POLITICA |
|
Quello che preoccupa in questa ocm vino |
Tutte le perplessità di federdoc.
Ricci Curbastro, presidente della Federazione dei consorzi di tutela
italiani, ha trovato nel commissario Fischer Boel un interlocutore deciso a
portare avanti il suo progetto senza tener conto, almeno in questa fase,
delle osservazioni che arrivano dai produttori.
Riccardo
Ricci Curbastro, presidente di Federdoc (la Federazione che associa quasi
tutti i consorzi di tutela delle denominazioni vitivinicole italiane) è uomo
decisamente moderato, in grado di esprimere il suo pensiero con lucidità e
pacatezza.
Vedere una persona così esternare le proprie preoccupazioni ma anche il
deciso disappunto nei confronti della riforma all’ocm vino, con una certa
veemenza e durezza, porta subito a pensare che i problemi probabilmente sono
molto più seri di come si era immaginato.
Ricci Curbastro il 26 aprile scorso ha avuto un incontro con il commissario
agricolo, la danese Mariann Fischer Boel, e ne è uscito con un bilancio
decisamente negativo.
Fischer Boel non ci sente
Nel corso dell’incontro il presidente di Federdoc ha fermamente sostenuto
che il modello dei vini a denominazione di origine non deve essere messo in
discussione dallo sviluppo di un vino di tipo industriale, con libertà di
impiantare ovunque, senza limiti di produzione, con l’apertura più ampia di
nuove pratiche enologiche.
«Immaginavo che sarebbe stata dura – ci spiega subito il presidente di
Federdoc – ma speravo onestamente che da parte della commissaria vi fosse
una maggiore disponibilità al dialogo e a rivedere alcune posizioni. Invece
mi sono trovato di fronte a un’assoluta rigidità su quasi tutti i punti».
«Due concezioni radicalmente differenti della vitivinicoltura e della
cultura del vino di qualità – sottolinea Ricci Curbastro – separano allo
stato attuale Federdoc dall’Unione Europea».
La posizione di Federdoc è chiara: «Vogliamo mettere in prima linea –
evidenzia Ricci Curbastro – la qualità dei vini italiani doc, prodotti ed
elaborati secondo disciplinari rigidi, cercando intese con altri produttori
di vini a denominazione, soprattutto Spagna e Francia».
Ma questa impostazione sembra non piacere assolutamente alla Fischer Boel.
«La commissaria all’agricoltura – racconta Ricci Curbastro – è determinata
ad andare per la sua strada, nel principio della massima liberalizzazione
possibile, ispirata anzitutto da operazioni contabili e senza tener conto di
tutte le sfaccettature del settore».
«Inutile ad esempio – spiega Ricci Curbastro – parlare di 400.000 ha da
espiantare nell’Unione Europea senza avere poi misure adeguate di controllo
sulle rese a ettaro. Proprio recentemente, in un articolo Mario Fregoni
spiegava come l’Italia potesse perdere 160.000 ha di vigneto senza avere
particolari ripercussioni sulle quantità prodotte. La vitivinicoltura
moderna, infatti, ha tutti i sistemi per poter produrre notevolmente anche
su superfici ridotte.
Basti pensare, ricordava Fregoni, che all’inizio del secolo scorso si
produceva la stessa quantità di vino di oggi con circa 2,5 milioni di ettari
in Italia, rispetto ai 675.000 attuali».
Impianto libero, guai garantiti
Secondo il presidente di Federdoc, quindi, è un’utopia pensare di gestire la
produzione dei vini di qualità se non si è nelle condizioni di controllare
collettivamente le superfici vitate, e di conseguenza la quantità prodotta
per ogni denominazione.
La liberalizzazione degli impianti così come proposta dalla Commissione,
perciò, secondo Federdoc non è concepibile, perché neanche il rispetto dei
disciplinari potrebbe essere sufficiente a limitare l’offerta delle
denominazioni, tenuto conto degli scarti a volte notevoli tra aree
delimitate e superfici impiantate.
