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Bene i prezzi, ma il vero nodo è la competitività |
L’attuale aumento dei prezzi delle commodity agricole è una salutare
boccata di ossigeno per molte aziende agricole, i cui problemi economici
rimangono però immutati. Ogni imprenditore deve cioè capire quale fattore
competitivo sfruttare.
Il tema del momento è l’aumento dei prezzi di alcune commodity, in
particolare di cereali, oleaginose e latte. Si tratta in effetti di un
fenomeno di entità impressionante: il prezzo dei cereali è cresciuto
dell’80% in due anni.
Sgombriamo subito l’equivoco che questo fenomeno possa generare un forte
aumento dei prezzi al consumo, in quanto la materia prima agricola incide,
mediamente, per l’11% sul prezzo finale dei prodotti alimentari.
Il fenomeno dell’aumento dei prezzi, comunque, esiste ed è rilevante. Gli
analisti inoltre affermano che nel picco delle ultime settimane, accanto a
una componente congiunturale, è presente anche una componente strutturale
che deriva da un aumento dei consumi mondiali per tutti gli utilizzi (food,
feed, fiber, fuels). Nel medio periodo, quindi, la prospettiva di mercato è
positiva per molte commodity agricole.
La situazione sollecita una domanda: l’aumento dei prezzi costituirà una
nuova «primavera» per l’agricoltura italiana? Io dico di no. Al massimo un
raggio di sole o una boccata d’ossigeno.
I problemi dell’agricoltura italiana rimangono totalmente irrisolti. Il vero
problema è la competitività.
Che vantaggio può fornire l’aumento dei prezzi dei cereali a una
piccola-media azienda agricola del Centro-sud Italia che produce 3 t/ha di
grano duro? Due anni fa con un prezzo di 130 euro/t otteneva un ricavo di
390 euro/ha (più gli aiuti pac); oggi, con un prezzo di230 euro/t, ricava
690 euro/ha. Un bel miglioramento (300 euro in più a ettaro), ma che non può
risolvere la vitalità di certe aziende e i problemi dell’agricoltura di
alcune zone.
Il vero nodo, come dicevo, è la competitività, da ricercare con percorsi
differenziati in base alle produzioni e alle condizioni strutturali
territoriali e aziendali.
Per le commodity la competitività si gioca sulla produttività (alte rese),
sulle economie di scala (dimensioni aziendali ampie) e sulla riduzione dei
costi.
È un percorso possibile per alcune realtà italiane, come per il maiscoltore
di Bergamo che possiede una grande azienda e produce 13 t/ha di mais; era
competitivo già prima e la crescita dei prezzi dei cereali di 80 euro/t
porterà un interessante aumento di ricavi da 1.700 a 2.700 euro/ha (più la
pac). Anche il produttore del Centro-sud può essere competitivo, se produce
almeno 5 t/ha di grano duro, con qualità in lotti differenziati, e possiede
una grande azienda.
Per altri prodotti, come ortofrutta e vino, la competitività si gioca
sull’integrazione di filiera ovvero sulla capacità di internalizzare i
margini della trasformazione e della commercializzazione. In questo caso non
basta produrre, né ottenere alte rese: occorre invece puntare sulla qualità
e sulla capacità di acquisire spazi lungo la filiera.
Nei settori del latte, dei suini e della zootecnia bovina intensiva, la
competitività si gioca sull’efficienza tecnica che coinvolge tutti gli
aspetti aziendali, dall’alimentazione allo smaltimento dei liquami, dalla
gestione della mandria all’organizzazione del lavoro.
Per le zone collinari e montane del Centro-sud Italia la competitività va
ricercata nella differenziazione dei prodotti (prodotti tipici),
nell’utilizzo delle risorse naturali (foraggere e pascoli per la zootecnia
estensiva), nell’integrazione ambientale e territoriale (agricoltura
biologica, agriturismo).
Anche per le tanto enfatizzate biomasse occorre puntare sulla competitività,
che è possibile solo a certe condizioni: terreni fertili, alte rese, bassi
costi.
La competitività è fondamentale, soprattutto oggi in cui la pac ha
abbandonato il protezionismo mercantile e ha imboccato la strada della
sicurezza ambientale e alimentare. La competitività richiede l’innovazione
continua in tutti i settori e in tutte le situazioni, dalla produzione di
mais all’agriturismo.
Di recente un operatore mi lamentava gli scarsi risultati in termini di
presenze e di ricavi del proprio agriturismo. Un altro, invece, in una zona
di alta collina, pessima per l’agricoltura tradizionale, lasciava trasparire
l’entusiasmo per un anno di buoni risultati (solo trasparire: mai
l’agricoltore dirà che le cose vanno bene). Qual è la differenza tra i due?
Innovazione, qualità, genialità, analisi dei conti economici e finanziari,
in altre parole capitale umano e capacità imprenditoriale che diventano
competitività. Ogni imprenditore deve capire quale fattore competitivo
sfruttare.
Bene, quindi, l’aumento dei prezzi delle commodity, una boccata di ossigeno,
ma solo la competitività salva l’agricoltura italiana.
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