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Quel che resta del grano nel prezzo di pane e
pasta |
Confagricoltura dà i numeri del settore.
L’incidenza del costo della materia prima sul prezzo finale di pane e pasta
non giustifica l’entità degli aumenti minacciati dall’industria a causa dei
rincari del grano.
Non è detto che l’aumento del prezzo dei cereali produca inevitabilmente un
aumento dei listini della pasta e del pane. Le dinamiche di mercato dei
cereali e dei loro derivati non sono così strettamente collegate e la
Confagricoltura di Torino, presieduta da Vittorio Viora, ha voluto
puntualizzarlo con una conferenza stampa che si è svolta nella sede
dell’organizzazione agricola martedì 24 luglio.
«L’agricoltura è una fabbrica a cielo aperto – ha detto Viora – e non si può
prevedere con certezza l’andamento dei raccolti, perché le produzioni sono
condizionate dal tempo: se il prezzo delle derrate agricole aumenta non è
detto che aumenti l’utile per l’agricoltore, in quanto le perdite di
produzione non sempre sono compensate dai maggiori ricavi unitari».
Una diminuzione mondiale della produzione dovuta a fattori climatici avversi
(in particolare nell’emisfero australe e anche nel Nord Europa), l’aumento
della domanda internazionale e una speculazione sui futures – ha chiarito
Confagricoltura – hanno provocato un aumento del prezzo dei cereali, anche
se, a fronte di tutto ciò, occorre considerare che il prezzo dei cereali di
oggi è senz’altro inferiore, se rapportato a prezzi correnti, a quello del
1995.
Non è colpa dei biocarburanti
Inoltre va sfatato un altro luogo comune: l’utilizzo a fini energetici dei
cereali, secondo Confagricoltura, non è responsabile dell’aumento del
prezzi. Per l’organizzazione degli imprenditori agricoli non esiste un
collegamento tra lo sviluppo delle filiere energetiche e l’andamento delle
quotazioni cerealicole.
Le voci di rincari dei prezzi del pane e della pasta, rilanciate a più
riprese nei giorni scorsi dagli industriali del settore, secondo
Confagricoltura non sono giustificate. E il consigliere dell’organizzazione
agricola Pierangelo Cumino ha fornito al proposito alcuni dati.
Con l’attuale prezzo dei cereali 1 kg di grano costa 18,5 centesimi di euro
al netto dell’Iva, cioè 19,24 centesimi (prezzo finito).
Invece 1 kg di pane costa da 2,5 a 3,5 euro: il costo del grano sul prezzo
del pane incide dunque dal 5,5 al 7,7%.
«Se parliamo di pasta – ha chiarito Cumino – vediamo che da 100 kg di grano
duro si ottengono circa 75-80 kg di prodotto: 1 kg di grano duro costa 25
centesimi di euro al netto dell’Iva, cioè 26 centesimi (prezzo finito),
mentre 1 kg di pasta costa da 1 a 1,7 euro: il costo del grano duro sul
prezzo della pasta incide dunque dal 20 al 34%».
Come «scaricare» i costi
Secondo la Confagricoltura di Torino se i panettieri e i pastai decidessero
di «scaricare» integralmente gli aumenti del costo delle materie prime sui
listini dei prodotti finiti il costo del pane dovrebbe aumentare di 6
centesimi al kg, mentre il prezzo della pasta dovrebbe salire di 9,5
centesimi al kg. Ulteriori aumenti non potrebbero essere imputati
all’aumento delle materie prime.
«Occorre ancora rilevare – ha detto Viora – che nel 1965 vendendo 131,60 kg
di grano, equivalenti a 100 kg di farina, l’agricoltore poteva comprare dal
panettiere 100 kg di pane. Oggi per acquistare gli stessi 100 kg di pane,
con gli attuali prezzi, occorrono da 1.300 a 1.820 kg di grano. In pratica 1
kg di pane valeva come 1,32 kg di grano, mentre oggi ne vale da 13 a 18,20
kg».
La Confagricoltura torinese ritiene che la situazione debba essere
affrontata con una serie di iniziative. «È necessario valorizzare
ulteriormente la qualità dei cereali prodotti in Italia, anche attraverso un
rafforzamento delle filiere produttive locali, con l’obiettivo di far
recuperare reddito ai produttori, anche diversificando le produzioni e
indirizzandole verso grani teneri di qualità e verso il grano duro, che si
sta iniziando a coltivare anche nelle regioni del Nord», ha dichiarato Viora.
Ampia disponibilità è stata espressa nei confronti dell’industria, definita
alleata e non nemica. «Sul fronte della commercializzazione – ha affermato
Viora – è necessario far crescere le cooperative di raccolta e stoccaggio,
oltre che favorire rapporti diretti tra cerealicoltori e industria molitoria
e di trasformazione, per evitare isterismi di mercato e un’eccessiva
volatilità dei listini, oltre che per ridurre i costi di intermediazione».
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