è un’associazione che nel settore agricolo ormai da alcuni anni si è schierata in maniera chiara, forte, contro l’introduzione degli organismi geneticamente modificati in agricoltura e nell’agroalimentare, questa è la Coldiretti, la maggiore organizzazione professionale agricola del nostro Paese.
Coldiretti è in prima fila oggi anche nella consultazione popolare che è in atto in queste settimane in Italia e che durerà fino al 15 novembre contro l’introduzione degli ogm nel nostro Paese.
Risulta pertanto di estremo interesse capire, dalle parole del presidente Sergio Marini, le ragioni che hanno portato la sua organizzazione a impegnarsi così fortemente in quest’ultima campagna anti ogm.
«Innanzitutto – premette il presidente di Coldiretti – è doverosa una risposta alle affermazioni del direttore di Assobiotec (Associazione delle imprese biotecnologiche operanti in Italia, n.d.r.), Leonardo Vingiani, che nell’intervista rilasciata al vostro settimanale (vedi L’Informatore Agrario n. 36/2007, pag. 13) è stato particolarmente duro nei confronti della nostra organizzazione, accusandoci addirittura di non fare il bene degli agricoltori italiani. Ogni opinione, ovviamente, è rispettabile ma talvolta per difendere i propri interessi si va oltre la misura e questo mi sembra sia proprio un caso di questo genere.
Vingiani, tra le numerose cose affermate, esprimeva forti perplessità anche sulla veridicità dei sondaggi relativi al giudizio dei consumatori europei nei confronti degli ogm. Voi da tempo siete proprio impegnati su queste tipologie di indagini, qual è la vostra opinione al riguardo?
È da quattro anni che svolgiamo sondaggi accurati su questo tema tra i consumatori italiani e la percentuale di giudizi negativi nei confronti dell’introduzione di ogm nell’agroalimentare è crescente. Affermare che ormai tre italiani su quattro non vogliono coltivazioni geneticamente modificate, mi dispiace per il direttore di Assobiotec, ma è una realtà e non una mistificazione.
Su questo punto sono d’accordo ormai oltre 30 associazioni che hanno aderito a questa consultazione popolare con l’appoggio praticamente di tutta l’opinione pubblica italiana. Per quanto ci riguarda questa è una battaglia che abbiamo intrapreso fin dall’inizio, quando si cominciò a discutere sull’introduzione di ogm in agricoltura, quindi non possiamo venire accusati di cavalcare tematiche demagogiche per interessi corporativi o neoprotezionistici. Siamo convinti che questo sia l’atteggiamento migliore proprio per difendere il sistema agroalimentare italiano.
Nonostante queste preoccupazioni di larga parte dell’opinione pubblica e di numerose associazioni, però, siamo ancora ben lontani da una scelta definitiva sia da parte dei Governi nazionali degli Stati membri dell’Unione Europea sia da quello dell’Ue stessa.
E questo dimostra proprio che la pressione delle lobby biotecnologiche funziona eccome, nonostante sia il Parlamento italiano che quello europeo si siano espressi più volte contro l’introduzione di ogm in agricoltura.
Torniamo alla Coldiretti: quali sono in sostanza le motivazioni che vi portano ancora una volta a essere così duri contro gli ogm in agricoltura?
Intanto chiariamo subito che la nostra non è assolutamente una posizione ideologica ma prettamente economica. Siamo infatti convinti che senza valori identitari non solo per l’agricoltura italiana (anche se è quella che, per le sue caratteristiche, è la più sensibile a questo tema) ma per tutti i sistemi agroalimentari del mondo diventi molti più difficile, se non impossibile, mantenere una competitività adeguata.
Senza diversità è impossibile competere. E l’introduzione di coltivazioni geneticamente modificate rappresenta un chiaro processo di omologazione estremamente pericoloso, per tutti. Ovvio che per il nostro agroalimentare, da sempre costruito su precise identità produttive, territoriali, legato alla tradizione, un processo di omologazione diventa ancora più pericoloso.
Non si possono, inoltre, negare i rischi anche sotto il profilo della salute. È scorretto negare che anche il mondo scientifico è diviso su questa problematica. Dal nostro punto di vista il principio di precauzione è fondamentale. Come pure non si possono sottacere anche i rischi di contaminazione ambientale, soprattutto in un territorio come il nostro nel quale sarebbe praticamente impossibile applicare un’adeguata separazione tra coltivazioni tradizionali e quelle biotech. Noi, poi, riteniamo opportuna anche una seria discussione sugli aspetti etici che vengono comunque sempre coinvolti quando si parla di genetica con tutti i suoi risvolti.
E più specificatamente per gli agricoltori italiani quali potrebbero essere i rischi nell’introduzione di coltivazioni gm?
