UNIONE EUROPEA |
|
L'Europa del vino alle prese con la distillazione |
Chiesti ulteriori interventi
I principali Paesi produttori dell’Ue vogliono avviare
alla distillazione altri 7 milioni di ettolitri, oltre agli 8 già decisi lo
scorso settembre
Bruxelles cerca di essere
rassicurante sul futuro del settore vinicolo, riaprendo l’iter dello
smaltimento sovvenzionato delle produzioni
eccedenti.
Il Comitato gestione vini della Commissione europea ha infatti avviato la
procedura per una nuova fase di distillazione di crisi per la campagna
2005-2006, e con tutta probabilità arriverà a provvedimenti concreti nella
sua prossima sessione, in calendario a fine maggio.
Parigi ha chiesto di distillare 4 milioni di ettolitri, di cui la metà di
vini da tavola e il resto di qualità, da pagarsi rispettivamente 2.500 e
4.000 euro all’ettanidro: due prezzi considerati alquanto elevati a
Bruxelles, che dovrebbe sborsare complessivamente 128 milioni di euro, circa
il 10% del totale delle risorse che il bilancio di quest’anno destina al
settore vinicolo.
Da parte sua l’Italia ha chiesto (senza dare indicazioni di prezzo) di
distillare 3 milioni di ettolitri di vini da tavola e 100.000 hL di vqprd, a
completamento della richiesta iniziale dello scorso settembre, quando le fu
concesso soltanto un milione di ettolitri.
Da parte sua la Grecia ha chiesto la distillazione di crisi per 200.000 hl
di vini comuni e 300.000 hL di vqprd.
Per contro, non c’è stata nessuna nuova richiesta da Spagna e Ungheria, che
a suo tempo ebbero piena soddisfazione alle loro domande.
Il totale del prodotto da togliere al mercato, in base a queste richieste,
arriverebbe dunque a 7,1 milioni di ettoliltri, da aggiungersi a quanto già
deciso fin da settembre: 2 milioni di ettolitri in Italia (pagati solo 1.900
euro/ettanidro), 1,5 Francia (solo vqprd), 4 milioni in Spagna, 400.000 in
Ungheria e 380.000 in Grecia, per un totale di oltre 8 milioni di ettolitri.
Questo insieme di operazioni va inquadrato nel panorama complessivo del
mercato vinicolo europeo, che secondo le previsioni formulate a fine aprile
indicano, per la campagna 2005-2006, una produzione totale di 175,9 milioni
di ettolitri, con un calo del 10,5% rispetto all’annata vinicola precedente
e del 2% rispetto alla media delle ultime cinque annate.
L’Italia appare in controtendenza: si arriva infatti a una produzione
stimata di oltre 55,3 milioni di ettolitri, con un aumento dell’1%
sull’annata precedente e del 9% sulla media del quinquennio. Per contro, tra
i Paesi che sono riusciti a contenere la produzione vi sono Francia, con
53,3 milioni (in calo del 9% sull’annata precedente e del 3% sul
quinquennio) e che quindi con l’attuale richiesta di distillazione mira a
risanare completamente il suo bilancio vinicolo, la Spagna, con 39,4 (–21%
sull’annata e –9% sul quinquennio), e molto più lontane la Germania, con 9,1
milioni (rispettivamente –10 e –4%), e il Portogallo con 7,2 milioni (–3% e
+1%).
In pratica, solo la Grecia, e l’Italia non sono nella classifica dei Paesi
«virtuosi» che hanno realizzato una flessione delle loro produzioni.
L’aspetto più delicato della situazione – in termini di vendibilità e
conservabilità delle produzioni – è quello dei vini da tavola, per i quali,
all’inizio della campagna, c’era un totale di giacenze comunitarie di 75,3
milioni di ettolitri, di cui 29,3 in Italia, 18,3 in Francia, 11,3 in Spagna
e 4,4 in Portogallo. Per contro, le giacenze di vini di qualità all’inizio
della campagna indicano una situazione sostenibile in Italia (16,4 milioni
di ettolitri), rispetto a 23,8 in Spagna e ben 42,7 in Francia.
Le giacenze alla fine della campagna 2005-2006, stimate a fine aprile, danno
un totale comunitario di 181 milioni di ettolitri, di cui 105 di vqprd, con
un incremento di poco più di mezzo milione di ettolitri rispetto a un anno
prima, con un livello medio di autosufficienza del 117,6%, che sale al 137%
per i vini di prima.
In questo contesto di mercato, il commissario Mariann Fischer Boel ha voluto
ribadire, in un incontro con gli operatori spagnoli, che «si sta preparando
una riforma intelligente, che permette all’Europa di difendere i suoi
mercati e di aprirne di nuovi, senza ridurre le spese comunitarie globali
destinate al settore, attualmente dell’ordine di 1,2-1,3 miliardi annui di
euro, di cui mezzo miliardo per lo stoccaggio e la distillazione delle
eccedenze, il che è evidentemente troppo».
Lo status quo, ha aggiunto il commissario, non è un’opinione tra le
altre, in quanto occorrono «misure creative» per arrivare a una riforma
sostenibile con il consenso degli operatori.
Wto: tra Europa e Usa non cala la diffidenza |
La prossima scadenza a luglio
Passata senza risultati la scadenza di fine aprile,
il prossimo limite temporale per la chiusura soddisfacente del
negoziato Wto slitta a fine luglio, un po’ dopo il vertice
semestrale Europa-Usa che si terrà a Vienna il 21 giugno, a
conclusione della presidenza austriaca. In quella occasione potranno
essere confrontate ancora una volta le posizioni e le rispettive
offerte di concessioni commerciali, sia bilaterali che verso il
resto del mondo.
L’atmosfera sembra tornata a un cauto ottimismo, quanto meno per
bocca degli esponenti della «terza forza», cioè India, Brasile,
Australia, Canada e altri grandi protagonisti degli scambi mondiali.
Il dialogo transatlantico diretto, invece, continua a essere
contrassegnato da una reciproca diffidenza e da uno scambio di
accuse sulla inconsistenza delle rispettive proposte di concessione.
Da parte europea, anche se si continua a dire che per l’agricoltura
si è arrivati all’ultimo limite delle concessioni accettabili, il
commissario al commercio, Peter Mandelson, sottolinea che Bruxelles
è preparata a modificare le sue offerte agricole, senza però
scendere in particolari.
La modulazione delle concessioni avanzate da entrambe le parti non
lascia molto spazio, secondo gli analisti, a effettivi vantaggi di
accesso al mercato per i potenziali beneficiari, data la loro
concentrazione che esclude le gamme di prodotti considerati più
«sensibili». Per non parlare degli effetti perversi delle revisioni
delle politiche di mercato interne, come quella per lo zucchero, che
espone i Paesi in sviluppo tradizionali esportatori in Europa a
insostenibili perdite nei loro introiti a causa della riforma dell’ocm
del settore.
Da parte di Washington si sottolinea che gli scambi di prodotti
agricoli non sono che il 2% delle transazioni mondiali (servizi
compresi) e che quindi sarebbe molto più opportuno concentrarsi su
problemi come le contraffazioni, i brevetti e gli investimenti
internazionali. Ma il Governo Usa non per questo sembra incline a
diminuire le barriere che proteggono i suoi agricoltori, sotto forma
essenzialmente di sussidi alla produzione.
|
|