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L'Informatore Agrario
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28
 13 - 19 Lug.

  2007
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Editoriale

Il fallimento di Potsdam mina la Wto
G. Anania

Con l’assenza di una ipotesi di accordo negoziale tra Stati Uniti, Unione Europea, India e Brasile è sempre più verosimile l’ipotesi di un fallimento del Doha Round, che potrebbe condurre a una successiva, rischiosa riforma della stessa Wto.

Potsdam è stata veramente una tappa importante nel Doha Round.
Potsdam avrebbe potuto costituire per questo round negoziale quello che l’accordo di Blair House era stato per l’Uruguay Round: un’intesa sugli elementi principali dell’accordo conclusivo tra alcuni degli attori del negoziato (Stati Uniti e Unione Europea nel 1992, Stati Uniti, Unione Europea, India e Brasile a Potsdam), che avrebbe costituito la base del negoziato finale tra tutti i Paesi membri della Wto.
Al contrario, nessun accordo è stato raggiunto e l’incontro è stato definito da tutti, senza mezzi termini, un fallimento.
La rottura si è avuta sul negoziato agricolo, anche se la distanza tra le posizioni sulla riduzione delle tariffe per i prodotti non agricoli era altrettanto ampia.
Stati Uniti e Unione Europea hanno attribuito la responsabilità del mancato raggiungimento di un accordo all’intransigenza di Brasile e India nel chiedere loro riduzioni più consistenti del sostegno interno e delle tariffe nel negoziato agricolo, senza essere disposti a fare concessioni analoghe in termini di riduzione delle loro tariffe per i prodotti agricoli (l’India) e per quelli non agricoli (entrambi i Paesi).
Brasile e India hanno puntato l’indice soprattutto verso gli Stati Uniti, accusandoli di non aver voluto accettare una riduzione significativa del sostegno interno accordato ai loro produttori agricoli.
Due erano le alternative possibili per un accordo a Potsdam: un accordo «debole», con impegni apparentemente consistenti ma, di fatto, scarsamente efficaci dal punto di vista della loro capacità di determinare cambiamenti apprezzabili delle politiche, o un accordo relativamente «forte», in grado di «costringere» molti Paesi a modificare, sia pure di poco, le loro politiche. Ad esempio gli Stati Uniti riducendo rispetto al recente passato l’ammontare massimo del sostegno interno garantito ai loro agricoltori negli anni in cui i prezzi risultano particolarmente bassi; l’Unione Europea riducendo la protezione tariffaria effettivamente applicata per i prodotti più sensibili; i Paesi in via di sviluppo meno poveri accettando di ridurre, anche se in misura minore rispetto a quelli sviluppati, la protezione tariffaria per i prodotti agricoli e, soprattutto, per quelli non agricoli.
Gli Stati Uniti, oggi, non possono accettare un’ipotesi di accordo che vincoli il loro sostegno interno all’agricoltura a non superare i livelli raggiunti negli anni passati; il negoziato sul nuovo Farm Bill è in corso e l’amministrazione non può sottoscrivere impegni multilaterali che pongano limiti al processo decisionale interno (la sottocommissione del Congresso solo pochi giorni fa ha votato all’unanimità la proposta di lasciare invariate nel nuovo Farm Bill le parti relative al sostegno interno). Ciò rendeva l’ipotesi di un accordo «forte» impossibile, e questo era noto a tutti.
Quello che è successo a Potsdam è che India e Brasile hanno deciso di rigettare l’unica ipotesi di accordo possibile rimasta, quella di un accordo «debole».
Cosa succederà ora? Un accordo nel giro di qualche mese (tanto meno entro qualche settimana) è impensabile: se una soluzione non è emersa tra i quattro Paesi che si sono incontrati a Potsdam, è irragionevole ritenere che possa essere trovata a Ginevra.
L’assenza di una ipotesi di accordo riduce al lumicino la possibilità che il Congresso americano conceda all’amministrazione l’estensione della Trade promotion authority (Tpa), cioè della delega all’amministrazione a trattare; senza di essa la credibilità degli impegni negoziali assunti da quest’ultima diventa assai bassa: in questo caso, infatti, gli impegni assunti dovranno essere poi approvati, uno per uno, e non globalmente, dal Congresso.
D’altro canto, difficilmente il Congresso a maggioranza democratica avrebbe concesso l’estensione della Tpa in presenza di un’ipotesi di accordo relativamente «forte». Senza Tpa, quindi, l’aspettativa è che il negoziato si fermi sino a dopo le elezioni presidenziali Usa del novembre 2008. Un periodo troppo lungo per poter escludere di dover prendere atto che il Doha Round è fallito, con tutte le conseguenze che questo avrebbe sulla credibilità della Wto come istituzione.
Le conseguenze più evidenti del fallimento del round potrebbero essere il moltiplicarsi del ricorso alle dispute e l’emergere tra i Paesi sviluppati più importanti della volontà di arrivare a una riforma della Wto, che potrebbe portare a una istituzione molto diversa e molto meno democratica di quella che conosciamo oggi.
 

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