POLITICA |
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La proposta preoccupa tutti |
Dall’eliminazione dei diritti di reimpianto alle norme sulle dop.
«Pur
avendo parzialmente tenuto conto di alcune indicazioni avanzate dall’Italia
assieme ad altri Paesi dell’area mediterranea, la proposta adottata dalla
Commissione ci pone nella prospettiva di un lungo e intenso lavoro
negoziale». Lo ha detto il ministro Paolo De Castro, commentando la proposta
di riforma dell’ocm vitivinicola presentata dal commissario Mariann Fischer
Boel. «Nonostante i capitoli in sintonia con la nostra linea negoziale – ha
affermato il ministro la proposta contiene elementi che dovranno essere
oggetto di approfondimento, quali la liberalizzazione dei diritti di
impianto e l’eliminazione della distillazione dei sottoprodotti. Ma
soprattutto, nell’ottica di un sempre sostenuto sforzo per il riconoscimento
e la tutela del nostro patrimonio agroalimentare di qualità, appaiono di
scarsa efficacia le disposizioni riguardanti le denominazioni di origine.
Quanto contenuto nella bozza Fischer Boel non appare infatti idoneo a
tutelare sufficientemente i vini di qualità europei».
«Ora – ha concluso De Castro – inizia un lungo lavoro al tavolo della
trattativa. Il negoziato impegnerà fortemente il Governo. Per questo,
fondamentale sarà il sostegno attivo e compatto del mondo produttivo e
delle Regioni».
Tutte compatte nella critica alla proposta di riforma molte organizzazioni
di produttori di vini a denominazione di quattro Paesi dell’Ue (Italia,
Francia, Spagna e Portogallo).
L’Andovi (Portogallo), Cnaoc (Francia), Conferencia (Spagna), Federdoc (la
Federazione che raggruppa i Consorzi di tutela italiani) e Ivdp (Portogallo)
criticano la Commissione e la definizione molto vaga della denominazione di
origine del testo legislativo.
Per la Commissione, l’origine delle uve basterebbe a conferire la
denominazione d’origine, poco importa il luogo di trasformazione delle uve
in vino. «Questa proposta non è accettabile perché rimette in discussione
più di 200 anni di storia: dobbiamo mantenere un legame forte con il
territorio e respingere l’idea che la vinificazione possa farsi a centinaia
o migliaia di chilometri dalla zona di raccolta delle uve» ha dichiarato
Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc.
Le cinque organizzazioni si oppongono alla proposta di liberalizzazione
degli impianti a partire dal 2014. Potrebbe portare a un incremento di 1
milione di ettari di vigneto a denominazione d’origine.
Secondo il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, si tratta di
«una proposta pericolosa per il nostro sistema vitivinicolo che deve essere
necessariamente modificata». «In questo anno di dibattito ha detto Vecchioni
abbiamo più volte sottolineato come il comparto debba essere sostenuto con
politiche di riorganizzazione dell’offerta e con programmi di promozione, ma
la Commissione non ha ascoltato le istanze dei nostri produttori».
«La Commissione si preoccupa prosegue Vecchioni della sovrapproduzione di
vino e del sostegno ai redditi dei viticoltori, ma contemporaneamente
propone la liberalizzazione degli impianti, tramite la quale si perderebbe
il controllo della gestione del potenziale viticolo, con rischi di eccessiva
crescita delle superfici e di una caduta del valore della produzione».
La Coldiretti, esprime soddisfazione solo sul punto dell’abolizione dello
zuccheraggio. «Con lo stop allo zuccheraggio – è scritto in un comunicato è
stato raggiunto lo storico obiettivo di mettere fine a una pratica
ingannevole e lesiva degli interessi dei vini di qualità. Se è vero che è
stato adeguato il budget finanziario, restano ancora da negoziare – conclude
la Coldiretti importanti aspetti applicativi: dalle denominazioni alle
pratiche enologiche fino all’etichettatura dei vini da tavola».
Minori preoccupazioni, invece, vengono espresse dalla Confederazione
italiana agricoltori che, attraverso un comunicato, «concorda con la
filosofia di fondo che anima la riforma, con la quale si dà una svolta
radicale al settore». La Cia, però, chiede «un forte impegno del Governo per
il mantenimento delle risorse comunitarie per il sistema vitivinicolo
nazionale». La Cia, inoltre, ritiene «fondamentali alcuni aspetti sui quali
occorre avere le opportune certezze. Essi riguardano la garanzia del
potenziale vitivinicolo italiano, la gestione razionale ed equilibrata
dell’eventuale estirpazione con il pieno coinvolgimento dei produttori e
delle istituzioni, lo sviluppo regolato e monitorato dei nuovi impianti».
Tutto il mondo cooperativo italiano, invece, esprime fortissima
preoccupazione. «Non condividiamo la proposta di spendere oltre 1.000
milioni di euro del budget comunitario in cinque anni per l’estirpazione dei
vigneti, è una misura che porterà una perdita occupazionale di 320.000
addetti, considerando l’intero indotto che ruota attorno al comparto
vitivinicolo europeo che si tradurrebbe in una perdita di occupazione di
80.000 addetti in Italia». Lo ha detto Paolo Bruni, a nome del coordinamento
delle centrali cooperative agricole e agroalimentari (Fedagri-Confcooperative,
Legacoop agroalimentare, Agci-Agrital e Ascat-Unci). Per il coordinamento,
dev’essere il mercato a decidere quali debbano essere gli equilibri in
termini di qualità e prezzo.
«Per quanto riguarda la proposta di estendere le norme di etichettatura
anche ai vini da tavola – ha detto Bruni – è una mi sura che svilisce i vini
a denominazione di origine e toglie ai vini da tavola quella flessibilità
che finora ha permesso a molti produttori di fare nuove sperimentazioni sia
di prodotto sia di packging necessarie per conquistare e fidelizzare nuove
quote di mercato».
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