POLITICA
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Coldiretti: contro gli ogm una battaglia giusta |
Intervista a Sergio Marini.
Il presidente della maggiore organizzazione agricola italiana risponde alle
accuse dei fautori degli ogm. Le varietà transgeniche, oltre ai possibili
rischi per la salute, non servono all’agricoltura italiana e l’opinione
pubblica condivide il no.
Se
c’è un’associazione che nel settore agricolo ormai da alcuni anni si è
schierata in maniera chiara, forte, contro l’introduzione degli organismi
geneticamente modificati in agricoltura e nell’agroalimentare, questa è la
Coldiretti, la maggiore organizzazione professionale agricola del nostro
Paese.
Coldiretti è in prima fila oggi anche nella consultazione popolare che è in
atto in queste settimane in Italia e che durerà fino al 15 novembre contro
l’introduzione degli ogm nel nostro Paese.
Risulta pertanto di estremo interesse capire, dalle parole del presidente
Sergio Marini, le ragioni che hanno portato la sua organizzazione a
impegnarsi così fortemente in quest’ultima campagna anti ogm.
«Innanzitutto – premette il presidente di Coldiretti – è doverosa una
risposta alle affermazioni del direttore di Assobiotec (Associazione delle
imprese biotecnologiche operanti in Italia, n.d.r.), Leonardo Vingiani, che
nell’intervista rilasciata al vostro settimanale (vedi L’Informatore Agrario
n. 36/2007, pag. 13) è stato particolarmente duro nei confronti della nostra
organizzazione, accusandoci addirittura di non fare il bene degli
agricoltori italiani. Ogni opinione, ovviamente, è rispettabile ma talvolta
per difendere i propri interessi si va oltre la misura e questo mi sembra
sia proprio un caso di questo genere.
Vingiani, tra le numerose cose affermate, esprimeva forti perplessità
anche sulla veridicità dei sondaggi relativi al giudizio dei consumatori
europei nei confronti degli ogm. Voi da tempo siete proprio impegnati su
queste tipologie di indagini, qual è la vostra opinione al riguardo?
È da quattro anni che svolgiamo sondaggi accurati su questo tema tra i
consumatori italiani e la percentuale di giudizi negativi nei confronti
dell’introduzione di ogm nell’agroalimentare è crescente. Affermare che
ormai tre italiani su quattro non vogliono coltivazioni geneticamente
modificate, mi dispiace per il direttore di Assobiotec, ma è una realtà e
non una mistificazione.
Su questo punto sono d’accordo ormai oltre 30 associazioni che hanno aderito
a questa consultazione popolare con l’appoggio praticamente di tutta
l’opinione pubblica italiana. Per quanto ci riguarda questa è una battaglia
che abbiamo intrapreso fin dall’inizio, quando si cominciò a discutere
sull’introduzione di ogm in agricoltura, quindi non possiamo venire accusati
di cavalcare tematiche demagogiche per interessi corporativi o
neoprotezionistici. Siamo convinti che questo sia l’atteggiamento migliore
proprio per difendere il sistema agroalimentare italiano.
Nonostante queste preoccupazioni di larga parte dell’opinione pubblica e di
numerose associazioni, però, siamo ancora ben lontani da una scelta
definitiva sia da parte dei Governi nazionali degli Stati membri dell’Unione
Europea sia da quello dell’Ue stessa.
E questo dimostra proprio che la pressione delle lobby biotecnologiche
funziona eccome, nonostante sia il Parlamento italiano che quello europeo si
siano espressi più volte contro l’introduzione di ogm in agricoltura.
Torniamo alla Coldiretti: quali sono in sostanza le motivazioni che vi
portano ancora una volta a essere così duri contro gli ogm in agricoltura?
Intanto chiariamo subito che la nostra non è assolutamente una posizione
ideologica ma prettamente economica. Siamo infatti convinti che senza valori
identitari non solo per l’agricoltura italiana (anche se è quella che, per
le sue caratteristiche, è la più sensibile a questo tema) ma per tutti i
sistemi agroalimentari del mondo diventi molti più difficile, se non
impossibile, mantenere una competitività adeguata.
Senza diversità è impossibile competere. E l’introduzione di coltivazioni
geneticamente modificate rappresenta un chiaro processo di omologazione
estremamente pericoloso, per tutti. Ovvio che per il nostro agroalimentare,
da sempre costruito su precise identità produttive, territoriali, legato
alla tradizione, un processo di omologazione diventa ancora più pericoloso.
Non si possono, inoltre, negare i rischi anche sotto il profilo della
salute. È scorretto negare che anche il mondo scientifico è diviso su questa
problematica. Dal nostro punto di vista il principio di precauzione è
fondamentale. Come pure non si possono sottacere anche i rischi di
contaminazione ambientale, soprattutto in un territorio come il nostro nel
quale sarebbe praticamente impossibile applicare un’adeguata separazione tra
coltivazioni tradizionali e quelle biotech. Noi, poi, riteniamo opportuna
anche una seria discussione sugli aspetti etici che vengono comunque sempre
coinvolti quando si parla di genetica con tutti i suoi risvolti.
