POLITICA |
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La chiamata al voto del fronte anti ogm |
Intervista a Mario Capanna. La consultazione popolare contro gli ogm
segna un momento importante per il futuro delle biotecnologie in Italia.
Secondo il presidente della Fondazione dei diritti genetici i Governi devono
ascoltare i cittadini e non le lobby.
Fino
al 15 novembre si potrà votare per la consultazione contro l’introduzione di
organismi geneticamente modificati in agricoltura e nell’alimentazione nel
nostro Paese. Si tratta di una chiamata referendaria, una sorta di
petizione, molto importante e con un impatto notevole soprattutto per il
settore agricolo e agroalimentare, una decisione che ha ovviamente riacceso
i riflettori sugli ogm. Per consentire un confronto trasparente abbiamo
deciso di realizzare una serie di interviste ai principali attori coinvolti
in questa importante problematica, partendo con uno dei principali
protagonisti della campagna referendaria anti ogm, Mario Capanna, da circa
sette anni impegnato sul fronte delle biotecnologie come presidente della
Fondazione dei diritti genetici.
Capanna, tante battaglie politiche per i diritti civili a cominciare dal
‘68, come mai in questi ultimi anni un interesse così forte nei confronti
delle biotecnologie?
Ho sempre avuto passione e interesse per i grandi temi di frontiera e le
biotecnologie appartengono sicuramente a questa categoria. E poi, anche se
per un giornale come il vostro che si occupa di agricoltura professionale
potrebbe far sorridere, mi considero un agricoltore. In Umbria, dove vivo,
coltivo due ettari che mi impegnano e appassionano moltissimo. Cerco quindi
di unire pratica e scienza.
Ci spiega esattamente il ruolo della Fondazione dei diritti genetici?
Svolge il compito di authority indipendente, raccogliendo con rigore tutte
le informazioni scientifiche oggi disponibili (purtroppo ancora troppo
poche) sulle conseguenze dell’introduzione delle biotecnologie in tutte le
aree di applicazione (agricoltura, agroalimentare, sanità, ecc.). Vengono
valutate non solo le conseguenze sulla salute umana ma anche quelle
economiche, sociali ed etiche.
Dal vostro osservatorio come avete visto evolversi la problematiche degli
ogm?
È facile da riassumere. Fin dall’inizio della discussione sulla possibile
introduzione degli ogm in agricoltura o nell’alimentazione vi è stata tra i
cittadini europei una larghissima contrarietà. L’Eurobarometro, che ogni
mese monitora gli «umori» dei cittadini nei confronti delle più importanti
tematiche, evidenzia come l’opposizione, la diffidenza, le preoccupazioni
nei confronti degli ogm rimangono da tempo sempre in altissima percentuale.
In Italia, in particolare, la contrarietà oscilla da sempre tra i 2/3 e i
3/4 dei nostri connazionali. A fronte di questa estesa opposizione dei
consumatori vi sono le multinazionali del biotech che da tempo stanno
facendo forti pressioni politiche e azioni di lobby al fine di consentire
l’ingresso degli ogm nei Paesi dell’Unione Europea.
Allo stato attuale non sembra però che queste pressioni lobbistiche delle
multinazionali abbiano avuto particolare efficacia, almeno nell’Unione
Europea.
Le garantisco che le pressioni sono fortissime altrimenti, vista la forte
opposizione dei consumatori e di moltissime organizzazioni professionali,
non saremmo ancora qui a discuterne e, addirittura, a promuovere un
referendum. Fortunatamente sta aumentando il fronte del no agli ogm e
proprio in questi giorni, a questo proposito, è arrivata anche la richiesta
formale del Governo polacco all’Unione Europea contro l’introduzione della
coltivazione di piante geneticamente modificate.
Quali sono i rischi principali che voi intravedete nell’introduzione
degli ogm?
Intanto va detto che chiunque tra gli scienziati oggi affermi che gli
organismi geneticamente modificati non hanno conseguenze negative nei
confronti della salute dice qualcosa di non vero. E questo perché nessuno
allo stato attuale può garantire con certezza l’innocuità degli ogm. Non
esistono, infatti, studi epidemiologici su questo tema né sulla salute umana
né su quella animale.
Ma molti scienziati fino a oggi si sono dichiarati a favore
dell’introduzione degli ogm o, almeno, hanno sottolineato che allo stato
attuale non esistono controindicazioni provate sui rischi alla salute.
La scienza su questo tema oggi è decisamente divisa a dimostrazione che non
vi sono certezze assolute. Esistono però degli indizi che non possono
lasciare indifferenti. Mi riferisco, ad esempio, ai dati del Center of
disease control degli Usa che ha documentato come dal 1997 al 2004 (il
settennio durante il quale i consumatori americani hanno consumato alimenti
a base di soia e mais geneticamente modificati) le malattie connesse
all’alimentazione siano raddoppiate. Non si tratterà ancora della cosiddetta
«pistola fumante» ma sicuramente di un indizio corposo.
Come mai dati così preoccupanti non hanno allora spinto alla
realizzazione di studi epidemiologici attendibili?
Perché vi sono, ripeto, pressioni forti per non farli. E comunque alcune
ricerche interessanti sono state fatte su cavie e hanno dimostrato che
l’introduzione di alimenti geneticamente modificati hanno determinato la
diminuzione delle difese immunitarie e l’aumento delle dimensioni degli
organi interni. Noi però stiamo spingendo affinché si realizzino studi
pubblici, ma purtroppo anche i governi dei Paesi dell’Ue dimostrano scarso
interesse in questa direzione, a dimostrazione che le pressioni lobbistiche
sono un fatto reale.
Ma perché anche gli agricoltori dovrebbero preoccuparsi dell’introduzione
degli ogm nel loro settore?
Intanto perché la loro introduzione si basa su una colossale bugia e cioè
che le varietà vegetali geneticamente modificate siano più produttive
rispetto a quelle tradizionali. Come pure non è assolutamente vero che le
piante gm hanno consentito la diminuzione dell’utilizzo di erbicidi. Basti
pensare che le multinazionali impegnate nell’agrobiotech impongono
all’acquisto della semente gm anche quella dell’erbicida connesso creando
pericolose resistenze e introducendo così una spirale perversa sia per
l’ambiente sia per le tasche dell’agricoltore.
Non va mai dimenticato, poi, che la forza dell’agroalimentare italiano sta
nella sua originalità, nel suo legame con il territorio e l’introduzione
degli ogm va proprio a minare in maniera irreparabile questa peculiarità.
Non solo, se si pensa che l’Italia è il primo Paese europeo e il quarto al
mondo nelle produzioni biologiche si può facilmente immaginare quali
conseguenze si potrebbero avere dall’introduzione di piante gm nel nostro
sistema agroalimentare.
In conclusione, quali sono le vostre aspettative riguardo al referendum?
Visto la diffidenza e le preoccupazione il risultato appare scontato.
Il nostro obiettivo è raggiungere i 3 milioni di firme per avere il
territorio italiano libero da ogm. Ma non ci vogliamo limitare a questo. La
grande forza della coalizione Italia Europa - Liberi da ogm, costituita da
28 organizzazioni che contano circa 10 milioni di associati, permette di far
sì che questa campagna referendaria costituisca una straordinaria esperienza
di democrazia partecipata (cosa rara nel nostro Paese). Inoltre, in questi
ultimi due mesi vogliamo aumentare ulteriormente la conoscenza da parte
degli italiani su temi così importanti come le biotecnologie. Non vogliamo
battaglie ideologiche ma confronto serio e trasparente su un tema che ha un
grande impatto su salute ed economia del nostro Paese.
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