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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
22
 26 Mag.-1 Giu.

  2006
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Editoriale

Cala il valore dei terreni. Brutto segno
Antonio Piccinini

Dopo anni di sostanziale immobilità, l’aumento dell’offerta sul mercato fondiario ha determinato in molte zone un certo calo del valore dei terreni. Il fenomeno testimonia una generale sfiducia degli agricoltori nel futuro della loro attività

Cos’è una bolla? Per bolla si intende un «rigonfiamento sferoidale pieno di liquido o gas che con facilità esplode e si sgonfia». Questa è la definizione di un dizionario della lingua italiana. L’espressione viene usata da tempo per indicare le speculazioni mobiliari e immobiliari in cui il valore di un titolo o di un bene crolla dopo una crescita non sostenuta da elementi «fondamentali» o reali.
I valori degli immobili urbani e dei terreni sono molto aumentati negli ultimi anni. Crescendo all’unisono non è stato possibile capire la differenza tra beni urbani e beni rurali. Le ragioni della crescita sono probabilmente riconducibili all’euro forte che ha favorito la manica larga delle banche a concedere mutui a tassi ridotti e a lunga scadenza. Per gli immobili urbani il rientro di capitali dall’estero, portando liquidità nel sistema economico, ha ingigantito il fenomeno. E per la terra? Queste considerazioni sono valide anche per i terreni nelle aree dove è rimasto il legame tra valori fondiari e redditività. Banale, si dirà, è scritto nella prima pagina di un manuale di economia. Invece da anni si sosteneva che in Italia, data la poca terra, gli acquisti erano svincolati dalla produttività dell’investimento e i valori fondiari erano destinati solo a crescere.
Oggi le case di città hanno valori alti, mentre la terra è (forse) in flessione. Il fatto è che i redditi agricoli sono in calo. La scure della riforma pac del 2003, l’allargamento a Est, l’internazionalizzazione dei mercati, e la diminuizione dei prezzi dei prodotti agricoli, si fanno sentire pesantemente, abbassando i redditi delle aziende e togliendo prospettive per il futuro.
Nello scrivere queste righe mi appare un ricordo: la famosa «quota novanta». Nel 1927 Mussolini rivalutò la lira con la cosiddetta quota novanta. Per 1 sterlina, 90 lire.
Fu una rivalutazione selvaggia, imposta dall’alta inflazione dell’epoca. Per gli industriali andò bene, ma gli agricoltori ne furono travolti. Nell’arco di un paio di anni si dimezzarono i prezzi di vendita dei prodotti agricoli e dei terreni. Non vi sono nessi col presente, ma il ricordo terrorizza.
Prima di proseguire vediamo la situazione di partenza. Nelle aree del Nord, la strada del latte, del mais, e dell’acqua, che inizia grosso modo a Mantova e va su, a Cremona, Brescia, Bergamo sino a Milano, è quell’area lungo la quale si sono toccati i valori fondiari più alti. L’Inea ha rilevato, per il 2003, picchi di 147.000 euro/ha. Sono picchi, ma non rari. I 100.000 euro/ha sono la media.
In Emilia e nel Veneto i valori massimi diminuiscono fortunatamente, più di quelli medi che sembrano, tutto sommato, difendersi meglio. Scendendo per l’Italia i valori fondiari si frammentano, da valori nella media a scarsi e scarsissimi, specie per le aree interne asciutte collinari.
A parte troviamo, da sempre, i grandi estremi: i frutteti trentini e dell’Alto Adige, i buoni vigneti veneti e friulani e quelli toscani di alto pregio, le zone del florovivaismo. Questo sino a 2-3 anni fa. E ora? è comparsa di nuovo l’offerta, ma qui si vende a metri quadrati non a ettari, fenomeno significativo e rilevante.
Il mercato dei terreni oltre che caro, da decenni era poco liquido: poca, pochissima offerta e, di conseguenza, limitate compravendite.
Il secondo dato è che, in effetti, i valori sono in calo. Di quanto? Non molto, nessuno fa cifre, ma si mormora anche del 20% e più. Per i terreni marginali, le aree collinari e quelle non irrigue non vi è un problema di quotazioni, nessuno li vuole.
I valori che maggiormente resistono sono proprio i più alti, nel famoso asse alto padano. La ragione è semplice: la produzione di latte e l’allevamento dei maiali resistono. Qui paga il progresso tecnico. Il pacchetto tecnologico mais-acqua irrigua-genetica animale e vegetale ha portato frutti straordinari. Questo complesso ha dato in passato alti redditi, il che ora comporta solide resistenze economiche, ma soprattutto permette costi di produzione contenuti. Ciò consente una certa fiducia nell’avvenire, che è la chiave dell’economia. Nel resto delle aziende vi è invece sfiducia nel futuro, nella politica agricola, nei mercati, dunque si comincia a vendere. Perfino nel Chianti si vende. Non c’è mercato per le aree interne.
Non si tratta certamente di una bolla che esplode, ma di un assestamento complicato in quanto non generalizzato.
Si avrà una ridistribuzione di valori che terranno conto delle speranze di utili futuri e di suscettività edificatorie. Per il resto dei terreni il calo ci sarà.
Non tutti i mali vengono per nuocere, avremo nuove aziende, più grandi ed efficienti.


 

Sommario rivista Antonio Piccinini


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