«Ricordiamo – spiega Ricci Curbastro – che a partire dal momento in cui un
produttore inserito nell’area delimitata decide di impiantare, con la nuova
regolamentazione proposta, rispettando il disciplinare, non avrebbe alcun
impedimento a beneficiare del nome della denominazione. Così, a titolo di
esempio, la superficie impiantata nel Chianti potrebbe passare da 17.000 a
oltre 35.000 ha, con le conseguenze facilmente immaginabili: squilibri
importanti tra domanda e offerta, crollo del reddito dei produttori, crollo
del valore patrimoniale dei vigneti».
Il nuovo regolamento, pertanto, sottolineano i responsabili di Federdoc,
deve prevedere in modo intangibile il principio dell’inquadramento dei nuovi
diritti nelle zone delimitate dei vini a denominazione di origine,
escludendo categoricamente il principio della eliminazione di questo
inquadramento a partire dal 2013.
Promozione ed etichettatura
Notevoli preoccupazioni anche sul fronte dei fondi da destinare alla
promozione. «La commissaria Fischer Boel – afferma Ricci Curbastro – ancora
non ha spiegato bene quanti saranno, anche se sta emergendo l’ipotesi di
trasferire questo budget al secondo Pilastro (cioè allo sviluppo rurale) e
sarebbe veramente estremamente pericoloso per tutto il settore
vitivinicolo».
«Dal nostro punto di vista si deve pertanto salvaguardare il budget attuale
(circa 1.270 milioni di euro) di spesa per interventi inerenti al settore e
distribuire i fondi in base all’andamento storico delle ripartizioni fra
Stati, così come finora effettuato».
Grandi timori anche sul fronte dell’etichettatura. «Il vitigno e l’annata
sui vini da tavola ben difficilmente controllabili – spiega Ricci Curbastro
– semplificherebbero e banalizzerebbero il sistema, senza possibilità di
comunicazione delle diversità».
La battaglia, a questo punto, appare decisamente più ardua rispetto a
qualche commento ottimistico emerso nelle settimane scorse. «La commissaria
– aggiunge Ricci Curbastro – sembra sempre più convinta di dover portare
avanti la sua proposta, indipendentemente dalle richieste di emendamento del
Parlamento europeo e dalle prese di posizione degli Stati membri e delle
organizzazioni di categoria europee».
«La Commissione – prosegue Ricci Curbastro – ci chiede di abbandonare il
concetto di denominazione, nel momento stesso in cui i produttori italiani
dei vini di qualità chiedono, al contrario, che il concetto di origine
attualmente vigente in Europa rappresenti anche per il futuro una risorsa
irrinunciabile».
Secondo Ricci Curbastro, la Commissione e i produttori dei vqprd parlano due
linguaggi diversi. I vini a denominazione di origine che beneficiano di un
capitale-immagine forte in tutte le parti del mondo hanno problematiche
diverse da quelle dei vini da tavola, e per questo devono essere trattati
diversamente nella classificazione, nelle pratiche enologiche, nella
presentazione, nella tutela e promozione. «Non vorrei che alla fine –
conclude Ricci Curbastro – ci si limiti a “portare a casa” solo la battaglia
sul rifiuto allo zuccheraggio. Per carità, cosa importante, ma decisamente
insufficiente rispetto a quanto si gioca il sistema vitivinicolo italiano
con questa riforma dell’ocm vino».
Vista allora la situazione è auspicabile che in Italia si apra in maniera
più trasparente il tavolo di discussione sulla riforma dell’ocm vino, anche
per evitare che su un tema così strategico per la nostra economia
agroalimentare si creino pericolose divisioni.
C’è già chi sta denunciando che si tratta di una riforma fatta ad hoc per
gli industriali del vino. Le lobby sono sempre esistite e operano in piena
legalità, intendiamoci, ma è bene far uscire i giochi allo scoperto. Utopia
da giornalisti?
|