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Al vino italiano serve l’appoggio di tutti |
L’importanza strategica ed economica del comparto vitivinicolo nel
made in Italy agroalimentare impone di definire un’azione comune per
difendere nella nuova ocm la qualità, l’immagine e le opportunità di
crescita delle nostre produzioni.
La Commissione europea ha presentato ufficialmente la sua proposta di
riforma dell’ocm vino, l’ultima grande ocm sulla quale non si era ancora
intervenuti nell’ambito del processo avviato nel 2003.
Non voglio entrare ora nel merito delle specifiche proposte, quanto,
piuttosto, promuovere una riflessione sulla necessità di affrontare anche
questo passaggio importantissimo con una strategia comune.
Il settore vitivinicolo è decisamente uno dei più importanti dell’agroalimentare
nazionale: 3,2 miliardi di euro il valore della produzione agricola ai
prezzi di base nel 2005, 9,7 miliardi di euro il fatturato del comparto
vinicolo nello stesso anno secondo l’Ufficio studi di Mediobanca, 3,2
miliardi di euro di esportazioni nel 2006.
Nel 2006 le produzioni nazionali stimate dall’Istat sono state pari a oltre
47 milioni di ettolitri, rappresentate per il 42% da vino da tavola, per il
27% da vini igt e solamente per il 31% da vini doc e docg.
Questi elementi sono solo alcuni dei tantissimi che sarebbe necessario
ricordare per descrivere una realtà produttiva, anche a livello di aziende
viticole e vinicole, molto diversificata da innumerevoli punti di vista, non
solo tra Nord, Centro e Sud del Paese, ma anche da regione a regione, o
meglio da provincia a provincia, da territorio a territorio.
Ma, d’altro canto, questo è proprio il principale punto di forza della
vitivinicoltura nazionale: l’ampia varietà delle produzioni e la loro
caratterizzazione, più o meno forte, più o meno valorizzata dal punto di
vista commerciale.
In un contesto così composito è evidente che gli interessi immediati possono
risultare non solo diversi, ma anche, in parte, opposti.
Un esempio per tutti: eliminare o meno i diritti all’impianto? Chi opera su
grandi quantità di prodotto con fascia di prezzo medio-bassa può ritenere
che ciò possa favorire una riduzione dei costi di produzione e una maggiore
libertà di produzione e di competizione che potrebbe portare a una maggiore
concorrenza tra viticoltori e a una ulteriore riduzione dei costi.
Viceversa, soprattutto per talune produzioni di vini doc e docg, è ben noto
come un mancato controllo delle superfici e delle produzioni potrebbe
portare sia a crisi di mercato sia, in taluni casi, a uno scadimento anche
qualitativo.
Anche sugli espianti le posizioni potrebbero essere molto diverse: per
taluni potrebbe essere un’opportunità per uscire dalla produzione con un
buon sostegno economico, per altri un rischio per il territorio e
soprattutto un impiego scarsamente motivato di ingenti risorse.
Ma come si può raggiungere, in tale contesto, una sintesi condivisa? Forse
si dovrebbe anzitutto considerare che il più grande patrimonio della nostra
vitivinicoltura è dato dalla cultura, dalle tradizioni, ma anche dalla
capacità professionale e di innovazione, come pure dalla buona, e in molti
casi eccellente, qualità dei prodotti.
Anche i prodotti di fascia media e da tavola si giovano, sia direttamente
che indirettamente, di questa forte immagine, specie sul piano
internazionale.
Per questo il nostro Paese dovrebbe anzitutto rivolgere la massima
attenzione a tutti i temi che riguardano la qualità, sia in termini di vite
(zonizzazioni, gradi alcolici minimi, ecc.), che di vinificazione
(zuccheraggio, mosti di importazione extra Ue, tecniche di vinificazione),
di etichettatura (ciò che si comunica è determinante per rafforzare la
reputazione dei prodotti migliori o può portare a maggiore confusione), di
definizione delle modalità e dei contenuti di un nuovo modo di identificare
i vini di qualità, o meglio quelli a indicazione geografica (ridefinizione
di vini di qualità, possibile assimilazione a dop e igp, tema della
ri-registrazione delle attuali doc e docg).
Sulle norme relative alla identificazione, protezione e valorizzazione della
qualità, in particolare, si gioca non solo la prospettiva per i vini
nazionali più direttamente interessati (il 31% dei doc e docg), ma anche
l’immagine complessiva del vino «made in Italy», come pure l’opportunità di
crescita e di sviluppo futuri.
Occorre evitare quella che taluni segnali preoccupanti fanno apparire come
una deriva verso un calo di attenzione, di fatto, per strategie competitive
più adatte alle nostre produzioni e basate sulla valorizzazione della
qualità: si pensi al tema del limite per gli ogm nei prodotti bio, agli
scarsi controlli sul rispetto delle dop (causa «Parmesan» contro la
Germania).
In mercati sempre più liberalizzati, spesso sono proprio le regole a fare la
differenza.
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