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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
27
 6 - 12 Lug.

  2007
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Editoriale

Al vino italiano serve l’appoggio di tutti
G. Canali

L’importanza strategica ed economica del comparto vitivinicolo nel made in Italy agroalimentare impone di definire un’azione comune per difendere nella nuova ocm la qualità, l’immagine e le opportunità di crescita delle nostre produzioni.

La Commissione europea ha presentato ufficialmente la sua proposta di riforma dell’ocm vino, l’ultima grande ocm sulla quale non si era ancora intervenuti nell’ambito del processo avviato nel 2003.
Non voglio entrare ora nel merito delle specifiche proposte, quanto, piuttosto, promuovere una riflessione sulla necessità di affrontare anche questo passaggio importantissimo con una strategia comune.
Il settore vitivinicolo è decisamente uno dei più importanti dell’agroalimentare nazionale: 3,2 miliardi di euro il valore della produzione agricola ai prezzi di base nel 2005, 9,7 miliardi di euro il fatturato del comparto vinicolo nello stesso anno secondo l’Ufficio studi di Mediobanca, 3,2 miliardi di euro di esportazioni nel 2006.
Nel 2006 le produzioni nazionali stimate dall’Istat sono state pari a oltre 47 milioni di ettolitri, rappresentate per il 42% da vino da tavola, per il 27% da vini igt e solamente per il 31% da vini doc e docg.
Questi elementi sono solo alcuni dei tantissimi che sarebbe necessario ricordare per descrivere una realtà produttiva, anche a livello di aziende viticole e vinicole, molto diversificata da innumerevoli punti di vista, non solo tra Nord, Centro e Sud del Paese, ma anche da regione a regione, o meglio da provincia a provincia, da territorio a territorio.
Ma, d’altro canto, questo è proprio il principale punto di forza della vitivinicoltura nazionale: l’ampia varietà delle produzioni e la loro caratterizzazione, più o meno forte, più o meno valorizzata dal punto di vista commerciale.
In un contesto così composito è evidente che gli interessi immediati possono risultare non solo diversi, ma anche, in parte, opposti.
Un esempio per tutti: eliminare o meno i diritti all’impianto? Chi opera su grandi quantità di prodotto con fascia di prezzo medio-bassa può ritenere che ciò possa favorire una riduzione dei costi di produzione e una maggiore libertà di produzione e di competizione che potrebbe portare a una maggiore concorrenza tra viticoltori e a una ulteriore riduzione dei costi.
Viceversa, soprattutto per talune produzioni di vini doc e docg, è ben noto come un mancato controllo delle superfici e delle produzioni potrebbe portare sia a crisi di mercato sia, in taluni casi, a uno scadimento anche qualitativo.
Anche sugli espianti le posizioni potrebbero essere molto diverse: per taluni potrebbe essere un’opportunità per uscire dalla produzione con un buon sostegno economico, per altri un rischio per il territorio e soprattutto un impiego scarsamente motivato di ingenti risorse.
Ma come si può raggiungere, in tale contesto, una sintesi condivisa? Forse si dovrebbe anzitutto considerare che il più grande patrimonio della nostra vitivinicoltura è dato dalla cultura, dalle tradizioni, ma anche dalla capacità professionale e di innovazione, come pure dalla buona, e in molti casi eccellente, qualità dei prodotti.
Anche i prodotti di fascia media e da tavola si giovano, sia direttamente che indirettamente, di questa forte immagine, specie sul piano internazionale.
Per questo il nostro Paese dovrebbe anzitutto rivolgere la massima attenzione a tutti i temi che riguardano la qualità, sia in termini di vite (zonizzazioni, gradi alcolici minimi, ecc.), che di vinificazione (zuccheraggio, mosti di importazione extra Ue, tecniche di vinificazione), di etichettatura (ciò che si comunica è determinante per rafforzare la reputazione dei prodotti migliori o può portare a maggiore confusione), di definizione delle modalità e dei contenuti di un nuovo modo di identificare i vini di qualità, o meglio quelli a indicazione geografica (ridefinizione di vini di qualità, possibile assimilazione a dop e igp, tema della ri-registrazione delle attuali doc e docg).
Sulle norme relative alla identificazione, protezione e valorizzazione della qualità, in particolare, si gioca non solo la prospettiva per i vini nazionali più direttamente interessati (il 31% dei doc e docg), ma anche l’immagine complessiva del vino «made in Italy», come pure l’opportunità di crescita e di sviluppo futuri.
Occorre evitare quella che taluni segnali preoccupanti fanno apparire come una deriva verso un calo di attenzione, di fatto, per strategie competitive più adatte alle nostre produzioni e basate sulla valorizzazione della qualità: si pensi al tema del limite per gli ogm nei prodotti bio, agli scarsi controlli sul rispetto delle dop (causa «Parmesan» contro la Germania).
In mercati sempre più liberalizzati, spesso sono proprio le regole a fare la differenza.
 

Sommario rivista Gabriele Canali


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