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L'Informatore Agrario
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31
 24 - 30 Ago.

  2007
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Editoriale

La scarsità di terre vincola la crescita
G. Gios

I problemi della salvaguardia dei terreni destinati all’agricoltura e della struttura delle aziende risultano prioritari ai fini della competitività dell’intero sistema economico. L’agenda politica deve tenerne conto e impostare strategie coerenti.

Le risorse naturali, o meglio i limiti che tali risorse pongono allo sviluppo, sono tornate di moda. Il petrolio sta finendo, l’atmosfera non riesce più a smaltire i crescenti quantitativi di gas serra immessi nella stessa, l’acqua è una risorsa sempre più scarsa e via di questo passo. In conseguenza, si sostiene, è necessario modificare il modello di sviluppo. Naturalmente se a fare sacrifici è chiamato qualcuno diverso da noi è molto meglio.
In realtà non è la prima volta che il timore per l’esaurimento delle risorse naturali condiziona la vita economica e sociale. Basti pensare, in proposito, agli allarmi suscitati negli anni 70 dal libro «I limiti dello sviluppo» e dalla contemporanea crisi petrolifera. Le previsioni fatte allora si sono rivelate, fortunatamente, infondate. Quelle avanzate oggi presentano un fondo di verità, ma è possibile che il futuro sia meno nero di quanto viene dipinto.
Vi è tuttavia una risorsa naturale sicuramente scarsa e di cui si parla poco. Si tratta del terreno.
Il terreno è la risorsa meno facilmente sostituibile e anche quella per la quale non si può sperare in ulteriori scoperte come potrebbe essere, ad esempio, per le risorse energetiche. Il terreno è la sede di tutte le attività umane, rappresenta il supporto indispensabile per la biodiversità terrestre, la base su cui si insediano le piante che depurano l’aria e altro ancora. Siamo così abituati ad avere a che fare con il terreno che spesso tendiamo a dimenticarci di come lo stesso sia una quantità finita.
Fino a pochi decenni fa venivano fatti grandi sforzi per aumentare la quantità di terreno a disposizione del settore primario. Bonifiche, colonizzazione di nuove terre rappresentavano uno degli obiettivi principali delle politiche economiche nei diversi Paesi. Oggi non è più così.
La superficie a disposizione dell’agricoltura si va, almeno in Europa, riducendo sotto una duplice spinta. Da un lato vi è infatti l’erosione per usi edificatori o relativi alla costruzione di infrastrutture, dall’altro la destinazione di crescenti aree a scopi naturalistici con forte riduzione delle possibilità produttive.
Questi processi di riduzione della superficie utilizzabile per scopi produttivi agricoli destano poche preoccupazioni. Eppure, come si diceva, la terra è la risorsa naturale più scarsa e anche quella che condiziona, da certi punti di vista, la limitatezza di altre risorse naturali. Ad esempio, più terra coltivata può voler dire possibilità di agricoltura meno intensiva e, quindi, minor necessità di acqua irrigua. Ancora, più terra ricoperta da vegetazione può voler dire maggior fissazione di energia solare e, quindi, necessità di un più ridotto ricorso a fonti energetiche fossili o, anche, maggiore capacità di depurazione dell’atmosfera.
Si potrebbe osservare che la destinazione di ampie superfici ad aree protette risponde alla necessità di salvaguardare la risorsa naturale terreno. Osservo tuttavia che destinare a un utilizzo specifico una risorsa multifunzionale che potrebbe consentire di perseguire più obiettivi contemporaneamente, sia pure senza raggiungere il massimo risultato per ognuno degli stessi, è la dimostrazione più evidente che tale risorsa non è considerata scarsa. Sotto questo punto di vista politica ambientale e politica agricola comune risultano in contraddizione tra loro.
Per fare un esempio facilmente comprensibile, quando il terreno era scarso in relazione alle esigenze e alla tecnologia disponibile, di ogni coltivazione si cercava di utilizzare non solo i prodotti, ma anche i sottoprodotti o gli scarti. Si utilizzava l’uva, ma anche i tralci potevano servire per bruciare e l’erba tra i filari per alimentare gli animali domestici. Oggi che il terreno non è più scarso le colture sono specializzate e i sottoprodotti diventano, frequentemente, un fastidioso problema.
Questo scenario è destinato a cambiare? Non credo nel medio periodo. Gli allarmi per la scarsità delle risorse naturali continueranno, ma senza dar luogo a una strategia coerente con tale impostazione. E per l’azienda agricola cosa potrebbe cambiare? Molto semplice: se la terra disponibile diventa scarsa risulta importante utilizzarla in maniera razionale. In altri termini, anche ai fini della competitività dell’intero sistema economico i problemi della struttura aziendale e della salvaguardia dei terreni destinati all’agricoltura risultano prioritari.
Fino a quando tali politiche non saranno al primo posto nella agenda sindacale e politica la scarsità di risorse naturali non sarà stata percepita come un vero vincolo per il sistema economico.
Potrebbe essere troppo tardi? Auguriamoci di no.
 

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