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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
25
 22 - 28 Giu.

  2007
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Editoriale

Disaccoppiamento: obiettivo certo ma con prudenza
C. Giacomini

La scelta del disaccoppiamento totale è ormai irreversibile, ma è anche vero che una sua applicazione immediata nel comparto del pomodoro potrebbe causare, secondo molti, il crollo della filiera italiana in questo settore.

Il recente accordo sulla nuova ocm ortofrutta che prevede la possibilità per gli Stati membri di introdurre per i prodotti destinati alla trasformazione (pomodoro da industria, pere, pesche e agrumi) un periodo transitorio – fino al 2011 per il pomodoro e fino al 2012 per gli altri prodotti – entro il quale possono adottare un regime di disaccoppiamento parziale, ha riacceso la discussione sul fatto se sia meglio il disaccoppiamento totale o quello parziale.
Un’altra particolarità dell’accordo, peraltro con altre clausole molto importanti circa il ruolo delle organizzazioni di produttori, consiste nel fatto che il pagamento accoppiato per la trasformazione degli ortofrutticoli dovrà essere a superficie, riferito agli ettari utilizzati nell’ambito dei contratti di trasformazione.
La discussione non è stata però provocata dai tecnicismi dell’accordo, ma pare che si siano schierati nuovamente in campo i sostenitori e gli avversari del disaccoppiamento totale.
Credo si possa affermare che la scelta del disaccoppiamento totale è ormai irreversibile, certamente lo è a livello comunitario e anche nel nostro Paese. Le ragioni sono state più volte illustrate e sono insite nella necessità di rivedere una pac la quale non trova più le giustificazioni che hanno permesso il mantenimento fino ai primi anni del nuovo secolo delle misure di garanzia dei prezzi interni e di protezione alle frontiere che l’hanno caratterizzata per quasi cinquant’anni.
La possibile introduzione di un periodo transitorio nel quale gli Stati membri possono decidere di adottare il disaccoppiamento parziale per l’ortofrutta destinata alla trasformazione è, appunto, di carattere transitorio e ha l’obiettivo di consentire un atterraggio morbido di tutta la filiera verso il regime di pagamento unico aziendale.
I dati sono chiari: limitandoci al pomodoro, finora l’aiuto rappresentava circa il 50% meno negli ultimi due anni del ricavo unitario del produttore agricolo e costituiva un formidabile strumento per contenere i costi di acquisto della materia prima da parte dell’industria di trasformazione.
Industria impegnata in misura preponderante nella produzione di concentrato di pomodoro, semilavorato povero e soggetto a una crescente concorrenza internazionale, e dotata di impianti, soprattutto nel bacino meridionale, in gran parte da rinnovare per portarli a standard comparabili a quelli della concorrenza anche europea (Spagna) o per competere con la produzione proveniente dai Paesi a più basso costo di manodopera.
In un precedente numero de L’Informatore Agrario (n. 7/2007) è stato presentato uno studio che applicava un modello di programmazione matematica agli ordinamenti colturali e ai dati tecnico-economici di 93 aziende di Emilia-Romagna, Veneto e Puglia con coltivazione di pomodoro.
Lo stesso studio, ipotizzando la presenza del disaccoppiamento totale per i seminativi e della riforma dell’ocm zucchero, arrivava a stimare un possibile crollo della coltura del pomodoro da industria (–78,1%) nelle regioni del Nord e persino del 92,0% in Puglia qualora venisse applicato il disaccoppiamento totale.
Il medesimo studio stimava che, a seguito della nuova distribuzione delle colture in azienda dovuta ai mutati rapporti di prezzo, il margine lordo e quindi il reddito per azienda aumentava del 12,1% nelle aziende collocate nelle due regioni settentrionali e perfino del 47% in Puglia a causa della forte ripresa del grano duro e del consolidamento degli aiuti nel pagamento unico.
I risultati economici danno certamente ragione a coloro che sostengono la bontà del regime di disaccoppiamento totale perché permette agli agricoltori di scegliere liberamente le colture che ritengono più convenienti, ma è vero anche che una caduta della coltura del pomodoro nella misura stimata porterebbe al crollo della filiera italiana del pomodoro.
Ovviamente i sostenitori del disaccoppiamento totale potrebbero rispondere che ciò non interessa agli agricoltori che possono così trovare migliori redditi in altre scelte colturali.
Questa pare una risposta piuttosto miope perché l’imprenditore non può inseguire continuamente nuove opportunità di mercato, ma deve cercare di creare stabili e convenienti sbocchi commerciali alla sua produzione, come dimostra lo studio citato, che ipotizza un possibile e graduale aumento dei prezzi pagati dall’industria, situazione realizzabile in presenza della ristrutturazione e del rinnovamento dell’industria nazionale di trasformazione.
 

Sommario rivista Corrado Giacomini


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