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Cala il valore dei terreni. Brutto segno |
Dopo anni di sostanziale immobilità, l’aumento dell’offerta sul
mercato fondiario ha determinato in molte zone un certo calo del valore dei
terreni. Il fenomeno testimonia una generale sfiducia degli agricoltori nel
futuro della loro attività
Cos’è una bolla? Per bolla si intende un «rigonfiamento
sferoidale pieno di liquido o gas che con facilità esplode e si sgonfia».
Questa è la definizione di un dizionario della lingua italiana.
L’espressione viene usata da tempo per indicare le speculazioni mobiliari e
immobiliari in cui il valore di un titolo o di un bene crolla dopo una
crescita non sostenuta da elementi «fondamentali» o reali.
I valori degli immobili urbani e dei terreni sono molto aumentati negli
ultimi anni. Crescendo all’unisono non è stato possibile capire la
differenza tra beni urbani e beni rurali. Le ragioni della crescita sono
probabilmente riconducibili all’euro forte che ha favorito la manica larga
delle banche a concedere mutui a tassi ridotti e a lunga scadenza. Per gli
immobili urbani il rientro di capitali dall’estero, portando liquidità nel
sistema economico, ha ingigantito il fenomeno. E per la terra? Queste
considerazioni sono valide anche per i terreni nelle aree dove è rimasto il
legame tra valori fondiari e redditività. Banale, si dirà, è scritto nella
prima pagina di un manuale di economia. Invece da anni si sosteneva che in
Italia, data la poca terra, gli acquisti erano svincolati dalla produttività
dell’investimento e i valori fondiari erano destinati solo a crescere.
Oggi le case di città hanno valori alti, mentre la terra è (forse) in
flessione. Il fatto è che i redditi agricoli sono in calo. La scure della
riforma pac del 2003, l’allargamento a Est, l’internazionalizzazione dei
mercati, e la diminuizione dei prezzi dei prodotti agricoli, si fanno
sentire pesantemente, abbassando i redditi delle aziende e togliendo
prospettive per il futuro.
Nello scrivere queste righe mi appare un ricordo: la famosa «quota novanta».
Nel 1927 Mussolini rivalutò la lira con la cosiddetta quota novanta. Per 1
sterlina, 90 lire.
Fu una rivalutazione selvaggia, imposta dall’alta inflazione dell’epoca. Per
gli industriali andò bene, ma gli agricoltori ne furono travolti. Nell’arco
di un paio di anni si dimezzarono i prezzi di vendita dei prodotti agricoli
e dei terreni. Non vi sono nessi col presente, ma il ricordo terrorizza.
Prima di proseguire vediamo la situazione di partenza. Nelle aree del Nord,
la strada del latte, del mais, e dell’acqua, che inizia grosso modo a
Mantova e va su, a Cremona, Brescia, Bergamo sino a Milano, è quell’area
lungo la quale si sono toccati i valori fondiari più alti. L’Inea ha
rilevato, per il 2003, picchi di 147.000 euro/ha. Sono picchi, ma non rari.
I 100.000 euro/ha sono la media.
In Emilia e nel Veneto i valori massimi diminuiscono fortunatamente, più di
quelli medi che sembrano, tutto sommato, difendersi meglio. Scendendo per
l’Italia i valori fondiari si frammentano, da valori nella media a scarsi e
scarsissimi, specie per le aree interne asciutte collinari.
A parte troviamo, da sempre, i grandi estremi: i frutteti trentini e
dell’Alto Adige, i buoni vigneti veneti e friulani e quelli toscani di alto
pregio, le zone del florovivaismo. Questo sino a 2-3 anni fa. E ora? è
comparsa di nuovo l’offerta, ma qui si vende a metri quadrati non a ettari,
fenomeno significativo e rilevante.
Il mercato dei terreni oltre che caro, da decenni era poco liquido: poca,
pochissima offerta e, di conseguenza, limitate compravendite.
Il secondo dato è che, in effetti, i valori sono in calo. Di quanto? Non
molto, nessuno fa cifre, ma si mormora anche del 20% e più. Per i terreni
marginali, le aree collinari e quelle non irrigue non vi è un problema di
quotazioni, nessuno li vuole.
I valori che maggiormente resistono sono proprio i più alti, nel famoso asse
alto padano. La ragione è semplice: la produzione di latte e l’allevamento
dei maiali resistono. Qui paga il progresso tecnico. Il pacchetto
tecnologico mais-acqua irrigua-genetica animale e vegetale ha portato frutti
straordinari. Questo complesso ha dato in passato alti redditi, il che ora
comporta solide resistenze economiche, ma soprattutto permette costi di
produzione contenuti. Ciò consente una certa fiducia nell’avvenire, che è la
chiave dell’economia. Nel resto delle aziende vi è invece sfiducia nel
futuro, nella politica agricola, nei mercati, dunque si comincia a vendere.
Perfino nel Chianti si vende. Non c’è mercato per le aree interne.
Non si tratta certamente di una bolla che esplode, ma di un assestamento
complicato in quanto non generalizzato.
Si avrà una ridistribuzione di valori che terranno conto delle speranze di
utili futuri e di suscettività edificatorie. Per il resto dei terreni il
calo ci sarà.
Non tutti i mali vengono per nuocere, avremo nuove aziende, più grandi ed
efficienti.
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