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Il fallimento di Potsdam mina la Wto |
Con l’assenza di una ipotesi di accordo negoziale tra Stati Uniti,
Unione Europea, India e Brasile è sempre più verosimile l’ipotesi di un
fallimento del Doha Round, che potrebbe condurre a una successiva, rischiosa
riforma della stessa Wto.
Potsdam è stata veramente una tappa importante nel Doha Round.
Potsdam avrebbe potuto costituire per questo round negoziale quello che
l’accordo di Blair House era stato per l’Uruguay Round: un’intesa sugli
elementi principali dell’accordo conclusivo tra alcuni degli attori del
negoziato (Stati Uniti e Unione Europea nel 1992, Stati Uniti, Unione
Europea, India e Brasile a Potsdam), che avrebbe costituito la base del
negoziato finale tra tutti i Paesi membri della Wto.
Al contrario, nessun accordo è stato raggiunto e l’incontro è stato definito
da tutti, senza mezzi termini, un fallimento.
La rottura si è avuta sul negoziato agricolo, anche se la distanza tra le
posizioni sulla riduzione delle tariffe per i prodotti non agricoli era
altrettanto ampia.
Stati Uniti e Unione Europea hanno attribuito la responsabilità del mancato
raggiungimento di un accordo all’intransigenza di Brasile e India nel
chiedere loro riduzioni più consistenti del sostegno interno e delle tariffe
nel negoziato agricolo, senza essere disposti a fare concessioni analoghe in
termini di riduzione delle loro tariffe per i prodotti agricoli (l’India) e
per quelli non agricoli (entrambi i Paesi).
Brasile e India hanno puntato l’indice soprattutto verso gli Stati Uniti,
accusandoli di non aver voluto accettare una riduzione significativa del
sostegno interno accordato ai loro produttori agricoli.
Due erano le alternative possibili per un accordo a Potsdam: un accordo
«debole», con impegni apparentemente consistenti ma, di fatto, scarsamente
efficaci dal punto di vista della loro capacità di determinare cambiamenti
apprezzabili delle politiche, o un accordo relativamente «forte», in grado
di «costringere» molti Paesi a modificare, sia pure di poco, le loro
politiche. Ad esempio gli Stati Uniti riducendo rispetto al recente passato
l’ammontare massimo del sostegno interno garantito ai loro agricoltori negli
anni in cui i prezzi risultano particolarmente bassi; l’Unione Europea
riducendo la protezione tariffaria effettivamente applicata per i prodotti
più sensibili; i Paesi in via di sviluppo meno poveri accettando di ridurre,
anche se in misura minore rispetto a quelli sviluppati, la protezione
tariffaria per i prodotti agricoli e, soprattutto, per quelli non agricoli.
Gli Stati Uniti, oggi, non possono accettare un’ipotesi di accordo che
vincoli il loro sostegno interno all’agricoltura a non superare i livelli
raggiunti negli anni passati; il negoziato sul nuovo Farm Bill è in corso e
l’amministrazione non può sottoscrivere impegni multilaterali che pongano
limiti al processo decisionale interno (la sottocommissione del Congresso
solo pochi giorni fa ha votato all’unanimità la proposta di lasciare
invariate nel nuovo Farm Bill le parti relative al sostegno interno). Ciò
rendeva l’ipotesi di un accordo «forte» impossibile, e questo era noto a
tutti.
Quello che è successo a Potsdam è che India e Brasile hanno deciso di
rigettare l’unica ipotesi di accordo possibile rimasta, quella di un accordo
«debole».
Cosa succederà ora? Un accordo nel giro di qualche mese (tanto meno entro
qualche settimana) è impensabile: se una soluzione non è emersa tra i
quattro Paesi che si sono incontrati a Potsdam, è irragionevole ritenere che
possa essere trovata a Ginevra.
L’assenza di una ipotesi di accordo riduce al lumicino la possibilità che il
Congresso americano conceda all’amministrazione l’estensione della Trade
promotion authority (Tpa), cioè della delega all’amministrazione a trattare;
senza di essa la credibilità degli impegni negoziali assunti da quest’ultima
diventa assai bassa: in questo caso, infatti, gli impegni assunti dovranno
essere poi approvati, uno per uno, e non globalmente, dal Congresso.
D’altro canto, difficilmente il Congresso a maggioranza democratica avrebbe
concesso l’estensione della Tpa in presenza di un’ipotesi di accordo
relativamente «forte». Senza Tpa, quindi, l’aspettativa è che il negoziato
si fermi sino a dopo le elezioni presidenziali Usa del novembre 2008. Un
periodo troppo lungo per poter escludere di dover prendere atto che il Doha
Round è fallito, con tutte le conseguenze che questo avrebbe sulla
credibilità della Wto come istituzione.
Le conseguenze più evidenti del fallimento del round potrebbero essere il
moltiplicarsi del ricorso alle dispute e l’emergere tra i Paesi sviluppati
più importanti della volontà di arrivare a una riforma della Wto, che
potrebbe portare a una istituzione molto diversa e molto meno democratica di
quella che conosciamo oggi.
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