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La riscoperta dei marchi d’origine |
Le politiche di sviluppo locale richiedono un forte investimento nei
marchi d’origine a scapito dei marchi d’impresa, invertendo una tendenza che
appariva ormai consolidata. L’operazione è necessaria, ma non sarà né
semplice, né indolore.
Sotto molti aspetti il mercato dei prodotti agroalimentari tende ad
assumere le caratteristiche proprie di quello dei beni non alimentari.
Ciò vale in particolare per la struttura della distribuzione e per
l’importanza che viene ad assumere il marchio, inteso come segno
caratteristico che consente al consumatore di distinguere tra loro prodotti
apparentemente simili.
Il mondo agricolo conosce da tempo marchi individuali e marchi collettivi,
tuttavia l’importanza che essi vanno via via assumendo richiede una
riflessione attenta sulle strategie realizzabili in proposito.
Per alcuni prodotti dell’abbigliamento, ad esempio le scarpe sportive,
l’incidenza sul prezzo al consumo della remunerazione del marchio è molto
superiore all’incidenza dei costi di produzione. È pur vero che nella
remunerazione del marchio vengono solitamente comprese anche le fasi della
progettazione del prodotto e di controllo della qualità, nonostante ciò il
valore del marchio incide in maniera nettamente superiore a quella cui siamo
abituati a pensare. Si può osservare che è proprio nell’aver trasferito una
parte consistente del valore aggiunto dalla fase di produzione a quella
collegata direttamente con la gestione del marchio che va ricercata una
delle ragioni che hanno reso economicamente conveniente la delocalizzazione
della produzione in Paesi diversi da quelli dove ha sede l’impresa.
In campo agroalimentare siamo abituati a ragionare su due segni distintivi
tra loro completamente diversi: quelli legati a un’impresa, o gruppo di
imprese, e quelli legati al territorio di provenienza (dop, igp, ecc.).
Al di là delle differenze giuridiche e del modello organizzativo che le due
tipologie comportano, per molto tempo esse sono state più o meno
tranquillamente utilizzate, a volte anche per lo stesso prodotto. In
particolare, quando il marchio di impresa era proprietà di organizzazioni
cooperative si è ritenuto che il legame con il territorio fosse, comunque,
scontato. Oggi non è più così. Mentre i marchi d’origine garantiscono la
provenienza, e il valore aggiunto che essi creano va a remunerare fattori
produttivi localizzati nell’area in cui i beni vengono prodotti, i marchi
d’impresa anche in campo agroalimentare hanno legami via via più labili con
uno specifico territorio. Questo vale anche quando il marchio d’impresa è
proprietà di un’organizzazione cooperativa.
Infatti, nella misura in cui il valore aggiunto garantito dal marchio viene
a pesare sempre più sul valore finale del prodotto, diventa automatico
orientare l’intera gestione verso l’ottimizzazione dell’utilizzazione del
marchio stesso, piuttosto che verso la semplice valorizzazione del prodotto
agricolo. Si cercherà, pertanto, di estendere l’uso del marchio ad altri
prodotti complementari a quello per cui lo stesso era stato originariamente
pensato (ad esempio, da una specie di frutta a più specie, da un vino a più
vini o altre bevande e così di questo passo). È ipotizzabile che in questo
processo si arrivi abbastanza rapidamente a una situazione in cui il legame
del marchio con il territorio nel quale originariamente lo stesso è stato
creato si indebolisca fino a sparire del tutto.
I marchi d’impresa, qualsiasi sia l’impresa che li detiene, non sembrano
quindi essere particolarmente idonei, nel lungo periodo, a garantire il
supporto a politiche di sviluppo territoriale. Per queste, al contrario,
risultano più indicati i segni distintivi basati sull’origine.
Negli ultimi tempi il mondo agricolo sembra aver riscoperto l’importanza
delle politiche di sviluppo locale basate sulla valorizzazione dei fattori
produttivi strettamente legati a uno specifico territorio. Perché tali
politiche possano avere successo è necessario un forte investimento nei
marchi d’origine, anche a scapito dei marchi d’impresa. Si tratta, in
proposito, di invertire una tendenza che appare ormai consolidata. Non è
un’operazione semplice e indolore comportando, tra il resto, mutamenti
organizzativi e anche nei rapporti di potere dei diversi attori che in un
dato territorio operano. Si tratta, tuttavia, di un’operazione necessaria.
Se non sarà attuata, tra non molto tempo marchi ideati per prodotti agricoli
italiani saranno legittimamente (e quindi senza dover ricorrere a
contraffazioni) utilizzati per produzioni di altri Paesi, in analogia a
quanto avviene oggi per le produzioni dei settori extragricoli.
A differenza del passato, la proprietà del marchio da parte di imprese
controllate dai produttori agricoli non costituisce più una garanzia
sufficiente nel lungo periodo.
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