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Obiettivo accorciare la filiera |
Una recente indagine dell’Antitrust sulla distribuzione alimentare
mette in evidenza che l’allungamento della filiera tende a ridurre i margini
dei produttori agricoli a vantaggio delle fasi a valle. Il sistema agricolo
ne faccia tesoro.
Nel Corriere della Sera di domenica 26 agosto è apparso un articolo dal
titolo «Farina e grano, boom dei prezzi. I consumatori: sciopero della
pasta».
È la sintesi di uno dei tanti tormentoni che ci hanno rovinato le vacanze:
gli incendi, l’infinita discussione sulle tasse, la Borsa in picchiata e,
non per ultimo, l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli che potrebbe
portare all’incremento dei prezzi della pasta e del latte, alcuni dei più
popolari prodotti alimentari.
Sull’aumento del prezzo dei cereali non ci sono dubbi. Una recente
statistica ha rilevato che le quotazioni nell’ultima settimana di luglio
sulle principali piazze italiane hanno segnato, rispetto allo stesso periodo
del 2006, incrementi del 44,8% per l’orzo, del 29,7% per il mais ibrido
nazionale comune, del 26,3% per il grano duro mercantile e del 24,3% per il
grano tenero di forza.
Più complicato è capire la relazione tra aumenti fino al 40% del prezzo del
burro e dei formaggi rispetto a quello del latte, che ha registrato un
incremento del prezzo concordato alla stalla del 5% fino a 0,331 euro/L, ma
che la carenza sul mercato mondiale ha fatto lievitare, con riferimento al
latte «spot», oltre 0,400 euro/L.
Sulle cause si è detto di tutto e di più, ma un tentativo di sintesi può
aiutare. Qualcuno le ha racchiuse in tre «C»: clima, Cina e carburante. In
conclusione, tutti sono d’accordo che il mercato dei cereali sta
attraversando una crisi congiunturale dovuta all’aumento della domanda per
la produzione di biocarburanti, ma una causa più grave e proiettata nel
lungo periodo è dovuta all’apparizione sul mercato della domanda dei Paesi
emergenti, soprattutto Cina e India, provocata dall’accelerazione della
dinamica del reddito in queste Nazioni che si è riversata nell’incremento
della domanda e nel mutamento dei modelli di consumo. Leggendo gli articoli
apparsi nelle ultime settimane, quello che risulta strano è che gli
agricoltori sembrano preoccupati dell’aumento dei prezzi alla produzione. Le
organizzazioni professionali si soffermano, infatti, a contestare
soprattutto i minacciati aumenti al consumo dei prezzi dei prodotti
derivati, denunciando ancora una volta che dell’incremento dei prezzi finali
i maggiori beneficiari saranno le fasi intermedie e terminali della filiera
e non la produzione. Sembra quasi che gli agricoltori temano soprattutto di
soccombere al potere contrattuale degli altri soggetti della filiera nella
formazione della catena del valore.
Sul fatto che si possano registrare degli aumenti di prezzo al consumo è
inutile illudersi di poterlo evitare se le imprese decideranno di farlo,
malgrado alcuni «avvisi» pronunciati a livello governativo. Siamo in un
sistema di governo parlamentare e in una economia di mercato e credo che
nessuno ricordi un caso nel quale l’intervento pubblico sia riuscito a
fermare l’incremento dei prezzi. Vedremo, quindi, quello che succederà,
perché non è detto che le imprese industriali e quelle della distribuzione
siano felici di aumentare i prezzi, tanto che, se il loro obiettivo è quello
di mantenere intatto il margine di profitto in presenza di aumenti di prezzo
delle materie prime, la conseguenza potrebbe essere proprio la compressione
relativa dei prezzi alla produzione.
In questo senso possono essere, quindi, giustificati i timori delle
organizzazioni professionali, perché il potere contrattuale
dell’intermediazione potrebbe impedire agli agricoltori di beneficiare di
tutto l’incremento dei prezzi verificatosi sul mercato. Se il problema è
questo, più che invocare il buon cuore di industria e distribuzione è
necessario chiedersi cosa bisogna fare.
Nel mese di giugno l’Antitrust ha reso disponibile una interessante
«Indagine conoscitiva sulla distribuzione agroalimentare», avente
l’obiettivo di analizzare il funzionamento della filiera ortofrutticola per
accertare se le sue caratteristiche siano tali da ostacolare una corretta
trasmissione dei prezzi lungo la catena distributiva. In questo lavoro,
stranamente poco citato dalla stampa agricola, si dimostra che il ricarico
medio sul prezzo finale in 267 filiere osservate è del 200%, ottenuto come
media tra ricarichi del 77% nel caso di filiera cortissima (acquisto diretto
dal produttore da parte del distributore al dettaglio) e di quasi il 300%
nel caso di filiera lunga (presenza di 3 o 4 intermediari).
In particolare, l’allungamento della filiera tende a ridurre i margini dei
produttori e ad aumentare quelli delle fasi più a valle. La conclusione è
una sola: è necessario migliorare l’organizzazione di filiera, concentrando
l’offerta e integrando, fra l’altro, i servizi richiesti dalla moderna
distribuzione. Il messaggio è chiaro e non riguarda solo il mercato dei
prodotti ortofrutticoli, resta agli agricoltori dimostrare di saperlo
cogliere.
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