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Agroenergie, delusioni in agguato |
Incerti vantaggi per l’agricoltura
La produzione di energia e biocombustibili non è automaticamente
sinonimo di guadagni per gli agricoltori. I grandi stabilimenti non sembrano
in grado di garantire prezzi più elevati delle materie prime. Gli
agricoltori devono trovare strade alternative
Tutti d’accordo. Il problema dell’agricoltura oggi è la
redditività, sempre più bassa. E stavolta si tratta di una condizione
strutturale, non congiunturale. In altre parole, le difficoltà del settore
non si risolveranno in un paio d’anni, ma affliggeranno i nostri
imprenditori per un lungo periodo.
Soluzioni? Una «va di moda»: l’agroenergia. Da molti prospettata, da alcuni
sbandierata, dagli agricoltori agognata con la stessa disperazione con cui
un malato terminale si aggrappa alla magia. Ma di certo gli incantesimi non
appartengono a questo mondo. E nemmeno le alchimie, quelle di quanti
vorrebbero convincere gli agricoltori che dall’aumento della produzione di
biodiesel e
bioetanolo c’è senz’altro e comunque da guadagnare.
La realtà è ben diversa.
Lo dimostra lo scarso successo dell’accordo di questa primavera tra
organizzazioni agricole e produttori di biodiesel. Nonostante la promessa
del Ministero di defiscalizzare il biodiesel ottenuto a partire da olio
italiano, sono stati solo poche migliaia gli ettari di girasole seminati
sulla base dei contratti di acquisto (a 180 euro/t di seme di girasole)
stipulati dall’industria dei biocarburanti. Ancora lo dimostra la richiesta
avanzata all’Ue da parte di Germania e Austria di importare dalla Cina circa
600.000 t di biodiesel a dazio zero. Lo dimostra il trasferimento nei Paesi
dell’Est di una importante azienda italiana di produzione di biodiesel. Era
scontato, il mercato vince. E gli industriali, è loro diritto, acquistano
laddove conviene di più. Eppure molti pensano di giocare sul tavolo
dell’energia verde anche la partita degli ex zuccherifici, convinti di
offrire un’opportunità all’agricoltura.
Energia al posto dello zucchero
Actelios Falck ed Eridania Maccaferri hanno siglato un accordo da 250-300
milioni di euro per sviluppare la produzione di energia da fonti
rinnovabili. Vogliono trasformare gli ex stabilimenti di lavorazione della
barbabietola di Castiglion Fiorentino (Arezzo), Russi (Ravenna), Fermo,
nelle Marche, e Villasor (Cagliari). La potenza media installata dovrebbe
essere di 150 MW, tutti ottenuti utilizzando biomassa (canna, pioppo e olio
vegetale).
Benché la volontà dichiarata sia quella di approvvigionare di materia prima
locale le centrali, un moderato realismo fa supporre che non sarà proprio
così. Difficile credere nell’uso di olio di girasole, quotato grezzo a più
di 550 euro/t, quando si può importare olio di palma grezzo a circa 400
euro/t. Lo stesso discorso vale per la biomassa legno.
Convince poco anche il ragionamento sull’occupazione: il sostegno
finanziario dell’Ue viene concesso anche per salvaguardare i posti di
lavoro, ma queste centrali possono funzionare benissimo con poche decine di
addetti, per lo più specializzati in meccanica, elettrotecnica, informatica,
ecc. Maestranze scarsamente rappresentate negli attuali zuccherifici.
Esistono già grandi centrali funzionanti a biomassa, ad esempio quella di
Bando D’argenta (Ferrara), ma neanche un pioppo è stato piantato in Italia
per alimentare quello stabilimento. E non è l’unico.
Italia Zuccheri, altro importante protagonista coinvolto nella crisi del
settore saccarifero, essendo ampiamente partecipata da agricoltori e loro
associazioni, è prudente. Gli ex zuccherifici di Porto Viro (Rovigo) e Casei
Gerola (Pavia) molto probabilmente verranno trasformati in distillerie per
la produzione di bioetanolo a partire dalla granella di mais. Il progetto
sembra sostenibile dal punto di vista economico, ma non si esclude il
ricorso, in minima parte assicura Italia Zuccheri e c’è da crederci, a
materia prima di provenienza estera. E comunque il prezzo liquidato agli
agricoltori per il mais da bioetanolo sarà quello del mercato.
Protagonista della riconversione di Finale Emilia (Modena) e Ostellato
(Ferrara) sarà invece il legno. L’impatto per l’agricoltura piuttosto
modesto, stimato in circa un migliaio di ettari da investire a short
rotation. Ben poco rispetto alla superficie bieticola persa. Ma c’è di
più. Per assicurare un’adeguata remunerazione del pioppo da parte di queste
centrali verrà utilizzata anche biomassa di origine non agricola, meno
costosa. La convenienza alla coltivazione di specie arboree a rapido
accrescimento scatta, per l’agricoltore, con un prezzo del cippato superiore
ai 40 euro/t. Troppo alto per la sostenibilità economica della centrale.
L’equivoco dei prezzi
E proprio sui prezzi della materia prima di origine agricola si sviluppa
l’equivoco della vicenda agroenergie. Questa innovativa destinazione d’uso
di mais, pioppo e oleaginose non sembra poter garantire all’agricoltore
guadagni a ettaro più elevati di quelli attuali. A meno che egli non diventi
protagonista di un’impresa agroenergetica, dedita alla trasformazione
diretta dei prodotti aziendali in energia. Come accade per l’uva e il vino,
i cereali e la carne, i foraggi e il latte.
Impianti di piccola dimensione, magari di cogenerazione (contemporanea
produzione di energia termica ed elettrica) e quindi a elevato rendimento
energetico complessivo, installati presso gli utenti finali e gestiti da
agricoltori e loro associazioni possono oggi assicurare una remunerazione
delle commodity maggiore di quella offerta dal mercato.
Va in questo senso la legge 81 dell’11-3-2006 laddove prevede titolo
preferenziale per le filiere agroenergetiche nei contratti di fornitura di
biocarburanti per trasporto e riscaldamento pubblico.
Serve un approccio pragmatico e serio, non propagandistico.
Il Governo deve attuare quanto previsto dalla legge 81, le associazioni
promuovere e organizzare le iniziative degli agricoltori.
Da pochi giorni è aperto un bando pubblico per la fornitura di energia
termica a una ventina di penitenziari nel Centro e Nord Italia. È possibile
installare impianti di cogenerazione e cedere energia termica agli istituti
di detenzione ed elettrica alla rete. Servirebbero 16.000 ha di girasole.
Chi si fa avanti?
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