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Le vere sfide che attendono l’ortofrutta |
La riforma dell’ocm disegna solo in minima parte il futuro del
settore, che dipende piuttosto dalla capacità dei protagonisti della filiera
di realizzare gli adattamenti strutturali necessari e di credere
nell’innovazione e nell’internazionalizzazione.
L'ortofrutticoltura italiana deve guardare oltre l’ocm se vuole trovare
una propria via di sopravvivenza e, auspicabilmente, di sviluppo.
L’organizzazione comune dei mercati agricoli è chiaramente improntata per
tutti i settori produttivi ad alcuni semplici principi: temporaneità degli
aiuti, ricerca della competitività attraverso il meccanismo del mercato,
attenzione ai problemi ambientali.
I recenti accordi di Lussemburgo sull’ocm ortofrutta prevedono una
gradualità nell’applicazione dei regolamenti che consente ai produttori
nazionali la disponibilità di risorse finanziarie ancora per un certo
periodo di tempo. È questo un obiettivo di breve periodo sempre molto
apprezzato, ma il futuro della ortofrutticoltura italiana non dovrà e non
potrà essere che molto limitatamente disegnato dalle politiche agricole
quanto piuttosto dalla volontà e capacità dei diversi soggetti economici di
realizzare i necessari adattamenti strutturali del settore.
Gli economisti tendono spesso a considerarsi gli artefici degli eventi che
descrivono e analizzano, con la pericolosa conseguenza di sentirsi
autorizzati a consigliare e a convincere, per altro senza molta fatica, i
politici sulla necessità di intervenire nel governo dell’economia.
Ne sono testimonianza i non infrequenti fallimenti inanellati dal dirigismo
nei fatti economici. Sono le forze economiche che escogiteranno le nuove
soluzioni di successo, con ogni probabilità oggi sconosciute.
Quello che si può dire con certezza è che il modello organizzativo della
filiera ortofrutta per adeguarsi alle nuove sfide deve produrre soggetti
forti nelle diverse fasi in cui si articola e cioè produzione; aggregazione
dell’offerta, lavorazione e distribuzione all’ingrosso; trasformazione;
distribuzione al dettaglio.
Il coordinamento necessario tra le diverse fasi può avvenire attraverso
molteplici forme di integrazione per acquisizione o di tipo contrattuale.
Non esiste una soluzione ottimale in assoluto, ma il raggiungimento di un
grado di efficienza soddisfacente dipende in larga misura dalle capacità
delle persone e delle imprese.
Allo stato attuale la gdo può senza dubbio essere considerata un soggetto
forte, ma purtroppo solamente a livello nazionale, quindi con un eccesso di
potere contrattuale nei confronti dei produttori agricoli, ma con
un’insufficiente capacità di aggredire il mercato globale.
Alcune realtà significative si riscontrano nel settore della trasformazione,
specie quelle a forma cooperativa localizzata nel Nord del Paese. A esse si
chiedono capacità manageriali, tecniche e finanziarie per promuovere
l’innovazione in grado di sostenere lo sviluppo.
La fase di aggregazione, lavorazione e commercio all’ingrosso è strettamente
collegata a quella produttiva mediante lo strumento della cooperazione. La
ristrutturazione avviata da qualche tempo è determinata più dalla necessità
di sopravvivenza che dalla volontà di cercare nuove strade e nuove
opportunità. Così procede a rilento, con poca convinzione e con molte
incertezze. Per i produttori agricoli è essenziale un aumento della
dimensione economica che consenta di migliorare sostanzialmente l’efficienza
tecnica, basata sulla riduzione dei costi e l’innalzamento della qualità. I
produttori agricoli per esercitare nella filiera un ruolo non secondario non
possono che fare affidamento sulle proprie organizzazioni, che devono essere
autorevoli ed efficienti.
A tutti i livelli della filiera bisogna evitare l’errore di una difesa a
tutti i costi di interessi locali o nazionali. Qualora le esigenze lo
richiedano, e in molti casi è già così, non si deve avere timore di aprirsi
a forme di cooperazione e di integrazione con strutture sovranazionali. A
livello produttivo sembra logico ricercare forme di coordinamento e di
sinergia con le agricolture del Mediterraneo europeo e africano.
Nella distribuzione al dettaglio, oltre che rafforzare i tradizionali
mercati dei Paesi economicamente sviluppati, non possono essere trascurati
quelli delle economie emergenti dell’Europa e dell’Asia.
La promozione dei consumi sarà molto condizionata da forme di marketing
innovativo coerenti con i nuovi stili di vita.
Anche per l’ortofrutticoltura è valida la ricetta seguita dai settori che
hanno saputo vincere la sfida della globalizzazione, basata sostanzialmente
su due ingredienti: innovazione e internazionalizzazione.
L’ortofrutta italiana ha cuochi sufficientemente abili per preparare questa
ricetta?
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