|
|
Le buone idee danno nuova vita alla montagna |
Giovani, spesso con titoli di studio elevati, conducono aziende che
interpretano in modo innovativo gli indirizzi colturali tradizionali.
Questi insediamenti per crescere devono poter disporre dei terreni oggi non
utilizzati ma coltivabili.
Fino a pochi anni fa il destino dell’attività agricola in molte aree
montane sembrava segnato.
Rimanevano poche aziende condotte con metodi tradizionali da conduttori
anziani e senza eredi.
È solo questione di tempo, si diceva da più parti: scomparsi per ragioni
anagrafiche gli ultimi coltivatori, la natura si sarebbe ripresa quelli
spazi che l’uomo coltivatore aveva cercato lungo molti secoli di fare
propri.
Oggi la realtà appare almeno parzialmente diversa.
È pur vero che il numero di aziende agricole nelle aree montane continua a
diminuire e che il contributo delle stesse alla produzione lorda vendibile
del settore risulta quanto mai ridotto, tuttavia, qua e là iniziano la loro
attività nuove aziende. Aziende i cui conduttori sono giovani, spesso con
titoli di studio elevati e, in diversi casi, provenienti da mondi distanti,
per tradizione familiare, da quello agricolo. Aziende che interpretano in
maniera nuova gli indirizzi colturali tradizionali o si orientano verso
colture da tempo dimenticate o poco praticate in passato.
Si possono così trovare allevamenti di capre, produttori di erbe medicinali,
aziende biologiche con vario indirizzo colturale, caseificatori in proprio
del latte di piccoli allevamenti, allevamenti o cliniche per animali di
compagnia e altro ancora. Ancora, queste aziende si caratterizzano per
basarsi sulla filiera corta privilegiando la vendita diretta al consumatore
finale e/o l’integrazione con forme di ospitalità.
Elemento comune sembra essere la convinzione dei conduttori che sia
possibile, anche nelle aree marginali di montagna, abbinare un’attività in
grado di garantire un reddito sufficiente a una migliore qualità della vita.
Il fenomeno risulta in crescita e seppur basato su piccoli numeri presenta
prospettive interessanti non solo dal punto di vista produttivo, ma anche
sotto il profilo del presidio del territorio che l’insediamento di nuove
aziende comporta. Si tratta di un movimento in gran parte spontaneo legato
più a scelte individuali che non a una precisa programmazione o a scelte di
politica agricola. In alcuni casi la tipologia aziendale non rientra in
alcun modo negli schemi tradizionali così che la stessa possibilità di poter
usufruire degli incentivi previsti per l’attività agricola diventa molto
difficile se non impossibile.
In generale si può ritenere che una delle motivazioni che portano a
scegliere per tali iniziative una localizzazione in aree per molti aspetti
marginali vada ricercata nella possibilità di iniziare un’attività con
investimenti relativamente limitati e, comunque, di molto inferiori a quelli
necessari per rilevare un’azienda agricola nelle aree ad agricoltura
consolidata. Il costo dei fabbricati è in molti casi modesto e vi è la
disponibilità di avere in uso terreni a prezzi contenuti. Un ostacolo al
consolidamento dell’attività è in molti casi rappresentato dalla
frammentazione fondiaria tipica delle zone di montagna, dal fatto che molti
proprietari sono sconosciuti e altri preferiscono lasciare i loro terreni
incolti piuttosto che venderli o darli in uso.
Dal momento che, come si è già osservato, i vantaggi sociali
dell’insediamento nelle aree di montagna di nuove aziende è un fenomeno
quanto mai positivo, sotto diversi aspetti ci si può chiedere quali
strumenti possano essere attuati per incentivarlo. In proposito si può
osservare che essendo la disponibilità del terreno fondamentale risulta
parimenti fondamentale poter rendere disponibili i terreni non utilizzati ma
suscettibili di coltivazione.
A tal riguardo, in periodi diversi, sono state avanzate varie proposte che
vanno dalla ricomposizione fondiaria all’esproprio forzoso. Per una ragione
o per l’altra si tratta di soluzioni che all’atto pratico risultano
difficilmente attuabili. In questa sede si avanza l’idea, a prima vista
provocatoria, di togliere l’esenzione Ici attualmente in essere per i
terreni situati nelle aree di montagna e che suscettibili di essere
coltivati non lo sono. Si è, infatti, dell’avviso che solo nel momento in
cui mantenere inutilizzate delle proprietà avrà un costo immediatamente
quantificabile questi terreni saranno messi a disposizione di chi intende
coltivarli.
Si tratta di una iniziativa semplice, ma che potrebbe portare a interessanti
risultati consentendo non solo il consolidamento delle nuove aziende sorte
in montagna in questi ultimi anni, ma anche il sorgere di nuove iniziative.
Certo il meccanismo va calibrato per evitare aumenti di costi a chi coltiva
la terra, ma, nella misura in cui riduce la convenienza a mantenere
inutilizzata una risorsa scarsa come il suolo, presenta aspetti
potenzialmente del tutto positivi.
|