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La scarsità di terre vincola la crescita |
I problemi della salvaguardia dei terreni destinati all’agricoltura e
della struttura delle aziende risultano prioritari ai fini della
competitività dell’intero sistema economico. L’agenda politica deve tenerne
conto e impostare strategie coerenti.
Le risorse naturali, o meglio i limiti che tali risorse pongono allo
sviluppo, sono tornate di moda. Il petrolio sta finendo, l’atmosfera non
riesce più a smaltire i crescenti quantitativi di gas serra immessi nella
stessa, l’acqua è una risorsa sempre più scarsa e via di questo passo. In
conseguenza, si sostiene, è necessario modificare il modello di sviluppo.
Naturalmente se a fare sacrifici è chiamato qualcuno diverso da noi è molto
meglio.
In realtà non è la prima volta che il timore per l’esaurimento delle risorse
naturali condiziona la vita economica e sociale. Basti pensare, in
proposito, agli allarmi suscitati negli anni 70 dal libro «I limiti dello
sviluppo» e dalla contemporanea crisi petrolifera. Le previsioni fatte
allora si sono rivelate, fortunatamente, infondate. Quelle avanzate oggi
presentano un fondo di verità, ma è possibile che il futuro sia meno nero di
quanto viene dipinto.
Vi è tuttavia una risorsa naturale sicuramente scarsa e di cui si parla
poco. Si tratta del terreno.
Il terreno è la risorsa meno facilmente sostituibile e anche quella per la
quale non si può sperare in ulteriori scoperte come potrebbe essere, ad
esempio, per le risorse energetiche. Il terreno è la sede di tutte le
attività umane, rappresenta il supporto indispensabile per la biodiversità
terrestre, la base su cui si insediano le piante che depurano l’aria e altro
ancora. Siamo così abituati ad avere a che fare con il terreno che spesso
tendiamo a dimenticarci di come lo stesso sia una quantità finita.
Fino a pochi decenni fa venivano fatti grandi sforzi per aumentare la
quantità di terreno a disposizione del settore primario. Bonifiche,
colonizzazione di nuove terre rappresentavano uno degli obiettivi principali
delle politiche economiche nei diversi Paesi. Oggi non è più così.
La superficie a disposizione dell’agricoltura si va, almeno in Europa,
riducendo sotto una duplice spinta. Da un lato vi è infatti l’erosione per
usi edificatori o relativi alla costruzione di infrastrutture, dall’altro la
destinazione di crescenti aree a scopi naturalistici con forte riduzione
delle possibilità produttive.
Questi processi di riduzione della superficie utilizzabile per scopi
produttivi agricoli destano poche preoccupazioni. Eppure, come si diceva, la
terra è la risorsa naturale più scarsa e anche quella che condiziona, da
certi punti di vista, la limitatezza di altre risorse naturali. Ad esempio,
più terra coltivata può voler dire possibilità di agricoltura meno intensiva
e, quindi, minor necessità di acqua irrigua. Ancora, più terra ricoperta da
vegetazione può voler dire maggior fissazione di energia solare e, quindi,
necessità di un più ridotto ricorso a fonti energetiche fossili o, anche,
maggiore capacità di depurazione dell’atmosfera.
Si potrebbe osservare che la destinazione di ampie superfici ad aree
protette risponde alla necessità di salvaguardare la risorsa naturale
terreno. Osservo tuttavia che destinare a un utilizzo specifico una risorsa
multifunzionale che potrebbe consentire di perseguire più obiettivi
contemporaneamente, sia pure senza raggiungere il massimo risultato per
ognuno degli stessi, è la dimostrazione più evidente che tale risorsa non è
considerata scarsa. Sotto questo punto di vista politica ambientale e
politica agricola comune risultano in contraddizione tra loro.
Per fare un esempio facilmente comprensibile, quando il terreno era scarso
in relazione alle esigenze e alla tecnologia disponibile, di ogni
coltivazione si cercava di utilizzare non solo i prodotti, ma anche i
sottoprodotti o gli scarti. Si utilizzava l’uva, ma anche i tralci potevano
servire per bruciare e l’erba tra i filari per alimentare gli animali
domestici. Oggi che il terreno non è più scarso le colture sono
specializzate e i sottoprodotti diventano, frequentemente, un fastidioso
problema.
Questo scenario è destinato a cambiare? Non credo nel medio periodo. Gli
allarmi per la scarsità delle risorse naturali continueranno, ma senza dar
luogo a una strategia coerente con tale impostazione. E per l’azienda
agricola cosa potrebbe cambiare? Molto semplice: se la terra disponibile
diventa scarsa risulta importante utilizzarla in maniera razionale. In altri
termini, anche ai fini della competitività dell’intero sistema economico i
problemi della struttura aziendale e della salvaguardia dei terreni
destinati all’agricoltura risultano prioritari.
Fino a quando tali politiche non saranno al primo posto nella agenda
sindacale e politica la scarsità di risorse naturali non sarà stata
percepita come un vero vincolo per il sistema economico.
Potrebbe essere troppo tardi? Auguriamoci di no.
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