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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
34
 14 - 20 Sett.

  2007
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Editoriale

La riscoperta dei marchi d’origine
G. Gios

Le politiche di sviluppo locale richiedono un forte investimento nei marchi d’origine a scapito dei marchi d’impresa, invertendo una tendenza che appariva ormai consolidata. L’operazione è necessaria, ma non sarà né semplice, né indolore.

Sotto molti aspetti il mercato dei prodotti agroalimentari tende ad assumere le caratteristiche proprie di quello dei beni non alimentari.
Ciò vale in particolare per la struttura della distribuzione e per l’importanza che viene ad assumere il marchio, inteso come segno caratteristico che consente al consumatore di distinguere tra loro prodotti apparentemente simili.
Il mondo agricolo conosce da tempo marchi individuali e marchi collettivi, tuttavia l’importanza che essi vanno via via assumendo richiede una riflessione attenta sulle strategie realizzabili in proposito.
Per alcuni prodotti dell’abbigliamento, ad esempio le scarpe sportive, l’incidenza sul prezzo al consumo della remunerazione del marchio è molto superiore all’incidenza dei costi di produzione. È pur vero che nella remunerazione del marchio vengono solitamente comprese anche le fasi della progettazione del prodotto e di controllo della qualità, nonostante ciò il valore del marchio incide in maniera nettamente superiore a quella cui siamo abituati a pensare. Si può osservare che è proprio nell’aver trasferito una parte consistente del valore aggiunto dalla fase di produzione a quella collegata direttamente con la gestione del marchio che va ricercata una delle ragioni che hanno reso economicamente conveniente la delocalizzazione della produzione in Paesi diversi da quelli dove ha sede l’impresa.
In campo agroalimentare siamo abituati a ragionare su due segni distintivi tra loro completamente diversi: quelli legati a un’impresa, o gruppo di imprese, e quelli legati al territorio di provenienza (dop, igp, ecc.).
Al di là delle differenze giuridiche e del modello organizzativo che le due tipologie comportano, per molto tempo esse sono state più o meno tranquillamente utilizzate, a volte anche per lo stesso prodotto. In particolare, quando il marchio di impresa era proprietà di organizzazioni cooperative si è ritenuto che il legame con il territorio fosse, comunque, scontato. Oggi non è più così. Mentre i marchi d’origine garantiscono la provenienza, e il valore aggiunto che essi creano va a remunerare fattori produttivi localizzati nell’area in cui i beni vengono prodotti, i marchi d’impresa anche in campo agroalimentare hanno legami via via più labili con uno specifico territorio. Questo vale anche quando il marchio d’impresa è proprietà di un’organizzazione cooperativa.
Infatti, nella misura in cui il valore aggiunto garantito dal marchio viene a pesare sempre più sul valore finale del prodotto, diventa automatico orientare l’intera gestione verso l’ottimizzazione dell’utilizzazione del marchio stesso, piuttosto che verso la semplice valorizzazione del prodotto agricolo. Si cercherà, pertanto, di estendere l’uso del marchio ad altri prodotti complementari a quello per cui lo stesso era stato originariamente pensato (ad esempio, da una specie di frutta a più specie, da un vino a più vini o altre bevande e così di questo passo). È ipotizzabile che in questo processo si arrivi abbastanza rapidamente a una situazione in cui il legame del marchio con il territorio nel quale originariamente lo stesso è stato creato si indebolisca fino a sparire del tutto.
I marchi d’impresa, qualsiasi sia l’impresa che li detiene, non sembrano quindi essere particolarmente idonei, nel lungo periodo, a garantire il supporto a politiche di sviluppo territoriale. Per queste, al contrario, risultano più indicati i segni distintivi basati sull’origine.
Negli ultimi tempi il mondo agricolo sembra aver riscoperto l’importanza delle politiche di sviluppo locale basate sulla valorizzazione dei fattori produttivi strettamente legati a uno specifico territorio. Perché tali politiche possano avere successo è necessario un forte investimento nei marchi d’origine, anche a scapito dei marchi d’impresa. Si tratta, in proposito, di invertire una tendenza che appare ormai consolidata. Non è un’operazione semplice e indolore comportando, tra il resto, mutamenti organizzativi e anche nei rapporti di potere dei diversi attori che in un dato territorio operano. Si tratta, tuttavia, di un’operazione necessaria.
Se non sarà attuata, tra non molto tempo marchi ideati per prodotti agricoli italiani saranno legittimamente (e quindi senza dover ricorrere a contraffazioni) utilizzati per produzioni di altri Paesi, in analogia a quanto avviene oggi per le produzioni dei settori extragricoli.
A differenza del passato, la proprietà del marchio da parte di imprese controllate dai produttori agricoli non costituisce più una garanzia sufficiente nel lungo periodo.
 

Sommario rivista Geremia Gios


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