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Disaccoppiamento: obiettivo certo ma con prudenza |
La scelta del disaccoppiamento totale è ormai irreversibile, ma è
anche vero che una sua applicazione immediata nel comparto del pomodoro
potrebbe causare, secondo molti, il crollo della filiera italiana in questo
settore.
Il recente accordo sulla nuova ocm ortofrutta che prevede la possibilità
per gli Stati membri di introdurre per i prodotti destinati alla
trasformazione (pomodoro da industria, pere, pesche e agrumi) un periodo
transitorio – fino al 2011 per il pomodoro e fino al 2012 per gli altri
prodotti – entro il quale possono adottare un regime di disaccoppiamento
parziale, ha riacceso la discussione sul fatto se sia meglio il
disaccoppiamento totale o quello parziale.
Un’altra particolarità dell’accordo, peraltro con altre clausole molto
importanti circa il ruolo delle organizzazioni di produttori, consiste nel
fatto che il pagamento accoppiato per la trasformazione degli ortofrutticoli
dovrà essere a superficie, riferito agli ettari utilizzati nell’ambito dei
contratti di trasformazione.
La discussione non è stata però provocata dai tecnicismi dell’accordo, ma
pare che si siano schierati nuovamente in campo i sostenitori e gli
avversari del disaccoppiamento totale.
Credo si possa affermare che la scelta del disaccoppiamento totale è ormai
irreversibile, certamente lo è a livello comunitario e anche nel nostro
Paese. Le ragioni sono state più volte illustrate e sono insite nella
necessità di rivedere una pac la quale non trova più le giustificazioni che
hanno permesso il mantenimento fino ai primi anni del nuovo secolo delle
misure di garanzia dei prezzi interni e di protezione alle frontiere che
l’hanno caratterizzata per quasi cinquant’anni.
La possibile introduzione di un periodo transitorio nel quale gli Stati
membri possono decidere di adottare il disaccoppiamento parziale per l’ortofrutta
destinata alla trasformazione è, appunto, di carattere transitorio e ha
l’obiettivo di consentire un atterraggio morbido di tutta la filiera verso
il regime di pagamento unico aziendale.
I dati sono chiari: limitandoci al pomodoro, finora l’aiuto rappresentava
circa il 50% meno negli ultimi due anni del ricavo unitario del produttore
agricolo e costituiva un formidabile strumento per contenere i costi di
acquisto della materia prima da parte dell’industria di trasformazione.
Industria impegnata in misura preponderante nella produzione di concentrato
di pomodoro, semilavorato povero e soggetto a una crescente concorrenza
internazionale, e dotata di impianti, soprattutto nel bacino meridionale, in
gran parte da rinnovare per portarli a standard comparabili a quelli della
concorrenza anche europea (Spagna) o per competere con la produzione
proveniente dai Paesi a più basso costo di manodopera.
In un precedente numero de L’Informatore Agrario (n. 7/2007) è stato
presentato uno studio che applicava un modello di programmazione matematica
agli ordinamenti colturali e ai dati tecnico-economici di 93 aziende di
Emilia-Romagna, Veneto e Puglia con coltivazione di pomodoro.
Lo stesso studio, ipotizzando la presenza del disaccoppiamento totale per i
seminativi e della riforma dell’ocm zucchero, arrivava a stimare un
possibile crollo della coltura del pomodoro da industria (–78,1%) nelle
regioni del Nord e persino del 92,0% in Puglia qualora venisse applicato il
disaccoppiamento totale.
Il medesimo studio stimava che, a seguito della nuova distribuzione delle
colture in azienda dovuta ai mutati rapporti di prezzo, il margine lordo e
quindi il reddito per azienda aumentava del 12,1% nelle aziende collocate
nelle due regioni settentrionali e perfino del 47% in Puglia a causa della
forte ripresa del grano duro e del consolidamento degli aiuti nel pagamento
unico.
I risultati economici danno certamente ragione a coloro che sostengono la
bontà del regime di disaccoppiamento totale perché permette agli agricoltori
di scegliere liberamente le colture che ritengono più convenienti, ma è vero
anche che una caduta della coltura del pomodoro nella misura stimata
porterebbe al crollo della filiera italiana del pomodoro.
Ovviamente i sostenitori del disaccoppiamento totale potrebbero rispondere
che ciò non interessa agli agricoltori che possono così trovare migliori
redditi in altre scelte colturali.
Questa pare una risposta piuttosto miope perché l’imprenditore non può
inseguire continuamente nuove opportunità di mercato, ma deve cercare di
creare stabili e convenienti sbocchi commerciali alla sua produzione, come
dimostra lo studio citato, che ipotizza un possibile e graduale aumento dei
prezzi pagati dall’industria, situazione realizzabile in presenza della
ristrutturazione e del rinnovamento dell’industria nazionale di
trasformazione.
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