Prima di tutto la perdita della cosiddetta democrazia economica. Subirebbero forti condizionamenti economici dalle multinazionali sementiere che impongono l’acquisto di sementi e anche degli anticrittogamici connessi. Un vincolo perverso. Senza dimenticare gli evidenti rischi di diminuzione della biodiversità e l’instaurazione di pericolose resistenze fitosanitarie.
Non sto affermando cose false, basta andare a chiedere agli agricoltori di altri Paesi che hanno adottato queste tecnologie per scoprire che questa è la realtà. Le multinazionali del seme, infatti, sul biotech si sono fino a oggi mosse solo in questa direzione. Stiamo ancora aspettando, infatti, le tanto declamate varietà che dovevano essere più produttive (leggero aumento i primi anni poi si ha una netta diminuzione), con minori necessità idriche, con migliori valori nutrizionali. Di tutto questo non abbiamo ancora visto nulla. Vorrà dire pur qualcosa.
Siete anche contro la ricerca in tema di agrobiotecnologie in Italia?
Siamo a favore della ricerca al chiuso mentre siamo contrari a quella in pieno campo. Ovviamente vogliamo che si vada avanti nella ricerca per capire se vi sono rischi per la salute umana, insomma vogliamo certezze e una piena chiarezza su tutti gli aspetti. Non ci sembra che queste siano pregiudiziali ideologiche o forme neoprotezionistiche.
Ma non vogliamo nemmeno una dittatura della scienza. Scienza e ricerca, infatti, dal nostro punto di vista devono presentare le diverse opportunità ma poi è la politica che deve fare le proprie scelte tenendo presenti tutti i diversi aspetti da quelli economici, sociali ed etici.
Anche su questa consultazione popolare che voi, assieme ad altre associazioni, avete promosso c’è chi nutre numerose perplessità, accusandovi di fare un’operazione demagogica senza certificare nemmeno le firme raccolte.
Parlare di carnevalata (vedi sempre l’intervista al presidente di Assobiotec) è falso ed estremamente offensivo nei confronti delle 30 associazioni coinvolte e, soprattutto, degli oltre 10 milioni di cittadini italiani che rappresentano. Va quindi evitata, almeno, qualsiasi forma di arroganza. Vorrei anche ricordare che Coldiretti non è l’unica associazione agricola oggi schierata contro gli ogm, perché anche altre organizzazioni del settore si stanno convincendo dell’importanza di questa battaglia.
Dal punto di vista economico, però, sembra il settore zootecnico quello più a rischio in caso di blocco definitivo nei confronti degli ogm (vedi l’intervista a Lea Pallaroni di Assalzoo, L’Informatore Agrario n. 27/2007, pag. 13). È nota, infatti, la nostra dipendenza dalle importazioni su prodotti come soia e mais alla base dell’industria mangimistica.
Bisogna evitare di cadere in facili strumentalizzazioni. È sbagliato dire, infatti, che per il nostro Paese è impossibile attuare filiere ogm free. Non solo queste sono possibili, ma non implicano nemmeno costi aggiuntivi rispetto alle altre. C’è però chi sta pericolosamente «giocando» su questo tema per giustificare aumenti di costi che in realtà non dipendono dal settore agricolo ma da una filiera che purtroppo oggi presenta spaventose sperequazioni. La verità, quindi, è che la filiera agroalimentare non è stata in grado ancora di riequilibrarsi e il segmento agricolo continua a essere il più debole e non è premiato adeguatamente. Anche su questo tema, quindi, dobbiamo stare molto attenti perché oggi c’è chi vuole approfittare di questa situazione moltiplicando il prezzo per i consumatori, ma questo non avviene certo per responsabilità del settore agricolo.
È comunque dura per l’industria mangimistica che oggi è costretta in larga parte ad approvvigionarsi all’estero, spesso in Paesi coinvolti nella produzione di colture gm.
Penso però che sia possibile trovare delle alternative in Paesi non coinvolti in queste produzioni o che garantiscono colture non gm. Come pure ritengo sia possibile per l’Unione Europea riprendere finalmente in mano un serio piano sulle proteine vegetali. E poi non dimentichiamoci delle nostre varietà tradizionali che comunque non sono meno produttive di quelle geneticamente modificate.
L’etichettatura chiara non potrebbe essere una scelta intelligente per dare al consumatore la possibilità di scegliere?
Le esperienze fatte in questo senso, più delle nostre parole, hanno dimostrato che il consumatore se vede in etichetta la possibile presenza di ogm non acquista quel prodotto. Questa è la verità. Non a caso, nonostante le numerose dichiarazioni in tal senso delle organizzazioni del biotech, ancora nessuno sta segnalando in etichetta la presenza o meno di ogm. E se nessuno lo sta scrivendo significa che non gli conviene. È chiaro.
 

Sommario rivista Fabio Piccoli


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