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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
21
 25 - 31 Mag.

  2007
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Editoriale

Le buone idee danno nuova vita alla montagna
G. Gios

Giovani, spesso con titoli di studio elevati, conducono aziende che interpretano in modo innovativo gli indirizzi colturali tradizionali.
Questi insediamenti per crescere devono poter disporre dei terreni oggi non utilizzati ma coltivabili.

Fino a pochi anni fa il destino dell’attività agricola in molte aree montane sembrava segnato.
Rimanevano poche aziende condotte con metodi tradizionali da conduttori anziani e senza eredi.
È solo questione di tempo, si diceva da più parti: scomparsi per ragioni anagrafiche gli ultimi coltivatori, la natura si sarebbe ripresa quelli spazi che l’uomo coltivatore aveva cercato lungo molti secoli di fare propri.
Oggi la realtà appare almeno parzialmente diversa.
È pur vero che il numero di aziende agricole nelle aree montane continua a diminuire e che il contributo delle stesse alla produzione lorda vendibile del settore risulta quanto mai ridotto, tuttavia, qua e là iniziano la loro attività nuove aziende. Aziende i cui conduttori sono giovani, spesso con titoli di studio elevati e, in diversi casi, provenienti da mondi distanti, per tradizione familiare, da quello agricolo. Aziende che interpretano in maniera nuova gli indirizzi colturali tradizionali o si orientano verso colture da tempo dimenticate o poco praticate in passato.
Si possono così trovare allevamenti di capre, produttori di erbe medicinali, aziende biologiche con vario indirizzo colturale, caseificatori in proprio del latte di piccoli allevamenti, allevamenti o cliniche per animali di compagnia e altro ancora. Ancora, queste aziende si caratterizzano per basarsi sulla filiera corta privilegiando la vendita diretta al consumatore finale e/o l’integrazione con forme di ospitalità.
Elemento comune sembra essere la convinzione dei conduttori che sia possibile, anche nelle aree marginali di montagna, abbinare un’attività in grado di garantire un reddito sufficiente a una migliore qualità della vita.
Il fenomeno risulta in crescita e seppur basato su piccoli numeri presenta prospettive interessanti non solo dal punto di vista produttivo, ma anche sotto il profilo del presidio del territorio che l’insediamento di nuove aziende comporta. Si tratta di un movimento in gran parte spontaneo legato più a scelte individuali che non a una precisa programmazione o a scelte di politica agricola. In alcuni casi la tipologia aziendale non rientra in alcun modo negli schemi tradizionali così che la stessa possibilità di poter usufruire degli incentivi previsti per l’attività agricola diventa molto difficile se non impossibile.
In generale si può ritenere che una delle motivazioni che portano a scegliere per tali iniziative una localizzazione in aree per molti aspetti marginali vada ricercata nella possibilità di iniziare un’attività con investimenti relativamente limitati e, comunque, di molto inferiori a quelli necessari per rilevare un’azienda agricola nelle aree ad agricoltura consolidata. Il costo dei fabbricati è in molti casi modesto e vi è la disponibilità di avere in uso terreni a prezzi contenuti. Un ostacolo al consolidamento dell’attività è in molti casi rappresentato dalla frammentazione fondiaria tipica delle zone di montagna, dal fatto che molti proprietari sono sconosciuti e altri preferiscono lasciare i loro terreni incolti piuttosto che venderli o darli in uso.
Dal momento che, come si è già osservato, i vantaggi sociali dell’insediamento nelle aree di montagna di nuove aziende è un fenomeno quanto mai positivo, sotto diversi aspetti ci si può chiedere quali strumenti possano essere attuati per incentivarlo. In proposito si può osservare che essendo la disponibilità del terreno fondamentale risulta parimenti fondamentale poter rendere disponibili i terreni non utilizzati ma suscettibili di coltivazione.
A tal riguardo, in periodi diversi, sono state avanzate varie proposte che vanno dalla ricomposizione fondiaria all’esproprio forzoso. Per una ragione o per l’altra si tratta di soluzioni che all’atto pratico risultano difficilmente attuabili. In questa sede si avanza l’idea, a prima vista provocatoria, di togliere l’esenzione Ici attualmente in essere per i terreni situati nelle aree di montagna e che suscettibili di essere coltivati non lo sono. Si è, infatti, dell’avviso che solo nel momento in cui mantenere inutilizzate delle proprietà avrà un costo immediatamente quantificabile questi terreni saranno messi a disposizione di chi intende coltivarli.
Si tratta di una iniziativa semplice, ma che potrebbe portare a interessanti risultati consentendo non solo il consolidamento delle nuove aziende sorte in montagna in questi ultimi anni, ma anche il sorgere di nuove iniziative. Certo il meccanismo va calibrato per evitare aumenti di costi a chi coltiva la terra, ma, nella misura in cui riduce la convenienza a mantenere inutilizzata una risorsa scarsa come il suolo, presenta aspetti potenzialmente del tutto positivi.
 

Sommario rivista Geremia Gios


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