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L'India agricola tra suicidi e ogm |
Tra i molti articoli estivi che
hanno affrontato temi agricoli c’è anche quello in cui si attribuisce in
parte la responsabilità di suicidi nelle campagne indiane all’introduzione
di seme di cotone geneticamente modificato
Durante le vacanze estive abbiamo letto sul Corriere
della Sera di lunedì 21 agosto un articolo su una catena di suicidi
nelle campagne indiane. L’autrice riporta la tesi che il passaggio alla
coltura del cotone usando seme geneticamente modificato (ogm) rispetto al
seme tradizionale sia una delle cause importanti di queste tragedie.
Non conoscendo la giornalista, e accingendomi a scrivere per chiarimenti, ho
pensato che tanto valeva allargare il discorso che non ha nulla di personale
e interessa tutto il mondo agricolo.
Cara dottoressa, la morte per suicidio è una tragedia terribile, che poi
questo gesto sia da imputare alla miseria per cattivi raccolti, ci sprofonda
in ricordi che vorremmo fossero solo letterari.
Anni fa uscì in Italia la traduzione di un libro piccolo e bellissimo che
descrive queste povertà rurali dell’India «La polvere nel setaccio». Libro
che teniamo sempre ben in vista. Pensavamo che almeno per il contadino
indiano queste tragedie fossero terminate.
Lei dice che il cotone ogm è una componente forte della miseria del
contadino, obbligandolo all’acquisto di seme ogni anno.
Mi trova disarmato: ho qui davanti agli occhi il rapporto annuale Fao
dedicato alle biotecnologie.
È vecchiotto, del 2004, ma non vecchissimo. Nel rapporto, a pagina 51, si
legge che «solo» nel 2003 è stata approvata la commercializzazione del
cotone Bt (resistente alle larve di alcuni insetti). Il dato è confermato in
altre parti del rapporto in cui si rileva che al 2001, su 4,3 milioni di
ettari di cotone ogm nel mondo, non un ettaro era ancora imputato all’India.
Dati recenti da fonti indiane indicano, per il 2005, un milione e mezzo di
ettari di cotone ogm su 9 milioni di ettari totali destinati a questa
coltura.
Sulla base di questi dati appare difficile imputare agli ogm queste
disgrazie.
A questo punto vorremmo aprire una parentesi in quanto, non a caso, Lei ha
parlato di cotone, ovvero di una fibra e non di un alimento. In Italia vi è
una forte preoccupazione nei confronti degli ogm alimentari. Preoccupazione
giustificata dal pericolo di allergie, di resistenze agli antibiotici, di un
attacco alla biodiversità, eccetera. Per il cotone il discorso dovrebbe
essere diverso, infatti non è un alimento ed è una coltura molto inquinante.
Nel mondo, ben il 25% dei pesticidi consumati in agricoltura sono destinati
al cotone. Le terre intorno al lago d’Aral, tra Uzbekistan e Kazakistan, per
milioni di ettari, sono state per decenni coltivate a cotone e sono
descritte come l’inferno in terra per i residui di pesticidi, sia del
vecchio DDT sia dei moderni fosforganici.
Dal punto di vista economico i dati Fao incoraggiano il cotone ogm: se ne
produce di più per ettaro (dato i minori danni da insetti) e con minori
costi. La maggiore spesa del seme è ampiamente compensata dal minore uso di
pesticidi. Il reddito netto aumenta.
Proprio in India, secondo analisi su campi e aziende sperimentali dall’Indian
Company Mahrastra Hybrid Seed Company, nel 2001-2003, sono stati rilevati i
maggiori vantaggi del cotone ogm, con un aumento medio del 39% delle
produzioni.
Per quanto riguarda lo strapotere della Monsanto, che è certamente vero,
basta fare come la Cina, la quale si avvia al 50% della propria superficie a
cotone ogm, e dotarsi di genetica propria. In Cina è stata la ricerca
pubblica: l’Accademia cinese di scienze agricole (Caas), che ha «creato» il
cotone ogm cinese.
Negli anni Settanta la «rivoluzione verde» sollevò grandi interrogativi.
Addirittura con rivolte contadine come in Messico. Allora, come oggi, si
trascurò il fatto che un’innovazione tecnologica non è una cosa isolata, ma
coinvolge molti altri settori e solo una politica governativa può
equilibrare i fattori produttivi.
Purtroppo, questa non è una discussione accademica: se sono state segnalate
catene di suicidi di contadini indiani, il problema esiste ed è enorme, però
lasciamo stare gli ogm.
Probabilmente vi è stata una causa contingente: la mancanza di piogge
monsoniche nel 2000 e 2001 con una riduzione enorme delle produzioni.
Di colpo l’eterno dramma dell’India rurale è riapparso, soprattutto l’usura
a livelli inimmaginabili. Il tutto su una struttura di rapporti tra
proprietà e contadini
e affittuari complicata e vessatoria. Non basta un tasso di sviluppo dell’8%
come ha l’India a risolvere queste cose. Ci vuole altro, un intervento di
politica agraria e di credito è fondamentale.
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