POLITICA |
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Troppe zone d’ombra sul vino italiano |
Intervista ad Andrea Sartori, presidente Uiv.
L’assenza di dati affidabili su produzione, mercato e consumi indebolisce
tutti i soggetti della filiera e soprattutto i viticoltori. Gli aspetti
positivi della proposta di nuova ocm.
Ce
lo ricordiamo bene Andrea Sartori, tre anni fa, quando fu eletto presidente
dell’Unione italiana vini, la maggiore organizzazione professionale del
settore vitivinicolo italiano. Era soddisfatto e orgoglioso per il
prestigioso incarico, ma al tempo stesso molto preoccupato per le sfide che
lo attendevano.
Raccoglieva un testimone difficile, con una organizzazione che usciva con le
«ossa malconce» dall’accordo con MilanoFiere per l’organizzazione di MiWine
che si dimostrò una notevole perdita di risorse per l’Unione stessa.
«La prima fase della mia presidenza – ci spiega Sartori – è stata proprio
caratterizzata dalla riorganizzazione e razionalizzazione della struttura.
Scelte difficili, talvolta dolorose, perché coinvolgevano il personale, ma
rese necessarie da una situazione economica decisamente complessa. Ho
dovuto, poi, riportare l’Unione italiana vini nel suo alveo naturale che era
ed è quello di organizzazione sindacale, che deve dare servizi, assistenza
ai soci e, al tempo stesso, interloquire con capacità con le istituzioni
politiche».
Insomma, meno comunicazione e più sindacato.
Esattamente. Ma non tanto per questioni di principio, quanto per offrire un
servizio concreto, operativo ai nostri soci e, attraverso questa attività,
allargare la nostra base associativa. Per fare questo abbiamo agito più in
una logica aziendale che di organizzazione sindacale. Questo ci ha
consentito di essere più veloci per le risposte alle esigenze dei nostri
soci e del settore vitivinicolo italiano. E a questo proposito va
sottolineato come l’aver affievolito nel passato la nostra anima sindacale
abbia consentito che certe leggi e normative, dannose per il sistema
enologico nazionale, siano passate senza alcuna opposizione. Spesso soggetti
istituzionali mi hanno detto in questi anni che certe leggi «sono passate
perché noi dormivamo».
Il triennio che ha appena concluso come è stato per il settore
vitivinicolo?
Direi abbastanza felice, soprattutto per quanto riguarda la ripresa e il
consolidamento dell’export. Le note dolenti vengono invece sul fronte dei
consumi interni che continuano a diminuire in maniera preoccupante. Si parla
di un trend annuale di calo del 5%. E questo avviene senza che le
istituzioni pubbliche ci aiutino a individuare strategie di comunicazione e
promozione adeguate. Come pure ancora troppo poco si è riusciti a fare per
diminuire il peso della burocrazia all’interno delle nostre imprese.
Quali sono, invece, le sue prospettive per il prossimo triennio?
Le previsioni di mercato per i prossimi anni non sono proprio esaltanti.
Aumenterà il numero dei competitor sul mercato internazionale. Basti pensare
che i Paesi dell’Est entrati nell’Unione Europea, chi più chi meno, sono
tutti produttori di vino. Come pure si stanno nuovamente prospettando
difficoltà sul fronte cambio euro/dollaro, e sappiamo quanto questo incida
sul nostro export. Il tutto avviene senza che vi siano particolari aumenti
dei consumi a livello internazionale.
Qualcosa di positivo ci deve essere…
Nonostante le tante preoccupazioni manifestate nei confronti della proposta
della nuova organizzazione comune di mercato, penso invece che vi siano
notevoli aspetti positivi. Intanto la filosofia di fondo con la quale è
stata pensata e redatta. Cioè quella di realizzare finalmente una politica
orientata al mercato e la fine di misure distorsive che non hanno fatto
altro che sostenere le eccedenze invece di aiutare realmente le imprese
europee a essere competitive. Produrre per distruggere è diabolico, quindi è
positivo che finalmente si dica basta agli sprechi di denaro della
collettività.
Sul tema della nuova ocm vino alcuni operatori e organizzazioni
professionali accusano la lobby industriale del vino italiano di sostenere
una politica comunitaria orientata allo smantellamento del binomio vino e
territorio.
Io non lo vedo questo rischio. Non mi sembra che vi sia alcun assalto al
nostro impianto delle denominazioni. Piuttosto si cerca di semplificare
alcune cose. Certo, anche noi siamo contrari all’ipotesi di consentire di
mettere in etichetta annata e vitigno per i vini da tavola, perché sarebbe
motivo di ulteriore confusione per i consumatori.
Tra un po’ ripartirà anche la trattativa sulla riforma della legge
164/92. Qual è la vostra posizione?
Noi imploriamo letteralmente una maggiore semplificazione per alleviare il
carico di burocrazia per le imprese e poi, come abbiamo già sottolineato più
volte anche nel recente passato, vorremmo che si chiarisse meglio il ruolo
dei Consorzi di tutela nell’ambito del piano dei controlli. Come pure ci
piacerebbe che si definisse meglio il peso delle categorie all’interno dei
Consorzi di tutela.
C’è un sogno che le piacerebbe potesse realizzarsi per il vino italiano
in questo suo prossimo triennio di presidenza?
Vorrei che finalmente si potesse lavorare in un settore trasparente. Con
dati certi sulla produzione, sul mercato, sui consumi. E invece si continua
a operare in assenza di numeri sicuri, affidabili. Questo influisce
negativamente in tutti i soggetti della filiera, soprattutto i più deboli,
come i viticoltori.
Agire in un mercato che opera solo su logiche speculative è pericolosissimo.
È mai possibile che in tutti questi anni, ad esempio, non si sappia quanto
Pinot grigio o Prosecco si sta producendo nel nostro Paese? Questo è un
fatto estremamente grave che impedisce, ad esempio, accordi pluriennali,
garantiti tra aziende imbottigliatrici e viticoltori.
Prezzi che si basano solo su elementi speculativi sono non solo pericolosi
ma impediscono uno sviluppo serio di tutta la filiera vitivinicola.
L’aggravante è che oggi chi esce dal mercato per colpa di questi fenomeni di
speculazione è quasi impossibilitato a rientrarvi. Individuare un modello di
ricerca e divulgazione dei dati certi sarà, quindi, una priorità della mia
presidenza.
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