E più specificatamente per gli agricoltori italiani quali potrebbero
essere i rischi nell’introduzione di coltivazioni gm?
Prima di tutto la perdita della cosiddetta democrazia economica. Subirebbero
forti condizionamenti economici dalle multinazionali sementiere che
impongono l’acquisto di sementi e anche degli anticrittogamici connessi. Un
vincolo perverso. Senza dimenticare gli evidenti rischi di diminuzione della
biodiversità e l’instaurazione di pericolose resistenze fitosanitarie.
Non sto affermando cose false, basta andare a chiedere agli agricoltori di
altri Paesi che hanno adottato queste tecnologie per scoprire che questa è
la realtà. Le multinazionali del seme, infatti, sul biotech si sono fino a
oggi mosse solo in questa direzione. Stiamo ancora aspettando, infatti, le
tanto declamate varietà che dovevano essere più produttive (leggero aumento
i primi anni poi si ha una netta diminuzione), con minori necessità idriche,
con migliori valori nutrizionali. Di tutto questo non abbiamo ancora visto
nulla. Vorrà dire pur qualcosa.
Siete anche contro la ricerca in tema di agrobiotecnologie in Italia?
Siamo a favore della ricerca al chiuso mentre siamo contrari a quella in
pieno campo. Ovviamente vogliamo che si vada avanti nella ricerca per capire
se vi sono rischi per la salute umana, insomma vogliamo certezze e una piena
chiarezza su tutti gli aspetti. Non ci sembra che queste siano pregiudiziali
ideologiche o forme neoprotezionistiche.
Ma non vogliamo nemmeno una dittatura della scienza. Scienza e ricerca,
infatti, dal nostro punto di vista devono presentare le diverse opportunità
ma poi è la politica che deve fare le proprie scelte tenendo presenti tutti
i diversi aspetti da quelli economici, sociali ed etici.
Anche su questa consultazione popolare che voi, assieme ad altre
associazioni, avete promosso c’è chi nutre numerose perplessità, accusandovi
di fare un’operazione demagogica senza certificare nemmeno le firme
raccolte.
Parlare di carnevalata (vedi sempre l’intervista al presidente di Assobiotec)
è falso ed estremamente offensivo nei confronti delle 30 associazioni
coinvolte e, soprattutto, degli oltre 10 milioni di cittadini italiani che
rappresentano. Va quindi evitata, almeno, qualsiasi forma di arroganza.
Vorrei anche ricordare che Coldiretti non è l’unica associazione agricola
oggi schierata contro gli ogm, perché anche altre organizzazioni del settore
si stanno convincendo dell’importanza di questa battaglia.
Dal punto di vista economico, però, sembra il settore zootecnico quello
più a rischio in caso di blocco definitivo nei confronti degli ogm (vedi
l’intervista a Lea Pallaroni di Assalzoo, L’Informatore Agrario n. 27/2007,
pag. 13). È nota, infatti, la nostra dipendenza dalle importazioni su
prodotti come soia e mais alla base dell’industria mangimistica.
Bisogna evitare di cadere in facili strumentalizzazioni. È sbagliato dire,
infatti, che per il nostro Paese è impossibile attuare filiere ogm free. Non
solo queste sono possibili, ma non implicano nemmeno costi aggiuntivi
rispetto alle altre. C’è però chi sta pericolosamente «giocando» su questo
tema per giustificare aumenti di costi che in realtà non dipendono dal
settore agricolo ma da una filiera che purtroppo oggi presenta spaventose
sperequazioni. La verità, quindi, è che la filiera agroalimentare non è
stata in grado ancora di riequilibrarsi e il segmento agricolo continua a
essere il più debole e non è premiato adeguatamente. Anche su questo tema,
quindi, dobbiamo stare molto attenti perché oggi c’è chi vuole approfittare
di questa situazione moltiplicando il prezzo per i consumatori, ma questo
non avviene certo per responsabilità del settore agricolo.
È comunque dura per l’industria mangimistica che oggi è costretta in
larga parte ad approvvigionarsi all’estero, spesso in Paesi coinvolti nella
produzione di colture gm.
Penso però che sia possibile trovare delle alternative in Paesi non
coinvolti in queste produzioni o che garantiscono colture non gm. Come pure
ritengo sia possibile per l’Unione Europea riprendere finalmente in mano un
serio piano sulle proteine vegetali. E poi non dimentichiamoci delle nostre
varietà tradizionali che comunque non sono meno produttive di quelle
geneticamente modificate.
L’etichettatura chiara non potrebbe essere una scelta intelligente per
dare al consumatore la possibilità di scegliere?
Le esperienze fatte in questo senso, più delle nostre parole, hanno
dimostrato che il consumatore se vede in etichetta la possibile presenza di
ogm non acquista quel prodotto. Questa è la verità. Non a caso, nonostante
le numerose dichiarazioni in tal senso delle organizzazioni del biotech,
ancora nessuno sta segnalando in etichetta la presenza o meno di ogm. E se
nessuno lo sta scrivendo significa che non gli conviene. È chiaro.
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